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1 L’EPURAZIONE E L’APOLITICITA’ COME VALORE
Il 25 luglio 1943 il regime di Mussolini cadde, il 25 aprile 1945 venne meno anche la Repubblica
Sociale Italiana, l'Italia divenne una repubblica nel 1946 e la Costituzione del 1948 stabilì un governo
democratico. Nel periodo compreso tra l'armistizio e la Liberazione vi fu un esodo dal pubblico verso
il privato, non emerse la fedeltà per lo Stato. Le cronache dei ministeri del settembre 1943 (quando
piombo l'ordine del trasferimento al nord, rivelano l'ambigua realtà di un mondo spaesato). Nel crollo
generale sembrò allora ritornare come risorsa estrema la strutturale separazione del mondo
burocratico dalla realtà, attraverso il rifugiarsi nella routine quotidiana. La stessa traumatica divisione
del paese fu vissuta dalle due burocrazie (la prima quella che seguì i fascisti a Salò e la seconda
quella che invece si ricompose a Brindisi nell'Italia liberata) con atteggiamenti e motivazioni
paradossalmente simili: molti si rifugiarono nell'amministrazione, fu la continuità formale dei
protocolli e poi il rispetto scrupoloso delle regole a dare a molti quelle certezze che venivano a
mancare sul piano più generale. Tra il 1943 e il 1948 una serie di leggi regolarono ciò che si
presentava sulla carta come un vasto tentativo di realizzare la de-fascistizzazione e quindi
l'epurazione dell'amministrazione. Nel 1944 fu creato l'Alto Commissariato per l'epurazione. Un
decreto luogotenenziale del novembre 1945 poi avrebbe istituito anche una sezione speciale del
Consiglio di Stato al posto della Commissione centrale di epurazione. La legge sull'epurazione e
due difetti capitali: il primo fu l'applicazione parziale, il secondo fu la resistenza che le nuove norme
incontrarono nell'amministrazione. Il decreto legge n.48 del 7 febbraio 1948 avrebbe chiuso la
questione delle epurazioni e la legge del 14 maggio 1949 n. 326 avrebbe messo sopra un definitivo
sigillo. Tra il 1943 e il 1946 la macchina dell'epurazione impegnò per l'energia di una larga parte
dell'amministrazione. Basti pensare che alla fine del 1944 (cioè all'inizio dell'epurazione), risultano
in funzione 48 commissioni di primo grado presso le amministrazioni centrali, 72 per gli enti
controllati, 3 per la revisione degli albi professionali, 1 per la personale della Real Casa, 1 per la
Commissione per il Comune di Roma. in più Erano in corso di nomina altri 37 commissioni per gli
enti e 7 per gli albi professionali. Infine, cominciarono a formarsi le commissioni che si sarebbero
insediate in tutti i capoluoghi di provincia.
Tre costanti emergono però con chiarezza:
La prima è relativa al rapporto tra numero degli esaminati ed entità complessiva del personale: circa
2/3 degli Statali vennero colpiti dall'epurazione. Centinaia di dipendenti vennero chiamati per
rispondere dei propri comportamenti e delle proprie carriere nei due anni della guerra civile e nel
precedente ventennio fascista. Gli Archivi restituiscono il quadro dei compromessi quotidiani che
caratterizzarono la vita negli uffici durante il fascismo e dopo.
La seconda costante riguarda le cifre dei giudizi iniziati e portati a termine: le pratiche iniziate furono
poche, furono tantissimi i ricorsi.
La terza si riferisce al merito dei giudizi: emerge l'alta percentuale dei proscioglimenti, le norme
venivano applicate in maniera blanda, prevalsero alla fine i giudizi favorevoli. L'epurazione produsse
conseguenze sulla psicologia di gruppo: la burocrazia pensò di aver subito un'ingiustizia,
colpevolizzando i partiti della sinistra e le forze legate al vento del nord. L'apoliticismo come ideologia
diffusa risultò ulteriormente radicato nella cultura del burocrate italiano in seguito all'esperienza
dell'operazione antifascista. 12
2 LE POLITICHE DEL PUBBLICO IMPIEGO NEGLI ANNI CINQUANTA
Nell'immediato dopoguerra l'amministrazione italiana crebbe solamente di dimensioni. La condizione
degli avventizi rimane il più grave problema da affrontare. Nel settembre 1944 il Tesoro cerco di
imporre il licenziamento di tutti gli avventizi, ma le reazioni dei ministeri ostili e si dovette prima
prorogare il termine del provvedimento e poi nominare un comitato di ministri per lo studio del
problema.
Nel luglio 1947 una commissione, presieduta dal sottosegretario alla presidenza Giulio Andreotti, fu
incaricata di studiare i criteri per una riduzione del personale: il decreto legislativo n. 1262 del 7
aprile 1948 stabiliva speciali ruoli transitori per gli avventizi, ma applicando a loro le disposizioni
dello stato giuridico, dandogli la possibilità di riscattare l'intera prestazione anteriore alla nomina dei
ruoli.
Il decreto bloccò formalmente l'assunzione di nuovo personale avventizio. I provvedimenti del
periodo mirarono a riequilibrare stipendi pubblici, che restarono comunque inadeguati al costo della
vita: Ne deriva una vera e propria retrocessione sociale della piccola borghesia burocratica.
Di fronte ai problemi economici del dopoguerra si tendeva ad interventi settoriali, l'inflazione la
drammatica realtà del precariato comportavano una pioggia di provvedimenti-tampone. Già
nell'aprile 1947 il secondo congresso nazionale della Federazione degli statali decretò le difficoltà
esistenti tra sindacato e il pubblico impiego: veniva documentato un netto peggioramento relativo
alla condizione retributiva delle fasce alte.
Gli spazi lasciati liberi dalla Cgil furono immediatamente occupati dal sindacalismo autonomo, esso
ebbe un innegabile capacità nel creare una subitanea pressione nei confronti del Parlamento e dei
partiti; si ritornava ora alle manifestazioni in piazza, ma toccava per la prima volta i vertici che erano
desiderosi di ristabilire le distanze sociali.
Nell’ottobre 1948 nacque la Dirstat, l'organizzazione dei direttivi statali. Nel frattempo, ci erano
trasformazioni nella burocrazia. Caduto il fascismo, i dirigenti dei ministeri avevano perso prestigio,
i burocrati che si erano formati nel corso del regime liberale avevano lasciato il passo alla
generazione allevata dal fascismo, molto meno preparata, e in parte anche ad una nuova leva
entrata dopo la guerra. Cominciò allora l'infiltrazione dei partiti nell'amministrazione.
Nella ricostruzione italiana e nella ripresa economica la burocrazia non era più il perno dello sviluppo.
Si tentarono una serie di iniziative di modernizzazione dell'amministrazione (promosse dall'Ufficio
per la riforma burocratica) ma i progetti rimasero irrealizzati. Il burocrate nei ministeri adempiva a
procedure interminabili, timbri, copie, all'ordinamento di archivi straripanti di carta e alla penna e al
calamaio. 3 UNA BUROCRAZIA DEMOCRISTIANA?
La forza politica che nel dopoguerra aveva compreso la burocrazia fu la Democrazia Cristiana. l'élite
politica cattolica aveva bisogno della collaborazione della burocrazia e sapeva di poter contare
sull'appoggio dei ceti medi impiegatizi.
Gli ultimi anni 50 videro un netto aumento degli uffici e dei posti direttivi. Due leggi in particolare, 1)
legge n. 988, Pitzalis, del 1959 e 2) la legge n. 1143, Fanfani, del 1961 previdero la promozione
senza concorso delle prime 3 qualifiche di ogni carriera e la promozione in soprannumero alle
qualifiche finali delle tre carriere inferiori e alla qualifica di ispettore generale della carriera direttiva.
La dirigenza amministrativa mantenne una certa distanza dalla politica, più che democristiana, fu
direttamente qualunquista; ciò non escluse l'intreccio che si ebbe tra direttori generali della
burocrazia ministeriale e politici di governo. L'influenza dei partiti di governo si fece sentire di più
negli enti pubblici. 13
La Cassa per il Mezzogiorno reclutò personale di varia provenienza, generalmente di buon livello
tecnico; la Cassa come l'Inps e l'Eni furono organizzazioni burocratiche con centinaia e migliaia di
dipendenti, spesso chiamati senza concorso e selezionati attraverso prove concorsuali gestite a
discrezione dei rispettivi gruppi dirigenti interni. I partiti di governo si spartirono le nomine secondo
le regole della lottizzazione a differenza di quello che successe col Fascismo ora anche glie enti
economici erano dipendenti dalle decisioni politiche.
4 CONTINUITA’ E CAMBIAMENTO: DAGLI ANNI SESSANTA AI SETTANTA
Nel 1962 gli impiegati dello Stato e delle aziende autonome erano 1 339 926 ed erano per lo più di
estrazione meridionale. La cultura dominante era naturalmente quella giuridica e gli impiegati anziani
erano la maggioranza, non c'era spazio per l'innovazione.
Nel 1957 il nuovo testo unico sul pubblico impiego (primo stato giuridico dell'Italia repubblicana)
aveva ricalcato quello giolittiano del 1908, confermando le gerarchie rigide e il criterio di anzianità
per le promozioni. Il caso italiano era paradossale: un sistema economico moderno e dinamico,
andava sviluppandosi con un sistema amministrativo e statico. Fu anche il periodo del miracolo
economico che scatenò però la crisi sociale, dovuta all'impiego pubblico.
Negli anni sessanta il governo era in mano al centro-sinistra, i socialisti e i repubblicani di Ugo La
Malfa ed alcuni settori della sinistra cattolica tentarono di fare alcune riforme. Larga parte della
Democrazia Cristiana desistette e la burocrazia con loro: sono nella storia gli scontri di idee e di
cultura amministrativa tra i giovani funzionari del ministero del bilancio e della programmazione
(riformismo basato su forme organizzative più flessibili) e la tecnocrazia del tesoro (modello
gerarchico); lo scontro politico interno al centrosinistra si concluse con il prevalere di questa seconda
concezione.
Gli ultimi anni 60 e primi anni 70 rappresentarono per l'impiego pubblico un periodo di profonde
trasformazioni. 1966, storico incontro tra Cgil, Cisl, Uil e governo che pose le basi per due importanti
leggi delega: nella seconda si stabilì che le mansioni e il trattamento economico di operai e impiegati
dovessero essere disciplinati da un regolamento: la contrattazione si radicò gradualmente
nell'ordinamento. Nel 1968-1969 ricevette un riconoscimento formale anche per gli enti ospedalieri.
La successiva legge n. 382 del 22 luglio 1975 dispose poi (ad eccezione dei dirigenti) per tutti gli
altri dipendenti dello Stato che il trattamento economico fosse stabilito con decreto del Presidente
della Repubblica, con necessità di approvazione delle spese dalla Ragioneria. Si manifestava così
una tendenza alla “contestualizzazione” del rapporto di impiego pubblico che avrebbe agito
fortemente per tutto il ventennio successivo. La prima conseguenza fu l'espansione del sindacalismo
confederale. Cgil, Cisl e Uil penetrarono nell'ufficio pubblici, la Cgil i dipendenti degli enti locali,
dell'ospedale e