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3.5 CREARE UN MERCATO NAZIONALE
Ingente fu la legislazione diretta all’unificazione economica e cioè alla creazione di un mercato
paragonabile a quelli di altre nazioni europee. L’opera legislativa in questo campo coprì un arco
molto vasto:
• Pesi e misure
• Sistemi monetari e zecca
• Bilancio, debito pubblico e buoni del Tesoro
• Demanio, dogane (tariffe e uffici doganali), imposte e tasse (estensione della tariffa doganale
piemontese, unificazione dell’imposta indiretta sugli affari, imposte fondiaria e sui fabbricati,
imposizione sui redditi di ricchezza mobile)
• Gioco del lotto, privative dei sali e dei tabacchi
• Ordinamento del Tesoro, disciplina della contabilità generale dello Stato
• Appalti e lavori pubblici, convenzioni telegrafiche, poste, ferrovie, camere di commercio.
La costruzione di un nuovo Stato avrebbe richiesto interventi sulla sua costituzione,
sull’amministrazione, sull’apparato giudiziario, sui rapporti tra poteri pubblici e cittadini. Invece, al
centro dell’attenzione legislativa vi fu l’economia, per la necessità di creare un mercato ampio,
protetto verso l’esterno da efficaci barriere doganali, ma senza barriere interne, per il bisogno di
sviluppare produzione e commercio, per l’esigenza di provvedere all’aumento delle spese e al suo
finanziamento.
Dietro questa vigorosa legislazione non c’erano solo preoccupazioni di tipo economico ma vi erano
anche preoccupazioni riguardanti il settore sociale. Ad esempio, la relazione al disegno di legge del
1861 sulle ferrovie menzionava la “suprema necessità della nazione di riavvicinare fra loro le varie
province”. La commissione della Camera dei deputati, discutendo delle ferrovie calabro-sicule
notava che occorreva costruirle “per fare atto di giustizia distributiva nel novello consorzio delle
province italiane e per correggere rapidamente i vizi della storia e quelli della geografia”.
3.6 LO “STATE BUILDING” ITALIANO
Sempre analizzando la rassegna legislativa del quadriennio si può dare una conclusione sulle radici
dello State building italiano. Le radici non vanno rintracciate in esigenze militari anche se fu forte la
preoccupazione dei primi governi di dotarsi di un apparato militare, ma questo non poteva competere
con quello di altre nazioni che avevano imponenti mezzi militari organizzati. Quindi le esigenze
belliche non furono come in molti altri casi il catalizzatore della formazione statale italiana. Le radici
non sono nemmeno rintracciabili nel bisogno di ergere una nazione a Stato. Erano pochi gli elementi
identitari: vi erano una molteplicità di popoli, distribuiti su un territorio sconnesso, lo sviluppo sociale
ed economico era molto diverso, solo il 2,5% degli abitanti del territorio italiano parlavano l’italiano
e si stima che intorno al 10% potesse capirlo, il tasso di alfabetizzazione non era uniforme ed anche
il tasso di criminalità: in Lombardia si registrava nel 1873 un omicidio su 45 mila abitanti, mentre il
Sicilia un omicidio su 3 mila e 500 abitanti. Si può quindi sostenere che paradossalmente in Italia si
è avuto uno Stato prima che una nazione e che lo Stato è servito a costruire la nazione (famosa
frase di Massimo d’Azeglio “fatta l’Italia, occorre fare gli italiani”) e che lo Stato è nato debole proprio
per l’assenza di una nazione. 6
Quindi le ragioni dello State building vanno cercate nelle ambizioni del nascente capitalismo italiano.
La classe dirigente politica era costituita da proprietari terrieri e imprenditori (es. Cavour e Ricasoli)
essi guardavano con ammirazione all’”Europa in marcia” ossia al decollo industriale di Inghilterra e
Francia attribuito alla creazione di un largo mercato interno che poteva rafforzare la produzione e il
commercio. Gli idealisti come Mazzini sostenevano che la taglia minima di una nazione non
consentiva che in Europa vi fossero più di 10 o 12 Stati e quindi non ammetteva che fossero tali la
Sicilia, la Bretagna o il Galles. Dall’altro, si era pronti a consentire che in una nazione si parlassero
più lingue ma non era consentita una pluralità di ordini giuridici od economici. Ai costruttori del nuovo
stato si chiese di assicurare le condizioni per sviluppare un mercato nazionale secondo un sistema
“per cui i governi consideravano le economie nazionali come insiemi da svilupparsi sulla base
dell’impegno e della politica statali.
Più tardi i nazionalisti come Alfredo Rocco svilupparono questa concezione fino a concepire una
concorrenza economica tra sistemi nazionali.
Funzionale a questa esigenza prioritaria era quella di mantenere l’unità e l’ordine del Regno; per
questo motivo la preoccupazione per il cosiddetto brigantaggio, per l’esercito meridionale (volontari
di Garibaldi), quella per l’unificazione delle forze militari e delle altre necessarie per il mantenimento
dell’ordine pubblico.
In conclusione, i primi governi unitari si preoccuparono meno dello State building e più della
creazione di un mercato, meno di un apparato di organi e regole amministrativi e più dell’unificazione
economica.
La formazione di una unità politica sul territorio ha come giustificazione quella di cancellare le
difformità territoriali che impedivano la circolazione economica (di beni, servii, persone e mezzi
finanziari) in uno spazio sufficientemente ampio per consentire lo sviluppo di interessi economico-
produttivi. Tutto ciò nel quadro di una suddivisione in nazioni di ampie dimensioni e in funzione di
quella che sarà chiamata “economia nazionale”.
Questo specifico modo di formazione può spiegare sia il tasso di dipendenza dall’economia dello
Stato (ciò si comprende se si tiene conto che lo Stato si presta a ruolo di guida e come creatore
delle condizioni del suo sviluppo), sia dell’eccessivo accentramento (si intende se si valuta che gli
autonomisti, i critici dell’accentramento, in realtà, lamentavano l’uniformità che andava di pari passo
con la centralizzazione o addirittura ne era la causa).
La presenza del profilo economico è stata enfatizzata da coloro che hanno stabilito una connessione
tra nascita del capitalismo ed emergenza degli Stati moderni. Ed è stata sottovalutata o non è stata
colta da chi ha esaminato soltanto l’aspetto ideologico o quello politico, senza soffermarsi sui
concreti atti di governo.
Questo modo peculiare della formazione di un corpo politico unitario nella Penisola può essere posto
a confronto con 2 altre formazioni politiche: il Reich tedesco (la cui nascita avviene nel 1871 ed ha
le sue radici nello Zollverein avviato circa nel 1834) e l’Unione europea (nella versione consolidata
del Trattato di Lisbona entrato in vigore nel 2009 ha le sue radici nella Comunità economica europea
istituita 50 anni prima nel 1957). Né i padri fondatori dello Zollverein né i padri fondatori della
Comunità economica europea pretendevano di costituire uno Stato, essi pensavano che uno Stato
era il punto di arrivo e non di partenza di un nuovo corpo politico.
CAPITOLO 2: I CARATTERI COSTANTI
Lo Stato, inteso come organizzazione politica è un organismo non immortale ma con una vita lunga
e dominato dalla continuità. Il modo in cui si realizza in Italia presenta caratteristiche peculiari.
Arrivato all’unificazione in ritardo a causa: delle dominazioni straniere, lo Stato temporale della
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Chiesa, la disunione strutturale, il Paese passava per una monarchia con la volontà di unità e di
continuità proprie di una dinastia. I modi e il ritmo della crescita del suo corpo politico amministrativo
non saranno quelli degli altri Stati moderni, dove continuità e cesure (Pause) si alternano. Nel nostro
caso, al di là delle pause vi sono caratteri ricorrenti; una storia fredda, dominata da permanenze,
punteggiata da cesure che non riescono ad andare in profondità, tanto da costituire svolte e
cambiamenti radicali.
Costantino Mortati, uno dei maggiori costituzionalisti italiani notò la “persistenza di alcuni caratteri
che hanno contrassegnato la vita delle istituzioni fin dal principio dell’unificazione, espressione di
scarsa preparazione delle classi dirigenti e di un senso dello Stato nei cittadini. Vi sono dunque
caratteri costanti, che fanno sentire la loro presenza nella varietà delle situazioni succedutesi nel
tempo”.
La persistenza di alcuni tratti negativi non sfuggiva ai contemporanei. Un decennio dopo
l’unificazione, uno dei protagonisti il Ricasoli, osservava che “proclamato il nuovo regno, la storia
che ne succede non è splendida. Trent’anni dopo, Giolitti poteva annunciare l’apertura ai socialisti
con il famoso ossimoro: “oggi è opera eminentemente conservatrice delle nostre istituzioni
fondamentali quella di radicali riforme”.
Il fascismo sarà lo “sbocco fatale di una malattia cronica che insidiava lo Stato fin dal suo sorgere”;
esso “esasperò tutte le insufficienze, aggravò tutte le piaghe che martoriavano la nazione fin dal suo
costituirsi a Stato”. Per cui vi fu “continuità tra vecchio e nuovo regime”.
Come poteva essere altrimenti, se l’unità politica istituita nel 1861 conservò i vertici dello Stato
piemontese? Se il regime fascista si valse di quelli dello Stato liberale, sia in termini di personale
politico, sia per quanto riguarda il personale amministrativo. Se il nuovo ordine nato nel 1948
conservò, a sua volta, i vertici amministrativi dello Stato fascista.
1. UNA COSTITUZIONALIZZAZIONE DEBOLE
Il 1° dei tratti distintivi della storia politica italiana riguarda il processo di costituzionalizzazione, cioè
il modo in cui la nuova unità politica si dette una costituzione e la rinnovò, i caratteri delle sue
costituzioni, l’efficacia che esse riuscirono ad avere.
L’Italia ha avuto 2 costituzioni:
• Lo Statuto albertino del 1848: è stato in vita 85 anni dal 1861 al 1944.
• La Costituzione repubblicana del 1948: è in vita da 69 anni, dal 1948 ad oggi.
Ambedue gli atti fondativi sono stati deboli ed hanno giocato un ruolo secondario nella “costituzione
materiale” del paese, sia pur in modi diversi.
L’Italia unita non si dette una costituzione ma ereditò quella dello Stato dominante ossia il Regno di
Sardegna. Lo Statuto albertino, di 13 anni precedente all’unificazione, era stato adottato sull’onda
dei moti rivoluzionari europei del 1848 con l’intento di conservare alla corona la più ampia autonomia
compatibile con il sistema rappresentativo. Dunque, lo Statuto non era una vera e propria
costituzione, non era stato approvato da un’assemblea elett