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La situazione delle minoranze religiose nei vari Stati

L'Icostituzione autoritaria di Guglielmo d'Orange (1816), i valdesi nel regno di Sardegna e tutte le piccole minoranze religiose erano presenti un po' in tutti gli Stati. A esse erano negati i diritti civili; era proibito il proselitismo e, spesso, il culto pubblico. Un'eccezione rappresentavano forse le comunità protestanti e ortodosse nell'Impero austriaco, dove vigeva l'editto di tolleranza emanato da Giuseppe d'Asburgo nel 1781. Gli ortodossi avevano avuto dall'imperatrice Maria Teresa la concessione di avere un patriarca, residente a Karlovitz, dove gruppi di serbi si erano rifugiati tra fine Seicento e inizio Settecento. Ugualmente i riformati francesi, anche dopo la caduta di Napoleone, avevano visto riconosciuti i diritti civili e la libertà di culto; potevano aprire scuole e università e partecipare alla vita politica, mentre i loro pastori erano pagati dallo Stato, come i parroci cattolici. Anche quando erano tutelate giuridicamente,

comunque le minoranze non erano al riparo dall'emarginazione sociale, da soprusi e da periodici episodi di violenza. Particolare era la situazione nell'Impero ottomano, cui erano soggetti i paesi balcanici e la Grecia a maggioranza cristiana, i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, dove i cristiani erano una minoranza. Qui le comunità religiose non musulmane erano istituzionalizzate con il sistema dei millet e rigidamente sottoposte a un'autorità ecclesiastica centrale. Così tutti gli ortodossi, sia che abitassero nei Balcani o in Grecia o in Mesopotamia, sia che fossero di rito slavo o greco melchita o bizantino melchita, o siriaco, erano riuniti in un solo millet, dipendente religiosamente dal patriarca di Costantinopoli, mentre i cristiani membri delle Chiese d'Oriente non calcedonesi (giacobiti, assiri e siri nestoriani, armeni monofisiti) e i copti egiziani monofisiti erano tutti riuniti insieme in un altro millet, dipendente dal patriarca armeno.

Mentre un terzo millet riuniva tutti gli ebrei. Era un sistema secolare, finalizzato soprattutto alla riscossione delle tasse dei dhimmi (minoranze protette), quale, pur nello statuto di inferiorità ed emarginazione politica e civile in cui lasciava le comunità soggette, sostanzialmente aveva sempre garantito ai cristiani dell'Impero ottomano una certa autonomia religiosa e sociale nella gestione interna. Esso lasciava leggi proprie a gruppi etnico-religiosi che vantavano un radicamento sul territorio precedente a quello arabo e turco, ma li rendeva comunità molto chiuse in sé stesse, in cui religione e etnia si confondevano; non li tutelava dai soprusi e li costringeva a unioni giurisdizionali artificiali e forzate che si disgregheranno man mano che il governo centrale declinerà, data la scarsa sintonia tra gruppi diversi, come ad esempio tra gli ortodossi greci, bizantini e arabi, che pure dipendevano tutti dal patriarcato di Costantinopoli.

Nei rapporti con l'Occidente vigevano le capitolazioni, cioè gli accordi secondo cui gli stranieri erano protetti dai governi occidentali, in particolare dalla Francia. Con il trascorrere del tempo in pratica questa protezione si era estesa tacitamente anche ai cristiani presenti nell'Impero, per cui la Francia si sentiva investita del compito di proteggere i cattolici e la Russia di tutelare gli ortodossi. In Medio Oriente esistevano anche Chiese unite a Roma in modo più o meno stabile, come la Chiesa caldea in Turchia e Iraq, la Chiesa maronita in Libano, le Chiese siriaca, melchita e armena cattolica, che pure dipendevano dai millet, o ortodosso o armeno, con inevitabili dissidi giurisdizionali. Non mancavano poi problemi di comprensione e accettazione della cultura e liturgia orientale da parte del cattolicesimo occidentale, che portarono a reiterati tentativi di latinizzazione voluti da Roma e attuati dai missionari presenti da lungo tempo in territorio ottomano, tra cui.I francescani della Custodia di Terrasanta, insediati da secoli in Palestina.

A parte Medio Oriente e le Filippine spagnole, non erano molti i cristiani in Asia. Soltanto in India si trovavano comunità organizzate dei cosiddetti "cristiani di San Tommaso": divisi tra l'obbedienza al patriarca ortodosso di Antiochia (siro-malankaresi), all'arcivescovo di Cranganore (Goa) di patronato portoghese e al vicario apostolico di Verapoly, con giurisdizione sulla Chiesa siro-malabarica unita a Roma. Erano presenti anche convertiti al protestantesimo per opera dei missionari danesi e inglesi che si erano insediati nel territorio nel Settecento al seguito delle Compagnie delle Indie inglese e olandese. Erano andate disperse invece, o comunque avevano perso ogni contatto con l'Occidente, le fiorenti comunità fondate dai missionari cattolici nel corso dell'età moderna. Sopravvivevano in clandestinità solo pochi cristiani in Cina, in Giappone,

nel Tonchino e in Cocincina (Indocina), in genere in zone rurali e con riti sincretistici. L'Estremo Oriente era da tempo chiuso agli europei, tranne che per i rapporti commerciali, anch'essi comunque molto conflittuali. Nonostante questo, a fine Settecento si era avuta una sporadica ma significativa ripresa degli insediamenti missionari. Ad esempio, nel 1785 erano entrati in Cina i primi lazzaristi francesi, segno anche di un interesse della madrepatria sulla regione. Al di fuori dell'Europa territorio più cristianizzato era l'America. Nelle colonie spagnole e portoghesi era prevalsa dal tempo della conquista la politica delle conversioni coatte di massa al cattolicesimo con tutti i problemi conseguenti di evangelizzazione e catechizzazione effettiva degli indigeni. A tre secoli di distanza, si può dire che, tranne che per le tribù dell'interno, soprattutto del Brasile, e del territorio meridionale del Cile e dell'Argentina, fosse avvenuta.

Una completacristianizzazione, favoritaanche dalla diffusa pratica dei matrimoni misti, ma non esente da forme di sincretismo e disuperstizione. All'inizio dell'Ottocento le colonie, in gran parte, si erano rese indipendenti dallamadrepatria, complice la conquista della Spagna da parte di Napoleone, ma la situazione eratutt'altro che stabilizzata e si susseguirono numerosi scontri armati tra indipendisti ed esercitospagnolo fino alla definitiva vittoria degli ispanoamericaniad Ayacucho nel 1824. Solo l'indipendenza del Brasile avvenne in modo meno conflittuale,essendosi costituito in monarchia autonoma nel 1822 sotto la stessa dinastia della madrepatria.laNel Nord America politica dei colonizzatori non era favorevole all'integrazione razziale e, dataanche la bellicosità degli indigeni, scarse erano state le conversioni al cristianesimo, anche se siacattolici che protestantiavevano organizzato spedizioni missionarie e tentato di evangelizzare i nativi,

con esiti a volte drammatici. Nelle colonie britanniche e in quelle francesi, come il Canada passato però all'Inghilterra nel 1763, vigeva lo stesso sistema di rapporti tra Chiesa e Stato presente nella madrepatria, ma le massicce immigrazioni dall'Europa avvenute nei secoli XVII e XVIII, anche per ragioni religiose, avevano determinato una notevole presenza di europei cristiani di diverse confessioni e una tolleranza reciproca molto più sviluppata che in Europa, accentuatasi negli Stati Uniti dopo l'indipendenza. Qui le diverse confessioni religiose, a parte gli episcopaliani anglicani, non avevano mai avuto uno stretto legame con lo Stato, anzi si erano sviluppate proprio come comunità religiose dissidenti rispetto alla religione ufficiale, prive di autorità centrali, anche se divise sulla tolleranza religiosa. I presbiteriani, i puritani e i congregazionalisti erano piuttosto rigidi davanti all'irrompere di altre confessioni, mentre i battisti.

E i quaccheri ispirarono primo progetto di costituzione dello Stato della Virginia (1776), nel quale si sanciva che "tutti gli uomini hanno egualmente diritto alla libera professione della religione secondo i dettami della coscienza, ed è mutuo dovere di tutti di esercitare la tolleranza, amore e carità cristiana, gli uni verso gli altri", principio che poi divenne il primo emendamento della costituzione degli Stati Uniti (1791).

Tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento era stata ripresa l'idea di evangelizzare l'Africa. In effetti, però, in Africa i cristiani erano sempre stati presenti, anche dopo la conquista islamica della costa meridionale del Mediterraneo. A parte i copti egiziani, nutrita minoranza etnica e religiosa in un paese che cercava di scrollarsi di dosso la dipendenza dalla Sublime Porta sotto la guida dell'albanese Mehemet (Mohammed) Alì, esisteva una nazione di antica cristianità come

l'Etiopia è fiera delle sue radici religiose di matrice monofisita e dipendente dal patriarcato copto d'Egitto. A sorreggere il grande tentativo restauratore c'era l'idea che si dovesse cancellare ogni novità portata dalla Rivoluzione, considerata causa di distruzione materiale e morale e dimostrazione anche del fatto che senza religione la società fosse destinata alla rovina. Già durante il periodo rivoluzionario si erano levate voci di condanna assoluta dei rivolgimenti politici, sociali e religiosi da parte di esponenti sia del cattolicesimo che del protestantesimo, e non solo per i metodi violenti con cui erano stati messi a tacere gli avversari, ma anche per convinzione, da un lato, che l'abbattimento di ogni istituzione da parte dei rivoluzionari avesse impedito una riforma pacifica delle istituzioni e, dall'altro, che i principi di libertà e uguaglianza fossero incompatibili con l'essenza e la struttura del cristianesimo. Nei paesi cattolici,dove si era in gran parte consumata la vicenda rivoluzionaria, la riflessione più approfondita e critica. L'esperienza traumatica dello sconvolgimento delle istituzioni ecclesiastiche operate in Francia, nei territori delle repubbliche "sorelle" e poi nell'Impero napoleonico e nei Stati satelliti; il giacobino tentativo di scristianizzazione; le persecuzioni (deportazioni, esili, condanne a morte) verso il clero e i fedeli colpevoli di non voler riconoscere il governo rivoluzionario; la deportazione di due papi con la conseguente perdita del potere temporale spingevano le autorità religiose e gran parte delle classi dirigenti a sposare la causa del ritorno all'antico regime, nella convinzione che solo in un regime assolutista e confessionale potessero essere garantite tutela e libertà d'azione alla Chiesa. La maturazione post-napoleonica di queste teorie diede vita a un movimento di pensiero che, riflettendo sugli eventi avvenuti a cavallo dei due secoli.filosofi greci, che il mondo è composto da quattro elementi fondamentali: terra, acqua, aria e fuoco. Questi elementi sono considerati le basi di tutto ciò che esiste e si combinano in varie proporzioni per creare la diversità che osserviamo intorno a noi. La terra rappresenta la solidità e la stabilità, l'acqua simboleggia la fluidità e la trasformazione, l'aria rappresenta il movimento e la leggerezza, mentre il fuoco simboleggia l'energia e la trasformazione. Questa teoria degli elementi è stata ampiamente accettata nel corso dei secoli e ha influenzato molte discipline, tra cui la chimica, la medicina e l'astrologia.
Dettagli
Publisher
A.A. 2020-2021
132 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/07 Storia del cristianesimo e delle chiese

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher dtai59 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di storia del cristianesimo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Ca' Foscari di Venezia o del prof Vian Giovanni.