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Weber, invece, la società è il risultato dell’agire degli individui che può assumere diver-
se forme, tra cui quella sociale. Weber è legato allo stoicismo tedesco, in particolare
all’elaborazione di un filosofo tedesco, Wilhelm Diltey, che fu il primo ad individuare una
differenza tra le scienze storico sociali e le scienze naturali.
La sociologia con Weber diventa una scienza comprendente. Egli sostiene che la socio-
logia non possa rapportarsi alla realtà come si rapporterebbe uno scienziato naturale
perché la realtà sociale ha delle caratteristiche intrinsecamente diverse: gli individui agi-
scono intenzionando le loro azioni, cioè dotandole di un senso. Esempio: se io faccio ca-
dere una pietra questa viene spinta a terra da una legge e lo studioso di questo fenome-
no può farne una legge. La pietra non ha una coscienza e non è un soggetto che inten-
ziona la sua azione. Se invece guardo un individuo che prende una pietra e la lancia,
questo individuo, soggetto, intenziona la sua azione. Per Weber la sociologia deve prima
interpretare l’agire sociale e poi spiegarlo nel suo corso e nei suoi effetti; per far ciò bi-
sogna prendere un agire individuale o di gruppo e portarlo sul piano della generalità so-
ciale. In questo la sociologia si differenzia dalla storia: mentre la storia si sofferma
sull’unicità di alcuni eventi, la sociologia deve partire da alcuni eventi individuali o di
gruppo e portarli sul piano della generalità. Questa generalizzazione è possibile attraver-
so l’idealtipo (è un concetto limite, Weber utilizzerà sempre l’idealtipo). Spiegare
un’azione o un fenomeno significa ricostruire quelli che sono gli elementi precedenti e
gli effetti che successivamente vengono prodotti. Egli dice che la realtà sociale, il caos
della realtà sociale è tale per cui non è possibile spiegare in maniera esaustiva i fenome-
ni umani perché è difficile che dipendano da una sola causa. Inoltre, i nessi causali con
cui leghiamo i fenomeni sociali vengono stabiliti dall’osservatore e dunque risentono di
quello che è il punto di vista dell’individuo. Weber dice che, se il sociologo orienta la sua
investigazione a partire dalla propria sensibilità, subito dopo deve operare in maniera
avalutativa, deve astenersi dal dare una critica morale ai fenomeni.
La sociologia, per Weber, studia l’agire sociale orientato agli altri. Esempio: se io esco di
qua, sta piovendo e apro l’ombrello, non è un agire weberianamente sociale, perché non
è orientata agli altri ma solo a me. Egli crea un elenco di 4 idealtipi di agire sociale, i pri-
mi 2 razionali e gli altri 2 meno razionali: l’agire razionale orientato allo scopo, cioè di
un fine rispetto al quale l’attore sceglie in maniera strumentalmente adeguata i mezzi
per raggiungerlo; segue la logica dell’efficacia. Per Weber, una forma tipica di agire ra-
zionale allo scopo è il capitalismo. L’agire razionale rispetto al valore, in cui gli attori non
perseguono un fine strumentale ma si adeguano coerentemente ad un loro valore; in
questo caso segue una logica di coerenza. L’agire orientato affettivamente, che è
quell’agire che ci fa compiere anche una serie di cazzate. L’agire orientato alla tradizio-
ne, che non ha un contenuto razionale perché segue la consuetudine (es.: scambiarsi sa-
luti). Weber dirà che il passaggio dalla società moderna alla società premoderna si può
spiegare anche come una prevalenza di un agire rispetto ad un altro. Se le società pre-
moderne erano società in cui l’agire prevalente era quello razionalmente orientato al va-
lore, la forma di agire razionale prevalente nella modernità sarà quella strumentale in
cui gli individui intenzionano il loro agire prevalentemente seguendo la strumentalità dei
fini sociali che si sono posti.
Quando gli individui sono in relazione costante, possono dare vita a 2 forme più ampie
di relazione sociale che si chiamano comunità (Gemenschaft) o società (Gesellschaft). La
comunità è quando la relazione stabile tra più individui nel tempo e nello spazio si stabi-
lisce su base affettiva; la società, invece, non basa la relazione stabile su legame affetti-
vo, ma sull’interesse dei soggetti a prendervi parte (sto in una relazione sociale perché
posso perseguire il mio interesse mentre gli altri perseguono il loro). Anche queste 2
forme di relazione sociale sono idealtipiche, servono solo a Weber per capire cosa tiene
insieme gli individui in una relazione sociale stabile. Weber è il primo a comprendere che
nella società non c’è solo la spinta all’equilibrio, ma agiscono anche conflitto e lotta,
questo aprirà la strada a tutte le cosiddette teorie conflittualistiche. Inoltre, secondo lui,
le relazioni sociali possono essere aperte o chiuse: aperte se l’agire reciproco interno ad
esse è possibile per tutti; chiuse quando quando ci sono ordinamenti, regole che limita-
no l’accesso ad alcuni soggetti.
Weber, ancora una volta attraverso una generalizzazione, andrà a vedere in che modo il
potere diventa legittimo e arriverà a definire tre forme di potere legittimo. Prima però
definisce il potere: in generale con la parola potere alludiamo alla capacità del soggetto
di intervenire efficacemente sulla realtà. Egli afferma che il potere sociale è diverso dal
potere in generale perché è una capacità di un soggetto di produrre effetti sugli altri. Il
potere politico, invece, è un sottoinsieme del potere sociale ed equivale come espres-
sione al potere di governo, cioè il potere di governare all’interno di un dato raggruppa-
mento sociale. Questo potere politico può governare in 2 modi: attraverso la forza oppu-
re basandosi su qualche principio di legittimità. Questa idea porta Weber a compiere
una distinzione concettuale: quella tra potenza e potere. Potenza significa far valere en-
tro una relazione sociale, anche dinanzi ad una opposizione, la propria volontà, si basa
sulla costrizione. Il potere, invece, è la possibilità che un comando trovi obbedienza per-
ché si ritiene legittimo il potere da cui arriva il comando stesso, si basa sull’obbedienza.
Quindi il potere: può essere legittimo in virtù della tradizione, del carisma e di proce-
dimenti razionali legali. Un esempio di potere la cui legittimità affonda nella tradizione è
la Chiesa. Altro esempio sono i sovrani. Nessuno li ha eletti, stanno lì e governano in vir-
tù della tradizione. Esempio che affonda il potere della legittimità sul carisma è Gandhi,
Nelson Mandela, uomini che hanno cambiato la storia dei loro paesi e hanno esercitato
un potere carismatico. Potere carismatico è un potere particolarissimo per Weber per-
ché fonda la sua legittimità su delle qualità ascritte al soggetto, è un’aura che circonda
determinate persone, c’è chi ce l’ha e chi no. Il potere che affonda la sua legittimità su
procedure razionali legali è quello che contraddistingue tutti, cioè il potere moderno per
eccellenza, su cui si basano le democrazie. Basa la sua legittimità sul ritenere razionali le
norme e le regole definite da persone che sono anch’esse deputate alla produzione di
leggi in virtù di processi razionali legali, cioè le elezioni.
Per quanto riguarda la burocrazia Weber dice che si fonda su alcuni principi (è il primo
che crea questa analisi concettuale). Il primo principio è che i servizi e le competenze
sono rigorosamente definiti da leggi e regolamenti (vuol dire che io devo andare
all’ufficio specifico). Il secondo dice che la burocrazia dello stato modero si fonda sulla
gerarchia di funzioni e l’organizzazione gerarchica all’interno di istituzioni. Il terzo prin-
cipio afferma la non proprietà personale della carica. Il funzionario non ha una proprie-
tà personale della sua carica. Quarto principio dice che il reclutamento avviene in base
alla formazione quindi al grado di istruzione e ad esami, concorsi. L’ultimo principio di-
ce che la burocrazia dello stato moderno si fonda su una retribuzione. Ci sono, però,
degli svantaggi perché chiama in causa la spersonalizzazione, cioè la deresponsabilizza-
zione (chi svolge una data mansione rispondendo soltanto a regolamenti e leggi può al-
zare le mani e dire non è colpa mia, la legge dice così); infine, i corpi amministrativi pos-
sono sviluppare anche interessi particolari.
Ultimo concetto Weberiano è quello di stratificazione sociale con il quale Weber indica
il modo in cui in una società, gli individui o i raggruppamenti di individui sono differen-
ziati e organizzati gerarchicamente. La stratificazione sociale chiama in causa il concetto
di classe. Per Marx la classe allude ad una collocazione all’interno dei rapporti di produ-
zione. Weber dice che la società, e quindi la stratificazione sociale, dipende dal punto di
osservazione dei fenomeni: se io guardo all’ordinamento economico allora c’è la classe,
ma se guardo all’ordinamento culturale o politico il concetto di classe marxiano comin-
cia ad essere un po’ più scarso dal punto di vista analitico. Egli, comunque, sostiene che
la classe sia un insieme di individui che condivide analoghe possibilità di procurarsi be-
ni economici. Se invece io guardo all’ordinamento culturale, la stratificazione non si
esprime più con il concetto di classe ma con la nozione di ceto, che allude a una data po-
sizione all’interno della società in maniera più vasta. E’ un privilegio positivo o negativo
nella considerazione sociale, dipende dalla condotta di vita.
Weber, nelle osservazioni preliminari al volume l’Etica protestante e Lo spirito del capi-
talismo(domanda sicura), definisce il capitalismo e lo fa in maniera diversa rispetto a
Marx. Non si occupa tanto di definire il capitale che era invece il punto di partenza di
Marx, si occupa invece di capire qual è l’agire economico di tipo capitalistico e dice che
innanzitutto non è la semplice accumulazione di denaro ma si basa invece
sull’aspettativa di guadagno, sfruttando abilmente le congetture dello scambio. Tutto
ciò avviene in una condizione pacifica, disciplinata razionalmente in cui gli individui sono
liberi. Il soggetto tipico del capitalismo per Weber è il proprietario dell’impresa capitali-
stica che è colui il quale dispone di un capitale e vuole accrescerlo tramite un profitto
che viene investito per procurare nuovo profitto. Ciò che ren