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LA TESI DELLA GUERRA GIUSTA PER RAGIONI UMANITARIE
Dirigenti ed esponenti politici che partecipano attivamente all'intervento NATO concordano nell'imperativo morale di fermare le violenze dell'esercito serbo contro gli albanesi. C'è chi la considera giusta, come l'allora PM britannico Tony Blair o chi invoca la difesa dei diritti come l'allora Ministro italiano del Commercio con l'Estero Piero Fassino.
D'Arcais e Daniel Goldhagen accostano Milosevic ad Hitler. Tra gli intellettuali, Paolo Flores e su questa motivazione parlano di intervento moralmente giusto il primo e di intervento giustificato il secondo, arrivando anche a paragonare la NATO all'alleanza antifascista e a fare un parallelo con l'olocausto. Ci sono però coloro che nonostante siano a favore della guerra, rifiutano tali accostamenti, come ad esempio David Grossman e Jean Daniel.
La tesi che la guerra sia giusta è sostenuta anche da altri intellettuali.
di tradizione politica, democratica e progressista, come ad esempio Ralf Dahrendorf, o Susan Sontag e Vacav Havel iquali credono che i diritti debbano essere tutelati anche a costo di ledere la sovranità statale. Il principio della sovranità è stato considerato per cinque secoli come il fondamento della politica in occasione dell'intervento NATO moderna e come garanzia della convivenza pacifica; viene considerato come sinonimo di una politica irrazionale e irragionevole di abusi. Tale concezione è appoggiata anche da altri intellettuali quali Peter Schneider, André Glucksmann e Giorgio Ruffolo. Danilo Zolo non condivide le ragioni umanitarie utilizzate per giustificare la guerra. Come Schmitt, cerca di smascherare l'ipocrisia che si nasconde dietro tali motivazioni, e condivide l'orientamento del realismo politico secondo cui la politica è una lotta che ha come fine il potere e come mezzo la forza. Secondo il filosofo, le vere ragioniDella guerra sono economiche e politiche. Della stessa idea è l'intellettuale Giuliano Pontara di tradizione pacifista gandhiana, secondo cui la lotta non violenta, accompagnata da un impegno costruttivo a migliorare la società e persuadendo l'avversario un'alternativa efficace delle proprie ragioni, rappresenta un'alternativa alla guerra. Anche per Giorgio Galli e Ida Dominijanni ci sono interessi economico-politici alla base dell'intervento decisione di intervenire in Kosovo, mentre Luigi Pintor sostiene solo le finalità strategiche. Secondo Ulrich Beck, ci troviamo invece di fronte a una dottrina dell'umanesimo militare degli USA, una dottrina che consiste nel decidere cos'è il diritto e cosa i diritti umani e che si fonda sull'utilizzo della guerra come proseguimento della morale con altri mezzi. Inoltre, risponde all'esigenza di fornire alle istituzioni occidentali e alla NATO in
Particolare una salda giustificazione per la propria esistenza in quanto quest'ultime stentano a trovare una salda legittimazione in un assetto istituzionale profondamente mutato.
Il concetto di guerra giusta di aggressione è una concezione che sarà massicciamente usata dalla occasione della guerra contro l'Iraq del 2003. Propaganda bellica in coloro che condividono tale concezione, come Angelo Panebianco, Nicola Matteucci, Vittorio Foa e Barbara Spinelli, l'interesse giustificano il conflitto con interessi geopolitici, della NATO a salvaguardare il rispetto dei diritti umani e della democrazia in Europa e il fine politico di stabilizzare i Balcani contro la politica destabilizzatrice di Milosevic che potrebbe essere di ispirazione per nuovi dittatori postcomunisti.
LA TESI DI WALZER E LA DEBOLEZZA STRUTTURALE DELL'ONU giustifica l'intervento l'atteggiamento di passività Michael Walzer della NATO denunciando dell'ONU e la sua debolezza.
strutturale nel far rispettare i diritti umani. Da qui, crede che gli Stati debbano avere la facoltà di intervenire unilateralmente in difesa dei diritti anche nel caso in cui l'intervento non sia previsto dal diritto internazionale e anche se può comportare il sorgere di altre problematiche che l'idea di Walzer potrebbe convincere l'opinione pubblica di un paese democratico dell'opportunità o meno di muovere una guerra in difesa dei diritti possono essere facilmente manipolate, e l'affidabilità del soggetto politico che dichiara di voler usare le armi per scopi umanitari. Condividono questa preoccupazione, Pizzorno e Noam Chomsky. L'ONU in teoria disporrebbe degli strumenti adatti a difendere i diritti umani sul piano internazionale, ma
inpratica è impedito nella sua azione dalla volontà politica dei membri più influenti dei suoi organi direttivi, in primo luogo gli USA. Ferrajoli invece sottolinea quello che si sarebbe potuto fare e che non è stato fatto, come la trattativa ad oltranza mediata dal Consiglio di Sicurezza, l'espulsione dall'ONU e l'uso regolato della forza nelle sanzioni, la rottura delle relazioni diplomatiche, ad opera di forze armate di intermediazione operanti sotto il controllo e secondo i piani stabiliti dal Consiglio di Sicurezza. LA TESI SULL'INCOERENZA TRA I MEZZI E I FINI Gli intellettuali contrari alla guerra evidenziano una profonda incoerenza tra i mezzi utilizzati (gli armi) e i fini dichiarati (la garanzia dei diritti umani). Si insiste sul fatto che i bombardamenti NATO che avrebbero dovuto difendere i kosovari albanesi dalla violenza serba, tendono invece ad aggravare tale violenza ottenendo risultati opposti a quelli prefissati. Sono diQuesta idea è sostenuta da Giovanni Sartori, Eugenio Scalfari, Rossana Rossanda, Eric Hobsbawm che rifiutano le ragioni umanitarie che motiverebbero la guerra e Alessandro Pizzorno che vede la NATO costretta a condurre la guerra sino alla fine dato il fallimento della sua strategia.
Si sottolinea l'incoerenza tra il rispetto dei diritti umani e il mezzo della guerra moderna condotta con tecnologie ad alta capacità distruttiva che causano inevitabili danni permanenti alla popolazione civile e all'ambiente. Condividono questa concezione intellettuali e giuristi come Luigi Cortesi, Danilo Zolo e Luigi Ferrajoli.
Si afferma che l'incoerenza tra i mezzi e i fini dipende dalla modalità con cui si conduce la campagna militare o dalle armi che vi sono utilizzate e dal fatto che ogni pratica di violenza organizzata è di per sé incompatibile con la garanzia dei diritti. A sostegno di questa tesi, ci sono l'intervento di intellettuali quali Eugenio Garin ma anche come.
Giuliano Pontara nonostante creda che l'armato a fini umanitari sia sempre giustificato. Una forte opposizione alla guerra è data dagli intellettuali anarchici, quali G.B., Carlo Oliva, Luce Irigaray, Isidoro Mortellaro e Gianni Vattimo, i quali rifiutano radicalmente la violenza come veicolo di progresso e tutela dei diritti umani e per gli effetti che essa provoca, e individuano come conseguenze del conflitto, le derive autoritarie che la guerra necessariamente avvia e gli effetti di omologazione e appiattimento delle coscienze sia fra quanti la praticano sia fra quanti ne sono vittima. La tesi sull'incoerenza tra il mezzo militare e gli scopi umanitari può essere definita pacifista perché rifiuta la guerra a ogni condizione e pone il valore della pace al di sopra di ogni altro o come condizione necessaria per la realizzazione di ogni altro. Il valore della pace ritenuto prioritario rimanda al pacifismo, cioè a quel gruppo di dottrine che
Rifiutano la guerra come metodo di soluzione delle controversie internazionali e giudicano effettivamente possibile costruire un assetto durevolmente pacifico. Si va dal pacifismo assolutistico che rifiuta la guerra in base alla norma morale che proibisce nel modo più assoluto di uccidere, a quello pragmatico che rifiuta la violenza per i gravi rischi che il suo impiego comporta (condiviso da Garin, Pontara, Ferrajoli, G.B., Oliva, Irigaray e Mortallaro) e infine al pacifismo non violento di stampo gandhiano.
Alla tesi della radicale incoerenza tra la garanzia dei diritti umani, si oppongono intellettuali come Susan Sontag e Antoine Garapon, i quali sostengono che l'intervento della NATO costituisce lo strumento necessario per la garanzia dei diritti violati, e in generale i diritti umani hanno bisogno di un'autorità che li faccia rispettare, se necessario con la forza di un'autorità che svolga compiti di polizia internazionale.
mirante al ripristino della pace. Non concordano Ferrajoli, Onida, Rossanda e Mary Kaldor secondo i quali l'intervento della NATO è una vera e propria guerra di aggressione, mentre altri intellettuali, come Bobbio e Alessandro Dal Lago invece, rifiutano in toto la distinzione tra guerra e azione di polizia.POSIZIONI INTERMEDIE E CRITICHE
Angelo D'Orsi
Bobbio ha ricevuto varie critiche da parte di Vittorio Giacopin e per non essersi schierato apertamente contro la guerra, ma il suo atteggiamento nasce dalla disponibilità a farsi coinvolgere nella lotta politica e una indisponibilità ostinata ad abbracciare un solo punto di vista. Bobbio, insieme a Cassese e ad Habermas si trovano infatti in una posizione intermedia. Non sono a favore della guerra in quanto non ne propongono una critica radicale e non la condannano esplicitamente sul piano morale, ma allo stesso tempo la giustificano, sostenendo che potrebbe portare allo sviluppo di nuove norme giuridiche.
livello internazionale a tutela dei diritti umani, equindi a un aggiornamento del diritto internazionale ritenuto indispensabile. Tale necessità ècollegata all’inefficienza dell’ONU e dei suoi strumenti, primo fra tutti la Carta. A differenza diCassese e Habermas i quali credono che tali nuove norme servano per evitare che gli USAstrumentalizzino i diritti umani attraverso il loro ruolo egemonico, secondo Bobbio gli USAmeritano di essere appoggiati perché portatori di ideali democratici e liberali che è opportunodifendere e diffondere nel mondo perché costituiscono il veicolo di un modello di convivenzadesiderabile, e se anche si consolidassero delle norme condivise sul piano internazionale a garanziadei diritti, tali norme deriverebbero dalla stessa volontà degli USA.Ferrajoli e Zolo rifiutano le idee di Bobbio sul ruolo egemonico statunitense, e Zolo rifiuta inoltre lesull’obsolescenza del diritto internazionale vigente eSul nuovo diritto, considerazioni in corso di legittimazione sostenute anche da Cassese e Habermas.