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Vanni Codeluppi - Ipermondo
1. IPERMODERNITA’
Provare a descrivere, o meglio definire l’epoca in cui stiamo vivendo non è
semplice. Storici, filosofi e sociologi hanno cercato di coniare nuovi termini per
definire questo periodo, tra questi ricordiamo Lyotard che parla di società
postmoderna, ritiene che alla modernità sia subentrata un’epoca definita
“postmoderna”, la definizione più recente è quella di Bauman che parla di
modernità liquida. La società di oggi non è postmoderna ma ipermoderna,
perché post delinea un’epoca diversa dalla modernità, iper, invece, delinea
un’evoluzione portata all’eccesso della modernità. Nell’ipermodernità gli
strumenti di comunicazione sono fondamentali per mantenere le relazioni. La
nostra vita è fatta di continui spostamenti e instabilità. L’ipermodernità è
costituita da tutte queste cose. Questa accelerazione dell’esistenza dovuta alla
sempre maggiore possibilità degli individui e delle merci di circolare, chiama in
causa due categorie fondamentali della modernità: spazio e tempo, che prima
erano assolutamente interconnessi. La modernità, invece, li ha separati e li ha
rese autonomi. Questo ha anche aspetti negativi: in Occidente, all’inizio del 900,
gli individui hanno perso 90 minuti di sonno per inseguire intensi ritmi di vita.
L’alterazione dei cicli naturali determina l’insonnia che colpisce 1 persona su 3.
Anche corpo e cervello si sono separati, l’ipercomunicazione e le nuove
tecnologie hanno semplificato la vita. Non usiamo più il corpo per fare le cose. Il
corpo diventa esclusivamente l’ornamento, il nostro compagno di viaggio mentre
il cervello è ipersollecitato.
Secondo Simmel, il funzionamento del capitalismo si basa su un principio di
astrazione. La società è arrivata ad essere più intensa seguendo un principio di
astrazione; negli ultimi decenni le tecnologie digitali e biologiche hanno aiutato a
rendere la società sempre più astratta. Ma queste tecnologie, in realtà, hanno
accelerato un processo di “spiritualizzazione” della materia in corso da diversi
secoli, da quando è nato il modello capitalistico di produzione. Questo perché la
struttura sociale si basa sul denaro, che ha la caratteristica dell’astrazione. Il
processo di astrazione riguarda in primo luogo il capitale stesso. Il denaro ha
perso il suo valore materiale e specifico per trasformarsi in valore astratto e
indistinto. Ciò gli ha consentito di funzionare sempre meglio come unità di misura
di tutte le cose, che livella le differenze e quantifica tutto per renderlo
scambiabile. Il processo di astrazione riguarda anche lavoro (nel momento in cui
siamo usciti dalla fase Fordista, il primo a creare la catena di montaggio, quindi il
lavoro serializzato, scandito nel tempo e nello spazio perché nell’organizzazione
scientifica del lavoro doveva aumentare la produttività), materia (Oggi i beni, le
merci, la materia fisica di cui le merci sarebbero composte, producono
principalmente significati. Grazie alla creatività umana, design e architettura
vanno sempre di più verso l’astrazione, si abbandona la fisicità. Gli oggetti
elettronici oggi non puntano più sull’hardware ma sul software), corpo umano
(complessivamente il corpo della donna è cambiato, cambia la moda, ecc.). A
facilitare questo processo di astrazione sono stati proprio gli strumenti
dell’industria culturale (foto, che opera una scissione tra immagine e realtà;
cinema, che aumenta i processo di immagine della realtà; radio, che ci mette
davanti a una realtà fatta di persone che parlano ma non si possono vedere; tv,
web). Nell’ipermodernità, inoltre, assistiamo alla mercificazione della cultura, in
cui la cultura diventa come qualsiasi altra merce e alla culturalizzazione della
merce, perché essa ha arricchito la sua capacità di creare significati e valori e farli
circolare nella società.
2. BIOCAPITALISMO
Il Biocapitalismo è una forma avanzata di capitalismo, che coinvolge le vite umane
nei processi produttivi. Prima il capitalismo utilizzava i macchinari e i corpi dei
lavoratori come strumenti di lavoro. Con il Biocapitalismo, invece, troviamo una
nuova forma di sfruttamento e lavorativa, i lavoratori della conoscenza. Essi sono
innanzitutto sensibili perché non stanno in fabbrica ma lavorano all’interno delle
loro case private. Il loro sfruttamento non è visibile perché internet, il lavoro
intellettuale è socialmente percepito come una forma di divertimento. Il lavoro
cognitivo, in realtà, mette in campo uno sfruttamento maggiore rispetto a quello
dell’operaio della fabbrica. Inoltre, gli individui non sono sfruttati solo nelle ore di
lavoro, ma anche nel tempo libero, questo grazie proprio alle nuove tecnologie.
Da qui deriva il nome “bio-capitalismo”: è una nuova forma di capitalismo che
sfrutta più che il lavoro manuale delle persone, le loro idee e la loro creatività
(nuova fonte di valore economico delle aziende). Es.: i dipendenti di Google
devono per contratto dedicare il 20% del tempo a farsi venire nuove idee. Il
Biocapitalismo si manifesta oggi anche perché le imprese scaricano i loro costi su
un altro soggetto: il consumatore. Fanno compiere operazioni che in precedenza
erano svolte dall’impresa e tutto ciò può dare al consumatore la sensazione di
avere un ruolo di maggiore potere e autonomia, ma è il contrario. I consumatori,
per quanto coinvolti nei processi produttivi, continuano a rimanere vincolati al
proprio ruolo. E’ soddisfatto, ad esempio, quando può essere il cameriere di sé
stesso nei sempre più numerosi locali di ristorazione che applicano il modello del
self service. E lo è anche quando impiega il bancomat per effettuare ciò che in
precedenza faceva il cassiere della banca o quando, sempre su internet, prenota il
biglietto aereo o controlla dove si trova il pacco che gli è stato spedito con un
corriere da un sito internet. Secondo Alvin Toffler, inoltre, il consumatore appare
essere sempre più occupato a svolgere il suo nuovo “terzo lavoro”. Accanto al
lavoro domestico e al lavoro retribuito, per lui c’è un terzo lavoro non retribuito.
4. SOCIETA’ PUBBLICITARIA
Viviamo in una società pubblicitaria: il mondo dei consumi è sempre più
invadente e presente. Più il consumatore si allontana perché è stanco
dell’abbondanza di messaggi, più la pubblicità cerca nuovi canali e nuove forme
per cercare di arrivare al consumatore. E’ difficile individuare il momento preciso
della nascita della pubblicità, in quanto essa ha preso vita progressivamente fino
a raggiungere il modello che oggi conosciamo. Possiamo dire, però, che è entrata
nella fase di maturità negli ultimi due decenni dell’800, grazie all’intenso sviluppo
economico della seconda rivoluzione industriale. Il manifesto pubblicitario ha
sempre utilizzato lo spazio esterno della città come un palcoscenico in cui potersi
esprimere. Ha avuto successo in quanto consentiva di parlare/informare persone
che spesso, ai tempi, erano analfabete, ma che erano in grado di leggere le
immagini. Agli inizi del 900 anche gli artisti appartenenti alle avanguardie
storiche hanno dato il loro contributo all’evoluzione della pubblicità. Es.: l’artista
futurista sviluppò un’originale strategia pubblicitaria per la Campari. Ad un certo
punto questo legame tra pubblicità e artisti si rompe definitivamente, l’arte
venne emarginata dalla società a vantaggio della pubblicità (durante
l’affermazione del processo capitalistico di produzione). Nel Novecento si è invece
affermata una pubblicità fondata sul marketing, uscendo così dal contesto
artistico. Dagli anni ’50 in America (e poi dagli anni ’80 anche in Italia) è emersa la
marca, in grado di incrementare il valore del prodotto con un plusvalore di tipo
simbolico. Successivamente questa divenne sempre più importante, fino ad
assumere un’esistenza autonoma rispetto al prodotto e arricchendosi di significati
e valori sociali. Era importante che la marca instaurasse un buon rapporto con il
consumatore, in modo che se il cliente si fosse “affezionato” ad essa, sarebbe