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La legis actio per condicionem fu introdotta da una lex Silia nel III sec. a.C. per crediti aventi ad oggetto una
somma di denaro determinata ed estesa successivamente da una lex Calpurnia ai crediti di cose determinate
diverse dal denaro. Le ragioni per l’introduzione di tale actio rimangono dubbie, poiché per i medesimi crediti si
poteva agire con la legis actio sacramenti in personam e con la legis actio per iudicis arbitrive postulationem.
Gli atti compiuti nella fase in iure erano i seguenti:
l’attore enunciava il proprio credito, senza menzionarne la fonte;
il convenuto poteva: 1) né ammettere né negare (nel qual caso sarebbe stato indefensus e addictus
all’attore); 2) riconoscere il suo debito (nel qual caso sarebbe stato confessus in iure e l’attore avrebbe potuto
agire contro di lui con la legis actio per manus iniectionem); 3) negare il suo debito, nel qual caso il
magistrato gli avrebbe ordinato di ripresentarsi dopo trenta giorni per la nomina del giudice che avrebbe
deciso la controversia.
Il regime per l’esercizio della manus iniectio nel caso di vittoria della lite da parte dell’attore era il medesimo della
legis actio sacramenti in personam (vedi supra).
1.3.3. Legis actio per iudicis arbitrive postulationem
La legis actio per iudicis arbitrive postulationem, per le XII Tavole, era esperibile per i crediti da stipulatio e per la
divisione di eredità; una successiva Lex Licinnia (antecedente al 210 a.C.) la rese esperibile anche per la
divisione di beni comuni. Il procedimento prevedeva che le parti pronunciassero parole determinate (“certa
verba”), enunciando la fonte dei loro diritti e chiedendo la nomina di un iudex (per i crediti da stipulatio) o di un
arbiter (negli altri casi).
1.3.4. Legis actio per manus iniectionem
La legis actio per manus iniectionem, a carattere esecutivo, era una delle legis actiones più remote. Poteva essere
esperita in tre ipotesi:
manus iniectio iudicati: nel caso di esecuzione di un giudicato che riconosceva il convenuto quale debitore di
una somma di denaro. In questo caso il creditore poteva agire: 1) contro il debitore che non avesse ancora
pagato entro trenta giorni dal giudicato stesso; 2) contro il confessus (parificato al iudicatus dalle XII Tavole);
manus iniectio pro iudicato: in casi ove la situazione giuridica era sufficientemente determinata da apparire
analoga a quella accertata da un giudicato; un esempio è il caso di manus iniectio prevista dalla lex Pubilia a
favore dello sponsor (ossia del garante mediante sponsio) contro il debitore garantito che non avesse
rimborsato al garante entro sei mesi quanto adempiuto dal garante medesimo;
manus iniectio pura: in ulteriori casi ove la pretesa dell’attore appariva fondata in re ipsa; un esempio è il
caso previsto dalla lex Furia testamentaria, che concesse all’erede la manus iniectio contro il legatario che
avesse percepito un legato di più di mille assi.
Il procedimento era eguale nei tre casi e prevedeva i seguenti atti:
il presentarsi di creditore e debitore avanti il magistrato;
la dichiarazione del creditore il quale, rivolgendosi al debitore, enunciava il credito che gli spettava nonché la
fonte di esso;
la dichiarazione del creditore (dichiarazione immediatamente successiva alla precedente) di manum inicere
(ossia di «gettare le mani addosso»), effettuata afferrando fisicamente il debitore.
Il debitore a questo punto poteva:
nominare un vindex, il cui intervento lo avrebbe sottratto alla manus iniectio. Il vindex, a sua volta, poteva
scegliere se pagare il debito o se contestarlo: ove lo avesse contestato, vi sarebbe stata una legis actio
dichiarativa nella quale il vindex, ove avesse perso la lite, sarebbe stato condannato a pagare il doppio
dell’ammontare del debito;
(nel solo caso di manus iniectio pura) negare il debito senza l’intervento di alcun vindex: in questo caso,
sarebbe stato lo stesso debitore ad essere parte della legis actio dichiarativa e ad essere condannato al
doppio del debito in caso di perdita della lite;
(ove non avesse alcun vindex o non negasse il debito) essere addictus al creditore, il quale avrebbe potuto
tenerlo presso di sé in catene per sessanta giorni: durante tale periodo, il creditore avrebbe dovuto condurre
il debitore in tre mercati consecutivi, proclamando l’importo del debito in modo che chi volesse potesse
riscattare il debitore. Ove il debitore non venisse riscattato, egli poteva essere venduto come schiavo fuori
Roma o, alternativamente, essere ucciso, con facoltà (secondo le XII Tavole) dei co-creditori di spartirsi
fisicamente il suo corpo, facendolo a pezzi.
La facoltà, originariamente prevista solo per la manus iniectio pura, di negare il debito pur senza l’ausilio di un vindex,
fu estesa da una lex Vallia a tutti i casi di manus iniectio: eccettuato il caso del iudicatus e quello del debitore
principale nei confronti dello sponsor.
1.3.5. Legis actio per pignoris capionem
La legis actio per pignoris capionem era esecutiva e risalente a prima delle XII Tavole: poteva essere esperita per
crediti sacrali e militari. Il procedimento prevedeva che il creditore pronunciasse parole determinate (“certa verba”) e
contestualmente si impadronisse di cose del debitore, che avrebbe tenuto in pegno, con facoltà del debitore di
riscattarle. La presenza del magistrato e del debitore non era necessaria.
1.4. Il processo per formulas
1.4.1. Generalità
L’introduzione del processo per formulas è strettamente correlata all’intensificarsi delle relazioni commerciali tra
romani e stranieri (peregrini). Tale intensificarsi implicava il sorgere di controversie, che però non potevano essere
risolte mediante l’esperimento delle legis actiones, fruibili solo dai cittadini romani.
Il pretore, dunque, quale magistratura investita di iurisdictio (ossia, del potere relativo al dicere ius inter duos, al
«pronunciare il diritto tra due [si intende: parti]»: dunque, del potere relativo alla amministrazione della giustizia
nell’ambito del diritto privato), provvide a creare una nuova forma processuale che fosse sia accessibile (anche) agli
stranieri, sia di più semplice utilizzabilità rispetto alle legis actiones, che erano caratterizzate da un marcato
formalismo (vedi supra).
1.4.2 La formula e le sue parti
Il processo per formulas (processo «per mezzo delle formulae») era incentrato appunto sulla formula. La formula era
un documento scritto, formalmente indirizzato al giudice ed elaborato dal magistrato dietro indicazione delle parti
processuali. (n.b.: la configurazione del ruolo assunto dalla volontà delle parti e dalla volontà del magistrato nella
redazione della formula è assai discussa in dottrina. Ai fini dell’esame, ci si limita a ricordare che il magistrato aveva la
facoltà di negare l’azione al ricorrente: sicché in nessun caso il ruolo del magistrato può essere inteso come quello di
chi si limiti a “ratificare” la volontà altrui). I “modelli” delle formulae e delle parti di esse relative alle diverse actiones
venivano pubblicati nell’editto del pretore (vedi supra).
La formula si componeva di diverse parti: alcune di esse sono definite tradizionalmente come “ordinarie” (n.b.: si badi
però che, in senso stretto, pressoché tutte le parti della formula sono accessorie, nel senso che possono esservi o
non esservi. Due sole sono le parti che compaiono sempre nella formula: la nomina del giudice e l’intentio, che però è
assente dalla formula dell’actio iniuriarum).
Sono parti ordinarie della formula:
1. la nomina del giudice (“Titius iudex esto”, «Tizio sia giudice»);
2. l’intentio, che contiene l’affermazione della pretesa attorea. Essa può essere certa o incerta, a seconda che
l’oggetto della pretesa sia o no determinato (ad es., non è determinato l’oggetto nelle azioni di buona fede,
ove la pretesa attorea dovrà essere “quantificata” dal giudice). Se l’intentio è incerta, la formula dovrà
includere la demonstratio;
3. la demonstratio, che compare solo nelle formulae con intentio incerta e che contiene la narrazione sul
fondamento della pretesa attorea (ad es., la demonstratio compare in tutte le azioni di buona fede);
4. la condemnatio, che contiene l’espressa attribuzione al giudice della facoltà di condannare – ove l’intentio
risulti fondata nei fatti – il convenuto, oppure di assolverlo;
l’adiudicatio, che sostituisce la condemnatio nei giudizi divisori (actio familiae erciscundae e actio communi
dividundo) e di regolamento di confini (actio finium regundorum) e che contiene l’espressa attribuzione al
giudice della facoltà di assegnare ai coeredi, o ai comproprietari o confinanti, porzioni della cosa oggetto di
divisione o del terreno oggetto di regolamento di confini;
[***ATTENZIONE: nella procedura formulare, il convenuto può essere condannato soltanto al pagamento di una
somma di denaro: il processo per formulas non ammette perciò la condanna in c.d. “forma specifica” (cioè a che il
convenuto tenga un comportamento di dare o fare diverso da quello consistente nel pagamento di una somma di
denaro)]
Sono ulteriori parti della formula:
1. la praescriptio, che in realtà, da un punto di vista formale, non dovrebbe essere considerata parte della
formula poiché precede la nomina del giudice. La praescriprio può essere pro actore («a favore dell’attore»)
o pro reo («a favore del convenuto»):
la praescriptio pro actore – nel caso di credito con prestazioni rateali – consentiva di evitare l’estinzione
totale della pretesa attorea in ragione degli effetti della litis contestatio (vedi infra) limitando l’esercizio
dell’azione alla sola rata scaduta;
la praescriptio pro reo consentiva di evitare, nel caso di rivendica di cosa facente parte di un’eredità, che
l’esperimento dell’azione comportasse la perdita della qualità di erede in capo al convenuto. Gaio afferma
che al suo tempo essa non fosse più in uso, essendosi trasformata in un’exceptio;
2. l’exceptio, rimedio a favore del convenuto, che conteneva l’esposizione della situazione di diritto o di fatto
invocata dal convenuto come modificativa o impeditiva della pretesa attorea. L’exceptio era posta tra
l’intentio e la condemnatio ed era formulata come condizione negativa rispetto all’intentio: se la pretesa
attorea fosse stata fondata, il giudice avrebbe dovuto condannare il convenuto “purché non si fossero
verificati” i fatti menzionati nell’exceptio.
L’exceptio si distingue dalla c.d. “mera difesa”, ossia dal mero diniego della pretesa attore