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Gouldner ritiene che la sociologia possegga un grande potenziale dialettico, in grado di dar
conto sia degli aspetti repressivi che dei processi di emancipazione che si sviluppano nel
reale.
La sociologia neo-positivistica e funzionalista americana parte dal presupposto di una netta
separazione tra teoria e metodologia, tra costa studiata e il metodo di studiarla. Questa
impostazione si lega alla storia che ha caratterizzato lo sviluppo della sociologia: essa nasce
e si afferma per studiare e tenere sotto-controllo, gli effetti perversi e i processi conflittuali
generati dall’ascesa dell’utilitarismo individualista. Dopo la Seconda Guerra mondiale, il
baricentro della teoria sociale passa dall’Europa agli Stati Uniti, la teoria funzionalista segna
un deciso cambiamento:
1. L’utilitarismo individualista lascia il posto all’adozione di un utilitarismo sociale di
Parsons (cioè: posizione che analizza e spiega tutte le istituzioni e i processi sociali a
partire dal loro contributo per l’integrazione della società);
2. Si verifica l’ascesa di un neo-funzionalismo di “medio raggio” (di Merton)
interessato a spiegare il funzionamento di settori specifici del mondo sociale.
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In entrambi i casi, secondo Gouldner, ci troviamo di fronte ad una sociologia elaborata
avendo come punto di riferimento la classe media, le sue aspirazioni e le sue
preoccupazioni che convergono nell’esigenza di tenere insieme i principi del libero mercato
e quelli del moralismo borghese.
Il marxismo-leninismo era divenuto esso stesso un’ideologia di Stato, perdendo così la sua
critica: dall’epoca staliniana il marxismo-leninismo sociologico si era trasformato in una
teoria tecnocratica interessata al mantenimento e alla riproduzione dell’ordine sociale
socialista (referente sociale la classe dei burocrati di Stato e dei funzionari di Partito).
Si verificava tra di due antichi nemici teorico-ideologici una oggettiva convergenza che li
portava ad interscambiare metodi di ricerca e approcci interpretativi: il marxismo-
leninismo attingeva dal funzionalismo neo-positivista le tecniche d’indagine empirica lì
dove quest’ultimo mutava dal primo le categorie analitiche per costruire una griglia
interpretativa del mutamento storico e sociale.
Questa spinta verso la scoperta per via scientifica dei meccanismi in grado di produrre
integrazione e ordine sociale legava la teoria sociale di Platone a quella di Parsons, legame
che si fondeva sulla condivisone di quattro assunti ideologici:
a) l’orientamento alla razionalizzazione e al controllo del mondo sociale,
b) la metafisica della gerarchia, (giustificazione della separazione tra dirigenti e diretti,
chi insegna e chi impara ecc.),
c) la centralità della morale e dell’ascetismo intra-mondano, (senso assoluto del proprio
dovere verso la collettività),
d) l’idea che solo la società umanizzi davvero l’individuo.
Per Gouldner proprio qui iniziava l’incombente crisi della sociologia negli anni ’70: l’ascesa
della società del benessere rendeva superflua questa sociologia dell’ordine e
dell’integrazione fondata sull’utilitarismo sociale. Nuovi soggetti sociali di riferimento si
profilavano all’orizzonte: la nuova borghesia dei servizi legata a modi di produrre, di
comunicare e di comportarsi, diversi da quelli della società industrializzata. Secondo
Gouldner esisteva una nuova via: quella della sociologia riflessiva; una sociologia che
doveva fondarsi su cinque presupposti:
1. applicare a se stessa e alle proprie categorie gli strumenti della critica sociologica,
per evitare la reificazione e l’alienazione di cui era stato portatore il funzionalismo
americano;
2. essere orientata (marxianamente) non solo alla comprensione del mondo ma anche
alla sua trasformazione;
3. mantenere un rigore tecnico-metodologico nella ricerca empirica;
4. dotare la ricerca empirica di una prospettiva storica;
5. essere indipendente dai partiti (in particolare rivoluzionario) pur essendo al servizio
dei movimenti di liberazione ed emancipazione sociale (anti-leninismo).
3) Il terzo volume (sviluppare le conclusioni raggiunte da La crisi della sociologia) della trilogia
non fu mai completato, al suo posto Gouldner scrisse un lungo saggio poi pubblicato nel
volume Per la sociologia. In questo saggio, si concentrava sul problema dei fondamenti
“intermedi”, facendo riferimento alla dicotomia: classicismo versus romanticismo; in
questo articolo mette insieme il suo approccio critico alla storia della sociologia (Enter
Plato) e la sua “sociologia della sociologia” (La crisi della sociologia). Secondo il sociologo
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americano la “sindrome” classicista si riferisce all’orientamento verso lo studio scientista,
quantitativo e metodico della realtà sociale, al fine di ordinarla, oggettivarla e
razionalizzarla. Per contro, la tendenza romantica consiste nel dare spazio alla soggettività,
alla storia, alle emozioni, al disordine che regnano nelle società umane. Gouldner
(contrariamente a Mannheim) non ritiene che il romanticismo sia stata una corrente
culturale reazionaria; al pari del classicismo, il romanticismo è stato uno dei principali
fondamenti delle scienze sociali moderne. Nessuna delle due “sindromi” può essere
esclusa dall’altra: quello di Gouldner è un invito alla tolleranza reciproca.
Questa postura intellettuale di Gouldner non poteva non riconoscere un dato di fatto:
mentre gli approcci ispirati al classicismo (neo-positivismo e tecniche d’indagine
quantitative) costituivano la parte egemone e dominante della sociologia a lui
contemporanea, le impostazioni metodologiche e teoriche riconducibili alla cultura
romantica erano ancora marginalizzate. Gouldner denunciando un pericolo derivante dalla
sua marginalizzazione, segnala l’insufficienza del sociologo inteso come tecnico rispetto
alla comprensione e all’intervento sulla realtà: la tendenza romanticista spinge a
recuperare l’unione tra teoria e prassi.
Esisteva invece un approccio che faceva di questa stretta unione un suo elemento
costitutivo: quello marxiano. Il progetto di Gouldner per la costruzione di una sociologia
riflessiva lo porta a criticare e rivisitare il marxismo, offrendone un’analisi volta a mettere a
fuoco il suo impatto pratico sulle dinamiche del mondo moderno.
3.2 Il lato oscuro della dialettica:
Rapporto tra marxismo e sociologia: nato il primo come filosofia politica e sociale, la sua inclusione
anche come teoria sociologica è stata a lungo contrastata sia dai marxisti sia dagli stessi sociologi
(Durkheim, Pareto, Weber) poiché le loro analisi e teorie si erano costruite anche come momento
di differenziazione dalla filosofia. Così Gouldner si sentiva in dovere (nel 1980), in The Two
Marxisms, di ribadire come sociologia e filosofia marxiana “discendessero” entrambe dal pensiero
di Saint-Simon e fossero così tutt’altro che strutturalmente antagoniste.
Contesto storico in cui Gouldner si collocava come marxista riflessivo: dopo la morte di Marx il suo
pensiero divenne dominante all’interno del movimento operaio (mentre anarchismo continuò a
sopravvivere con un posto marginale). All’interno della Seconda Internazionale si intrecciarono
due coppie oppositive circa l’interpretazione autentica del pensiero di Marx:
Una teorica-filosofica, l’opposizione passava tra deterministi (Rivoluzione l’inevitabile
evento derivante dal procedere della Storia e dell’economia) e volontaristi (evidenziava il
ruolo attivo del Soggetto rivoluzionario).
L’altra politica, divisione tra ortodossi-rivoluzionari (il capitalismo doveva essere superato
attraverso una rottura) e i revisionisti-riformisti (possibile intraprendere un percorso di
riforme nel sistema).
A questi si aggiunse un altro nodo di natura socioculturale: nei paesi più industrializzati non solo
cresceva il ruolo dei ceti medi; soprattutto, dopo la Prima Guerra Mondiale, appariva sempre più
chiaro che la Rivoluzione non sarebbe automaticamente esplosa. Tutto ciò indusse alcuni neo-
marxisti ad individuare nel ruolo delle ideologie e della cultura una dei principali terreni e di
controllo borghese delle masse e di costruzione delle condizioni che avrebbero portato alla
Rivoluzione. 5
La versione ortodossa, materialistica e determinista del metodo dialettico marxiano divenne
l’ideologia ufficiale dello stalinismo, mentre in Occidente fu il problema del rapporto tra struttura
(economia) e sovra-struttura (politica e culturale) a dominare. In questo quadro, negli anni ’60-’70,
all’interno del campo marxista-rivoluzionario dei paesi occidentali due erano le chiavi
interpretative (opposte tra loro) che prendevano anche le distanze dal marxismo-leninismo di
stampo staliniano:
Quella “umanista” (Sartre) incentrata sul tema dell’alienazione-reificazione e sul ruolo
fondamentale del Soggetto per la costruzione e la trasformazione della Storia;
Quella “strutturalista” (Althusser) secondo la quale l’essenza dell’opera di Marx era da
rintracciare nel suo anti-storicismo e nella scoperta del ruolo fondamentale che i rapporti
sociali oggettivi giocano del dipanarsi della Storia e della sua trasformazione.
Nella costruzione di una sua posizione Gouldner rimane fortemente indebitato con la società che
lo ha allevato, questo vuol dire che la lettura riflessiva che fa di Marx tende ad accentuare
un’interpretazione culturalista e normativa del metodo dialettico (fortemente presente in tutte le
correnti riformiste e radicali dei paesi anglofoni) negando che esso conduca ad una visione
“oggettiva” e “scientifica” della realtà sociale. Al contrario, quando il riferimento a Marx è stato
assunto in questo modo è servito soltanto a giustificare l’utilizzo brutale e autoritario del potere
da parte di un’élite semi-intellettuale e urbana di dirigenti politici. (Altro fatto che allontanava
Gouldner dagli intellettuali neo-marxisti europei era la mancanza di un movimento operaio
rivoluzionario negli Stati Uniti).
Il socialismo era nato e si era diffuso attraverso l’alleanza tra due diverse componenti sociali: da
una parte gli intellettuali e dall’altra gli operai. Questo rapporto si era tradotto in un’asimmetria di
potere: da una parte (al vertice) i dirigenti, dall’altra (alla base) i militanti. L’ambivalenza o la
contraddizione che me deriva era stata, secondo Gouldner, sistematicamente misconosciuta da
ogni forma di marxismo: è questo il lato oscuro della dialettica, il ritenere hegelianamente che la
frattura tra teoria e prassi sia destinata necessariamente a ricomporsi con la vittoria della prima
sulla seconda, senza che le distorsioni del potere entrino in gioco an