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Estratto del documento

L’uomo è quindi debitore verso la società che crea la sua mente, che, separandosi

dal corpo, si pone domande su se stessa e sulle proprie origini, alle quali,

tuttavia, la società non sa rispondere in quanto incapace di comprendere la vita.

Così egli avverte su di sé l’indeterminatezza della condizione umana, prigioniera

del passato. Il senso di precarietà e di angoscia per l’esistenza che ne deriva,

quindi, sta alla base alla nascita di rappresentazioni religiose, fantastiche: lo

stesso Freud (neurologo e psicanalista austriaco) parlerà, infatti, di come già

l’uomo primitivo avesse proiettato la propria affettività sull’elemento magico del

mito e della tradizione.

Anche il tedesco Simmel (come Marx, sociologo del conflitto), considera infatti la

vita come energia pura senza forme fisse, contenuta dalla forma, ossia dai confini

dati dai riferimenti normativi per esorcizzare il nulla.

Il biologo Prodi presenta, invece, la morale come elemento costitutivo della

specie umana, indipendente da forme culturali, affermando che l’uomo (ovvero

l’essere sociale) nasce nel momento in cui si adatta al linguaggio, elemento che

lo distingue dagli animali (che assimilano le cose e le adattano all’organismo

grazie all’incorporazione metabolica, che distrugge le cose e non rispetta la vita),

ma che offre l’immagine di una natura umana disponibile a farsi plasmare.

Anche secondo il letterato Brown, l’unione delle dimensioni interna ed esterna è

affidata, nell’uomo, al linguaggio, espressione del vuoto e della frustrazione

generata dall’inutile tentativo di prendere il posto della vita, di sostituire il

contatto fisico e sensibile con l’ambiente, collocando le cose, come sostiene

Piazzi, psicologo dell’età evolutiva, in un contesto che ne esalta l’aspetto ideale.

Tramite l’incorporazione simbolica del linguaggio si perde la sensibilità

extra-sensoriale, ma si acquista la capacità di socializzazione, con la

quale è possibile rimuovere la specificità umana tramite il dialogo, nel

quale, secondo Piazzi, il confronto fa emergere l’idea che ottiene

maggior consenso da parte del pubblico e spinge l’uomo che ne esce con

meno valore a cambiare la propria natura interiore per trovare un senso

nella relazione con la società consistente che penetra la sua mente. Nel

sistema dei valori condivisi, l’uomo supera le proprie caratteristiche

specifiche attraverso rinunce e rimozioni del “sapere emotivo” silenzioso

(che fa riferimento all’emisfero destro, anziché a quello cognitivo sinistro

che la società ha sviluppato maggiormente), passando, attraverso la

comunicazione, dall’ego all’alter, dall’essere “povera gente” a “gente in

gamba”.

Così come lo scrittore e filosofo Blanchot sostiene che l’essere nominato annulli

l’oggetto, il filosofo Hyppolite definisce “comunicazione” come negazione di

sé stessi, nella quale ci si può perdere o si può trovare un altro essere per

sé, arrivando a percepire, quindi, le cose e gli altri esseri come realtà suscettibili

di modificazioni. La società, infatti, cerca di interrompere la vita emotiva

lasciandole poco tempo disponibile per svilupparsi. Eppure essa continua

ad esistere, ma non si lascia comprimere nelle parole.

Con la comparsa della parola, quindi, il bambino diventa un bambino qualunque,

poiché la trasmissione culturale non rafforza l’identità biologica, ma costruisce il

soggetto in nome della differenza tra culture.

Goux parla infatti di “paternità spirituale” della trasmissione culturale, opposta

all’eredità biologica della madre. La legge del padre è, quindi, alla base dell’idea

di centralità dell’altro come punto di partenza dello sviluppo umano: ciò si realizza

nel momento in cui la pelle che univa la madre e il bambino, si lacera, diventando

un confine tra l’interno e l’esterno. La madre non media più tra le esigenze

esterne e le richieste di cura del bambino, poiché la sua attenzione viene mediata

dai fattori culturali: ella diviene una figura paritetica a quella degli altri educatori,

espressione delle aspettative della cultura a cui appartiene, e si distanza così dal

bambino, la cui vita viene vista in una prospettiva futura, funzionale alla sua

realizzazione nella società, del tutto priva di un’attenzione particolare per quella

vita. E non è escluso che ai figli capiti di dover ereditare i fallimenti dei genitori

stessi, ritrovandosi a dover realizzare un’idea che non appartiene al proprio modo

di essere, a dover riprodurre un modello di esistenza mancata.

Il filosofo francese Bachelard afferma, infatti, che il bambino conosce l’infelicità

attraverso gli uomini, proprio nel momento in cui raggiunge l’età della ragione,

perdendo il diritto di immaginare il mondo, ovvero proprio nel momento in cui la

madre si propone il dovere, al pari degli altri educatori, di insegnare al figlio ad

essere oggettivo. E poiché il bambino si fida di lei, l’involucro protettivo si spezza,

lasciando il corpo fragile e violabile ad accumulare una memoria sociale.

Il mondo prende il posto del grembo della madre al punto che l’uomo si

presta a rafforzarne le differenze, trovando il senso della sua esistenza

nella stima degli altri, convincendosi che la natura umana si costruisca

assecondando l’istinto gregario instaurando relazioni ed incontri,

lasciando la vera vita ai margini della relazione col mondo.

Durkheim parla, infatti, di un “uomo posseduto” dalla “coscienza

collettiva”, di un sentire comune, ovvero il modo di percepire ed amare

della società, in rapporto al quale l’uomo inizia a valutare sé stesso e a

considerare tutto come una questione formale. Così il bambino non è più

un essere compiuto, ma viene sottoposto all’esame della società, che ne

svaluta l’identità specifica, indebolendo la vita e rafforzando la

dipendenza dal sociale (un sistema, in realtà, morto, che non può vivere

se non dentro l’uomo), mitigata dalla valorizzazione del senso di

solidarietà, di appartenenza comunitaria e dalla condivisione di forti

valori.

Ma in tal modo il bambino non segue più la logica del gioco descritta da

Marcuse, nella quale non vi erano costrizioni o l’indispensabilità della

presenza di un oggetto o di compagni, ma innalza la sfera culturale fatta

di norme e valori che non ha scelto, apprendendo le tecniche che gli

consentono di stare insieme agli altri secondo le norme e le finalità del

gioco.

Allo stesso modo, la vita si manifesta attraverso il pianto, che, tuttavia,

diventa una falsificazione strumentale nelle lacrime finte, o che viene

represso in funzione della conservazione della propria identità

(soprattutto nel sesso maschile).

L’amore stesso, come afferma il saggista francese Quignard, viene rifiutato dalla

civiltà, che lo comprime e lo disciplina, subordinandolo ad un riconoscimento da

ottenere, meritare: senza la ragione l’uomo non può essere altro che una bestia.

Il filosofo francese Ruyer sostiene, infine, che l’apparizione della

coscienza consente all’uomo di conoscersi da un punto di vista esterno,

in base al quale egli cerca di adattarsi al contesto culturale di

riferimento, causando l’emergere delle differenze intraumane, proprio a

partire dal mancato riconoscimento dei nostri simili come parte della

vita.

Secondo Parsons, con la sublimazione, l’individuo canalizza le energie

verso il sociale e con l’interiorizzazione assume valori e regole. Ad esse

seguono la sostituzione dei vecchi modelli (ovvero il passaggio dalla

madre alla maestra) e la generalizzazione, che lo porta a vivere in un

ambiente astratto e generalizzato. Il bambino, da una vita prima di

forma diventa producendo un falso sé che lo rende generico e

sostituibile, rafforzando l’estensione dei comportamenti utili al punto da

dimenticare sé stesso e aderire all’”altro generalizzato”. Egli assimila la

libertà dell’uomo alla possibilità di sostituire una relazione con un’altra,

ovvero sulla possibilità di investire affettivamente su nuovi oggetti

sociali, ma rivestendo comunque un ruolo sociale impersonale (il cui

rifiuto lo rende un deviante). Parsons individua, infatti, la gerarchia

cibernetica che governa la società, strutturata su più sistemi, in cui i più alti

controllano i più bassi: il sistema culturale (identità, una quarta entità) e quello

sociale (Super-Io) sono poveri di vita, ma ricchi di informazioni che l’uomo

assimila e riproduce, trovando nella cultura le spiegazioni al suo comportamento;

il sistema psichico (Io) e quello organico (Es), ovvero la personalità ed il corpo,

sono, al contrario, ricchi di energia, ma poveri di informazioni. Un ulteriore

passaggio si ha dall’altro generalizzato all’altro globalizzato, in cui il dato

culturale si annulla nell’omologazione degli individui alla logica del mercato.

L’uomo è considerato, quindi, un sé relazionale, un corpo docile che si

offre completamente all’altro senza nascondere nulla, consentendo alla

società di convertire la sua specificità in un dato misurabile e

confrontabile, ma continuando a considerare la vita improduttiva fino a che non

si mostra, fino a che le qualità non diventano capacità. Se soltanto ciò che

produce valore è la vera vita, la consapevolezza delle proprie capacità diventa un

potenziale da sfruttare per affermarsi sul mercato ed ogni oggetto acquisisce

valore soltanto se ad esso viene attribuita una cifra, ovvero nel momento in cui la

società definita da Piazzi “evanescente” lo svuota, attribuendogli un valore di

scambio, ossia il denaro. L’uomo finisce, così, per perdere la consapevolezza di

essere come gli altri, negando egli stesso il libero arbitrio.

Il disprezzo dell’altro è un elemento incoraggiato, infatti, dai sistemi economici

fondati su rivalità e successo individuale, benché il successo economico non abbia

saputo mitigare la solitudine individuale che il crollo delle strutture in cui l’uomo

era protetto dovuto al capitalismo ha portato con sé.

A tal proposito, Crespi individua due modalità di relazionarli col proprio corpo: si

può essere un corpo, se tutto ciò che si vive o sente avviene all’interno del corpo

in cui noi ci identifichiamo, o si può pensare il corpo come una proprietà, uno

strumento da

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
7 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/07 Sociologia generale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher GiovannaUrb di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi "Carlo Bo" di Urbino o del prof Stauder Paolo.