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Gli Stati sono in difficoltà nel gestire le nuove religioni con i vecchi strumenti della laicità. Le nuove forme si
adattano meglio alla globalizzazione come abbiamo visto con il salafismo. Le Ciese tradizionali rimangono
invece molto legate alla cultura, rimanendo distaccate da ogni contesto e deterritorializzate.
Questi cambiamenti hanno portato la laicità a gestire le forme di fondamentalismo con coercizione
determinando una separazione tra laicità e democrazia.
Lo stato francese, il modello giacobino, va in crisi ed in Europa si sviluppa uno Stato tecnocratico basato sulla
privatizzazione dell’economia, sulla formazione delle istituzioni solo da parte di esperti, mentre l’azione
sociale è affidata a Ong e Onu. La sacralizzazione dello Stato è presente nei paesi di diritto romano, ma
assente in quelli della common law, quindi anglosassoni. Ora il modello dominante è quello anglosassone che
vede nel protestantesimo e nella common law la vera modernità dove è il contratto tra individui a creare il
vero legame politico, l’ultima modernità riguarda il concetto di società civile. Nel prospettare la
democratizzazione di uno Stato esso non viene più visto come fattore costitutivo quindi il problema della
laicità perde significato in quanto conta solo la secolarizzazione. In Francia si continua a considerarla come
una forma di laicità e quindi di fedeltà allo Stato.
Il fondamentalismo contemporaneo, agente della mondializzazione
I fondamentalisti cristiani ed islamici hanno in comune l’impegno per la definizione di una religione pura al
di fuori della cultura. Il neofondamentalismo presuppone una rottura con forme di pratica religiosa ecco
perché prende il nome di religione dei born-again. Rifiuta l’eredità culturale, crede che la salvezza si ottenga
immediatamente con la fede, si individua nella religione un insieme di dogmi che costituiscono più un codice
che un sapere. Queste norme vengono attuate attraverso l’ammonizione o la polizia religiosa. I
neofondamentalisti ritengono che la cultura si ridondante e minacciosa quindi vengono vietate le belle arti,
romanzi, musica ecc. non si occupano delle questioni sociali e la differenziazione dei sessi è per loro molto
importante come quella tra credenti e non credenti. Nella sua apologia della deculturazione accogli le
popolazioni sradicate e deculturate. Essendo deterritorializzato il neofondamentalismo non si interessa allo
Stato e per questo è fuori dal campo statutale quindi lo Stato non pesa su di esso. Il neofondamentalismo
non chiede niente allo Stato se non di negativo: di non portare il velo, di salutare senza stringere la mano ecc.
Differentemente la Chiesa voleva imporre i propri valori a tutti in quanto credeva fossero universali, legati ad
una morale naturale. Per i neofondamentalisti la legge non è il Bene, ma è la Legge. L’individuo non è per
niente secolarizzato, ma come tutti i born-again si sente determinato e motivato dalla religione.
Come gestire il neofondamentalismo?
Oggi il neofondamentalismo è considerato come una minaccia in quanto è elemento di disgregazione sociale.
Si ritiene che l’islam sia in pericolo proprio perché privo di limite territoriale: è un’entità astratta senza
radicamento in una società e una cultura. Uno Stato laico come la Francia ha reagito con la
riterritorializzazione a tutti i livelli. Si è reso omogeneo lo spazio pubblico, cancellandone l’espressione
religiosa che richiama un altro contesto. La riterritorializzazione significa anche la ricerca di un Islam
nazionale. Affinché una riterritorializzazione funzioni deve puntare all’inclusione deve cioè offrire all’islam
una propria collocazione senza porre la questione del dogma, ma solo quella delle regole del gioco. I simboli
e il protocollo sono importanti in quanto attribuiscono notabilità alle entità religiose e nei confronti del
dogma non deve essere attutato nessun tipo di intervento, i rappresentati del culto devo essere considerati
dei religiosi la cui autorità spirituale deriva dalla libera concessione dei membri volontari di una comunità
religiosa.
Integralismo, comunitarismo e secolarismo
L’integralismo è una forma di fondamentalismo che non riguarda più la società nel suo insieme, ormai
secolarizzata, ma solo il credente tenta di vivere in modo segregato la sua fede. L’integralismo cerca dei
compromessi perché non mette mai in discussione il dogma. L’integralismo è la forma moderna de
fondamentalismo. Essere integralista per il credente significa sacralizzare la propria vita quotidiana e porre
tutto sotto il segno della religione. La cultura e la società non sono più portatrici del fattore religioso e la
dimensione comunitaria è presente nel senso che i credenti chiedono il rispetto integrale della loro fede.
Nell’ottica neofondamentalista il concetto di comunità musulmana viene riformulato: è chiusa, ma sa di
essere minoritaria in uno spazio secolarizzato; la secolarizzazione dello spazio pubblico è riconosciuta, ma la
richiesta è che la religione vi si inserisca in quanto tale. La comunità musulmana è una comunità da cui si
esclude e si può essere esclusi. Questo significa accettare uno spazio secolare: quello dove le leggi della
religione non si applicano. Quando la struttura neofondamentalista descrive la sua comunità essa prevede
de facto uno spazio diverso da quello della società dove società e religione siano separate. Esistono due spazi:
il credente vive la sua religione nello stesso spazio del no credente e questo non deve essere visto come una
presa di potere.
Il fantasma del comunitarismo
La laicità è stata usata per combattere il comunitarismo, il quale si esprime a due livelli: il quartiere e l’Ummah
sopranazionale. La comunità locale vede se stessa in rapporto alla grande comunità virtuale dell’Ummah che
esiste solo nell’immaginario o su internet. Come accade in Francia il comunitarismo attecchisce sempre al di
qua (banlieus) o al di là Ummah della società, ma mai a livello della società vera e propria. In Francia la
comunità musulmana è anche meno presente di quella ebraica. La comunitarizzazione non è spontanea ma
è sostenuta di leader comunitari che pretendono di parlare in nome di tutti per farsi riconoscere dallo Stato.
Lo Stato rifiuta la comunitarizzazione ma non parla d’altro ed è l’esigenza dello Stato mentre nei quartieri
nasce dalla necessità di ricucire un legame sociale ormai distrutto. Nei quartieri si verificano due fenomeni.
Un nuovo controllo sociale esercitato dallo sguardo dell’altro e l’apertura di moschee dagli orientamenti più
o meno radicali. Questi due fenomeni non sono omogenei in quanto le città-ghetto oscillano tra relazioni
sociali atomizzate e tentativi di ricostruire un legame sociale. Questi tentativi possono assumere forme
diverse, ma parlare di legame sociale significa parlare di controllo sociale, variano solo i modelli:
raggruppamento delle persone in base alla regione d’origine, ruolo dei gruppi di giovani nell’occupazione di
spazi e nel coinvolgimento delle rare strutture di animazione. Si moltiplicano anche le moschee, segno della
frammentazione dei musulmani. Le moschee vivono rivalità: alla vecchia divisione etnica tra marocchini,
algerini, turchi ecc. si aggiungono ormai delle contrapposizioni ideologiche, generazionali o di gruppo.
Anche il controllo sociale è relativo e determina alcuni comportamenti devianti. Il machismo è presente nelle
inner cities americane dove circolano neri e latinos e le donne sanno che se vogliono cambiare situazione
devono andare via dal quartiere. Se si ritiene che l’Islam sia la principale causa dei problemi delle banlieus, la
laicità autoritaria diventa uno strumento di gestione di quei problemi ignorando gli altri elementi. Se la laicità
assume una forma repressiva, la religione diventa il centro del dibattito e incomincia a rappresentare
un’alternativa. L’islam viene usato come causa a comportamenti simili che avvengono in religioni diverse ed
infatti anche il machismo viene attribuito all’Islam. Ovviamente l’islam, oggi, è anche composto da quei
giovani che vogliono riscattarsi ma il fatto che tutti i fenomeni vengano attribuiti all’Islam non aiutano.
La secolarizzazione di fatto
L’adesione dei musulmani alla laicità è il risultato di un processo politico in quanto è la politica che fa la laicità:
è l’Occidente ad offrire ai pensatori musulmani un ambito di libertà intellettuale sempre più ampio. Non
dobbiamo credere che la censua dello Stato venga in primis da Stati clericali come l’Iran. Spesso i regimi
autoritari laici sono tanto diffidenti verso l’innovazione teologica quanto verso il fondamentalismo.
Favoriscono un Islam conservatore in quanto diffidano di ogni forma di libertà e di critica intellettuali. Come
il cattolicesimo un’accettazione politica della laicità è possibile solo quando vi sia stato un precedente
processo di secolarizzazione. Ma lo è anche per il fondamentalismo, tramite i due principali vettori del
rinnovamento religioso: individualizzazione della religiosità e deculturazione. Per creare un’identità religiosa
musulmana che si affermi è necessaria una trasformazione del radicamento culturale e sociale della religione,
deve nascere quindi uno spazio religioso diverso da quello delle società tradizionali. Ciò implica che
l’individuo si riappropri di pratiche il cui significato varia al variare dei contesti. Tra queste pratiche c’è anche
l’azione politica e tra le nuove c’è l’esperienza di vivere l’Islam in minoranza abbandonando per gli islamisti
turchi la speranza di ottenere il monopolio della rappresentanza politica dell’islam in un paese dove la
maggior parte si dichiara musulmano credente. La trasformazione dell’islam avviene quindi attraverso un
processo di secolarizzazione della società e un’integrazione politica soggetta a trattativa.
La politica fa laicità: il caso dell’Uoif
Lo Stato non deve adattarsi all’Islam: è sufficiente che mantenga la posizione laica intesa come strumento
giuridico e non come ideologia. La distinzione tra legge dello Stato e legge di Dio è stata fatta dall’Uoif e da
personaggi come Ramadan che ha davvero capito la differenza tra spazio pubblico politico e spazio religioso.
I due problemi per l’Uoif e Ramadan sono strumenti di integrazione politica. Il salafismo non fa più
riferimento culturale al Medio Oriente e consente la definizione di una religione pura facilitando un processo
di deculturazio