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INTENZIONALITA’ E AFFETTIVITA’
L’intenzionalità è la struttura del fenomeno, è ciò che determina l’essenza dei fenomeni, intesi non come ciò
che ci appare della realtà esterna ma intesi come un insieme di vissuti. Husserl parte da un problema di tipo
conoscitivo ed è da questo problema che nasce la fenomenologia; il problema della conoscenza è sempre stato
posto a partire dall’esperienza empirica, ma quest’ultima da per scontato che ciò che appare consiste nella
fedele proiezione della realtà stessa. Husserl rifiuta questo atteggiamento naturale delle scienze ed opera una
riduzione fenomenologica, neutralizza questo presupposto e modifica il modo di cogliere ciò che ci appare, che
non significa influenzare il modo in cui le cose si danno alla coscienza. Inoltre la fenomenologia non si occupa
di comprendere se ciò che ci appare corrisponde a qualcosa di reale, ma essa si interessa solo di ciò che
appare e del modo in cui appare. Le cose del mondo esterno si danno e il loro darsi presenta delle regolarità,
ogni oggetto intenzionale (= oggetto della percezione) risponde a delle regole. In fenomenologia non si parla più
di esperienze empiriche ma di esperienze dei vissuti. Esistono tante intenzionalità e la specificità degli oggetti
corrisponde a quella dell’intenzionalità. Il vissuto può essere analizzato su due piani:
Noematico: corrisponde al cogitatum dell’atto intenzionale, è il contenuto del pensiero, è “ciò che
appare”;
Noetico: è il modo in cui il fenomeno appare e corrisponde ad una determinata operatività della
coscienza; la descrizione dei fenomeni diventa dunque una descrizione della coscienza. La coscienza
non è esteriore al vissuto, l’apparire del vissuto soggettivo è coscienza, mentre l’apparire oggettivo è il
fenomeno. È l’insieme degli atti che costituiscono gli oggetti, atto del pensare, operatività della
coscienza. Oggetto e soggetto sono le due facce della stessa medaglia.
L’affettività è un termine usato per indicare la sfera dei vissuti emozionali e si distingue dall’intenzionalità
poiché esistono alcuni vissuti che non possiedono un riferimento ad un oggetto ed è difficile descriverli. In Henry
l’affettività implica la volontà di sviluppare una fenomenologia ad hoc, criticando l’intenzionalità e descrivendo i
limiti dell’intenzionalità stessa.
MICHEL HENRY (1922-2002)
Esponente della “fenomenologia francese” contemporanea (prima generazione di filosofi che si formano dalla
lezione di Husserl, riprendendo il padre della fenomenologia ma modificandone il pensiero attraverso una lettura
critica). Henry riuscì a soddisfare la necessità della filosofia francese di un ritorno all’esperienza, e un rifiuto
delle speculazioni teoriche. È il fondatore della “fenomenologia materiale” o “fenomenologia della vita”, che
prende in considerazione i vissuti sensoriali non intenzionali, seguendo l’ipotesi secondo cui i fenomeni si danno
in un modo non determinato dall’intenzionalità. Il suo principale interesse riguarda la sfera dei vissuti
emozionali, sensoriali, impressionali, infatti la sua fenomenologia si presenta come una “fenomenologia
dell’affettività” o “fenomenologia della vita affettiva”, in cui con affettività si intende lo strato più profondo e
fondamentale della vita della coscienza. Non è una fenomenologia della percezione ma è qualcosa di più; per
Henry, i fenomeni della sfera affettiva non individuano oggetti di tipo particolare, semplicemente distinti, ad
esempio, dagli oggetti della percezione (visiva, tattile, sonora, ecc.). La questione dell’affettività si pone su un
altro piano: l’affettività è un problema di tipo trascendentale : ha, cioè, a che fare con le condizioni di
possibilità relative all’apparire dei fenomeni. La fenomenologia trascendentale consiste nella descrizione
della fenomenicità dei fenomeni, ovvero la condizione di possibilità dell’apparire dei fenomeni, l’essenza del
fenomeno (in Husserl ci sono diversi tipi di intenzionalità, di essenze). La fenomenicità riguarda il modo il cui il
fenomeno appare, e ogni fenomeno ha un diverso modo di apparire alla coscienza. Bisogna quindi distinguere:
Fenomeno: è “ciò che appare”, è il risultato della riduzione fenomenologica, consiste in una
composizione di vissuti organizzati per costituire un fenomeno; per Husserl i fenomeno è qualcosa di
stratificato;
Fenomenicità: è “il modo d’apparire del fenomeno”, “ciò che rende possibile l’apparire del fenomeno”, e
la fenomenologia trascendentale è quella che descrive i vari modi di operare della coscienza. Nella
prospettiva di Husserl, infatti, la fenomenologia trascendentale è la fenomenologia intenzionale, in
quanto descrizione dei diversi tipi di intenzionalità (noesi, modalità di costituzione) che presiedono
all’apparire delle diverse categorie di oggetti o fenomeni; Husserl contrappone in una dualità
terminologica, non reale, l’oggetto intenzionale (il fenomeno) e l’intenzionalità (ciò che rende possibile
l’apparire dell’oggetto), che rappresentano il passaggio da una descrizione di oggetti ad una descrizione
di strutture. Nel caso dei vissuti non intenzionali però Husserl non da una spiegazione precisa e rimane
ambiguo.
Per Husserl il trascendentale ha a che fare con l’operatività della coscienza, e distingue i fenomeni dai vissuti,
poiché i vissuti sensoriali che non hanno un riferimento oggettivo non sono fenomeni.
Innovazioni di Henry nella “fenomenologia materiale”:
1. Non esiste una sola fenomenicità (l’intenzionalità), ma due tipi specifici e distinti modi d’apparire
(l’intenzionalità e l’affettività);
2. In quanto non-intenzionale, l’affettività individua una specifica e autonoma sfera fenomenologica;
3. Accanto ad una fenomenologia intenzionale è necessaria una fenomenologia dell’affettività, in quanto
fenomenologia non-intenzionale;
4. L’affettività designa quel modo d’apparire che consiste in un puro “s’éprouver soimême”: è un puro
pathos, un puro sentire, un “provarsi”, non riferito a qualcosa (es. il dolore non ha bisogno di essere
riferito ad un oggetto per mostrarsi, quindi non è intenzionale);
5. Il modo in cui un vissuto affettivo si mostra è quello del sentirsi : è un’ auto-affezione. Il vissuto prova se
stesso, e in questo provarsi risiede e consiste la sua manifestazione, non ha bisogno di essere
intenzionato o capito, il dolore non necessita una riflessione per manifestarsi;
6. La vita della coscienza, intesa come fenomeno, è dunque affettività.
Caratteri dell’intenzionalità:
Ogni apparire è l’apparire di qualcosa : ogni vissuto acquista un senso nella misura in cui è riferito a
qualcosa, ad un oggetto. Ma l’oggetto, a sua volta, non è mai qualcosa di isolato : si inserisce in un
orizzonte (= condizione trascendentale dell’apparire dell’oggetto) di relazioni e di rimandi. L’
intenzionalità definisce allora l’apertura di questo orizzonte di esteriorità, un “orizzonte di luce”
all’interno del quale soltanto il fenomeno (in quanto oggetto intenzionale) diviene visibile (cioè appare).
L’intenzionalità definisce quindi una forma di oggettivazione : essa “rende visibile” il fenomeno. Ma
come? Gettandolo o “proiettandolo” in questo orizzonte di luce : ponendolo dinnanzi agli occhi della
coscienza a titolo di cogitatum.
Da un lato, l’apparire dell’intenzionalità implica l’apparire di un oggetto ; dall’ altro, l’apparire dell’oggetto
non è l’ apparire dell’intenzionalità. Questa differenza individua un ulteriore carattere dell’intenzionalità.
Le intuizioni anticipano sempre la nostra esperienza e accompagnano sempre le nostre percezioni (percezione
di una totalità ordinata di elementi). L’intenzionalità come fenomenalità è una condizione trascendentale, e se
l’oggetto non ci fosse non potrebbe apparire. L’orizzonte è ordinato e questo ordine permette alla realtà di
apparire alla coscienza, l’intenzionalità designa la trama della nostra esperienza.
L’atteggiamento naturale delle scienze esatte consiste nel separare soggetto e oggetto → è un problema che
la fenomenologia vuole risolvere ma per farlo bisogna attuare una riduzione fenomenologica, in cui rimane solo
il darsi dell’esperienza, ovvero l’apparire delle cose, che segue delle regole. Oggetto e soggetto si danno
insieme e ciò che media questi due termini è l’intenzionalità, ovvero lo strumento che fornisce le condizioni per il
loro incontro, se non ci fosse l’oggetto esso non potrebbe apparire al soggetto e viceversa, appartengono alla
stessa dinamica, e cioè l’esperienza fenomenologica. In assenza dell’intenzionalità, che dà un ordine a questi
due elementi, l’oggetto non apparirebbe e l’esperienza non sarebbe possibile, non sarebbero possibili né
l’oggetto né la coscienza poiché l’intenzionalità definisce la struttura di entrambi.
La funzione trascendentale dell’intenzionalità consiste nel suo conferire senso ai vissuti, dà un ordine e
un’orientazione ai vissuti, l’esperienza non è casuale ma segue delle regole, date dall’intenzionalità. L’oggetto
consiste nell’unificazione di molteplici vissuti e l’intenzionalità tiene tutto insieme e fa convergere questo insieme
verso i poli, che sono gli oggetti. Se non ci fosse intenzionalità non ci sarebbe esperienza, poiché il fatto che i
vissuti abbiano un ordine è indispensabile perché avvenga l’esperienza.
Quindi l’intenzionalità:
Consiste nell’apertura di un “orizzonte di senso” alla luce del quale i fenomeni divengono accessibili
(afferrabili) in quanto oggetti (cogitata);
L’intenzionalità rende visibili i fenomeni: ma, nella visione, è necessario distinguere “ciò che appare”
(l’oggetto) da “ciò che rende possibile l’apparire di ciò che appare” (la fenomenicità);
“Ciò che rende possibile l’apparire” &