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Le statistiche ufficiale misurano usualmente la povertà come mancanza di benessere
economico secondo un approccio monetario unidimensionale. In Italia la stima ufficiale
della povertà fornita da ISTAT si basa sull’utilizzo dell’indagine campionaria su ‘I
consumi delle famiglie’ e fornisce una stima del fenomeno in termini relativi e in
termini assoluti.
Povertà relativa: una condizione di deprivazione relativa rispetto ai consumi
della comunità di riferimento (della media nazionale);
Povertà assoluta: famiglie con spesa insufficiente rispetto alla spesa minima
necessaria per acquisire beni e servizi che vengono considerati essenziali a
conseguire uno standard di vita minimamente accettabile. Questo approccio è
meno influenzato da un lato dalle scelte di consumo degli individui, dall’altro
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tiene conto delle differenze territoriali di potere d’acquisto e quindi dell’effettivo
potere d’acquisto e dell’effettivo costo della vita.
Per discriminare i poveri dai non poveri attraverso l’approccio assoluto della povertà
ISTAT ha innanzitutto definito un insieme di bisogni ritenuti essenziali e,
conseguentemente, un paniere di beni e servizi necessari per il soddisfacimento
povertà assoluta
minimo di tali bisogni, definendo pertanto la condizione di incapacità
di acquistare tale paniere. Le soglie di povertà assoluta stimate da ISTAT sono pertanto
calcolate considerando tanto la composizione familiare, quanto la zona di residenza
che influenza i costi minimi di acquisto dei consumi. Il paniere si compone dunque di
tre parti : componente alimentare, componente abitativa (affitto, energia elettrica,
beni durevoli e riscaldamento), e componente residuale comprendente varie voci di
spesa (sanità, istruzione, abbigliamento, comunicazioni). La metodologia adottata è
stata applicata alla sola componente alimentare. A livello europeo non vengono
rilevate equivalenti informazioni sulla spesa familiare per consumi alimentari.
Pertanto, per posizionare la condizione nazionale a livello europeo si è dovuto ricorrere
alla capacità auto-dichiarata di permettersi almeno ogni due giorni un pasto con carne,
pollo, pesce o legumi, rilevata annualmente mediante l’indagine Eurostat. Da un lato
risulta certamente meno oggettiva rispetto all’effettiva spesa sostenuta dalle famiglie
per l’acquisto di alimenti ma rappresenta la capacità familiare di permettersi una dieta
equilibrata, elemento fondamentale quanto la quantità di cibo in sé disponibile,
soprattutto se si considera che il contesto territoriale di riferimento è quello di Paesi
sviluppati.
2.La spesa alimentare degli italiani
Nel 2013 gli italiani hanno speso mediamente al mese per generi alimentari 228 euro
a persona. La spesa per gli alimenti è aumentata rispetto al pre-crisi, nel 2007 erano
infatti mediamente riservati 222 euro al mese per individuo. L’esiguo incremento
registrato non è considerabile sufficiente per compensare l’incremento dei prezzi. La
spesa pro capite per alimenti è differente al variare del territorio considerato. Nelle
regioni meridionali si spendono mediamente a persona 50 euro in meno al mese (193
euro).
Nelle famiglie con minorenni la spesa pro capite per alimenti risulta inferiore a quella
registrata nel complesso delle famiglie (170 euro). La quota alimentare pesa per il
19,5% sul totale del bilancio familiare. La carne risulta essere la categoria di cibo a cui
le famiglie dedicano maggiori risorse (107 euro), seguono le patate, la frutta e gli
ortaggi.
3.La povertà alimentare nelle famiglie italiane
Gli ultimi dati ISTAT stimano che durante il 2013 il 7,9 % degli italiani si sia trovato in
condizione di povertà assoluta (2 milioni di famiglie). Tale diffusione del fenomeno è il
risultato della presenza di livelli di povertà significativamente diversi all’interno del
territorio italiano: in Mezzogiorno si registra una quota di famiglie povere di circa il
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12,9 %, mentre al centro è pari al 6% e al Nord al 5,7%. A causa della crisi dal 2005 ad
oggi i livelli di diffusione della povertà assoluta sono quasi raddoppiati, dal 4% all’8%.
Rispetto al pre-crisi si è osservato un aumento delle difficoltà di mantenimento di
adeguati livelli di spesa tanto al Nord quando al Sud, tuttavia nel caso del Meridione
l’inasprimento delle condizioni economiche delle famiglie ha dato origine ad un
ampliamento del divario territoriale già presente.
Se passiamo ad osservare le condizioni individuali, l’incidenza della povertà alimentare
sale dal 6.8% al 9%. Per quanto riguarda minorenni e maggiorenni con meno di 24
anni si registra oltre l’11% di questi individui facente parte di famiglie che non
riescono a mantenere adeguati standard di consumo alimentare.
4.L’Italia nel contesto europeo
In Italia, al 2013, il 14,2% delle famiglie sostiene di non potersi permettere un pasto
con carne, pollo, pesce o legumi almeno ogni due giorni. Il dato italiano rileva la
presenza di maggiori difficoltà nel nostro paese rispetto la media europea (10,5 % a 27
paesi), sulla quale incide peraltro l’elevata diffusione del problema nei nuovi paesi
membri (in questa area una famiglia ogni cinque non è in grado di permettersi una
dieta equilibrata). L’Italia nel periodo pre-crisi era in linea con la media dei paesi
europei, mentre a partire dal 2012 si è fortemente discostata facendo registrare una
crescita significativa dell’incidenza del fenomeno.
In generale è evidente una netta divisione del territorio europeo, i paesi scandinavi e
della penisola iberica presentano indicatori inferiori al 10%, l’area centro meridionale-
orientale presenta indicatori superiori al 10%, i Paesi con maggiori difficoltà sono la
Bulgaria (51,1%) e l’Ungheria (33%), mentre quelli con minori difficoltà sono Svezia
(1,5%) e Svizzera (1,6%).
Si è visto che nelle famiglie italiane con minorenni si registri generalmente una
maggiore diffusione di povertà alimentare; va tuttavia detto che, da un punto di vista
delle autodichiarazioni sulla capacità di fare almeno un pasto adeguato ogni due
giorni, nel caso italiano, così come nella media dei paesi europei, non vi siano
sostanziali differenze fra le famiglie con figli a carico e il totale delle famiglie. Emerge
come le famiglie mono-genitoriali abbiano mediamente maggiori difficoltà nel
permettersi una dieta equilibrata. In Italia sono esposte a maggior rischio le famiglie
con tre o più figli a carico.
III. Geografia della solidarietà in Italia
Al 1° gennaio 2014 il numero di centri rilevati sul territorio accreditati presso AGEA è
risultato pari a 16.948 unità. I tassi di incidenza più elevati si osservano in
corrispondenza dell’Italia meridionale e insulare con circa il doppio rispetto alle aree
del nord per ogni 100.000 residenti. Più di due terzi dei centri svolge attività di
distribuzione di pacchi alimentari, la fornitura di servizi di natura residenziale copre il
13%, meno frequente è il servizio mensa pari al 9%. Al centro-nord prevale la presenza
di enti che forniscono servizi di residenza, al sud la gestione delle mense mentre nelle
Isole prevale la distribuzione di pacchi alimentari. Nel complesso degli assistiti a livello
nazionale circa il 10% sono soggetti che appartengono alla prima infanzia e quasi il
15% del totale sono ultra 65enni. Si tratta di due fasce di utenti particolarmente fragili
e meritevoli di attenzione: i primi risultano leggermente più presenti al Nord, mentre i
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secondo ricorrono più frequentemente nel Centro-Sud. Il tipo di prestazioni rivolte ai
bambini sono soprattutto pacchi alimentari, mentre per gli anziani le tre alternative si
distribuiscono in modo simile.
La maggiore densità di comuni sedi di centri di assistenza, si ha in corrispondenza
delle ripartizioni meridionale e insulare con circa il 67% dei casi mentre risulta meno
frequente la loro presenza al Nord-Ovest (33%). I centri di assistenza risultano
concentrati soprattutto nei comuni piccoli (48%) e nei comuni medio-piccoli (39%).
Solo il 13% dei comuni appartiene a classi dimensionali più grandi, ma è proprio in
queste classi che si ha la copertura totale rispetto al complesso dei corrispondenti
comuni italiani.
Due terzi dei comuni sedi di centri sono localizzati in pianura e in collina interna,
anche se il maggior grado di copertura si rileva per la montagna litoranea, mentre la
montagna interna appare scarsamente presentata. Quando consideriamo la
distribuzione dei centri rispetto alla configurazione politico-amministrativa regionale si
osserva come circa il 26% dei comuni che li ospitano sia localizzato in due sole aree, la
Lombardia e la Campania. La maggiore presenza di centri si trova nelle regioni più
grandi che sono caratterizzate da una più fitta rete delle infrastrutture urbanistiche ed
economiche, lasciando intravedere un profilo della povertà possibilmente connesso al
disagio di chi, benché inserito in un contesto produttivo, non trova o ha perso benefici
economici che ne derivano. La Campania con il 14% dei centri e il 20% degli assistiti
esprime i valori più elevati.
Le geografia della solidarietà in Italia accredita una realtà che vede il Mezzogiorno
distinguersi sia per una maggiore presenza di centri di assistenza, sia per tassi
d’incidenza del fenomeno. Il resoconto offerto dalla banca dati AGEA mette in luce un
universo di circa 4 milioni di utenti che dipendono dalle reti di solidarietà per
soddisfare un bisogno primario come è quello alimentare.
IV. Curarsi di chi aiuta
Lo stato di salute delle opere di carità
1.I servizi erogati dagli enti
Nell’ambito delle organizzazioni caritative qui considerate l’intervento più diffuso
coincide con la distribuzione di pacchi alimentari (83%) e di indumenti (60%), insieme
all’attività di ascolto e orientamento (59%) utili per fornire assistenza alla ricerca di un
lavoro o al perfezionamento delle pratiche necessarie per svolgerlo. Chi possiede
strutture più robuste è in grado di fornire anche pasti caldi in mense attrezzate (27%),
e posti letto (15%). Da rimarcare sono i servizi sanitari per chi non ha la possibilità di
accedervi gratuitamente, basati sulla distribuzione di farmaci (22%) e vere e proprie
forme di assistenza medico-infermieristica (11%).
Tutti gli enti svolgono attività multifunzionali, anche se il loro imprinting resta
evidente. La distribuzione dei pacchi alimentari è, ad esempio, di competenza
prioritaria degli enti specializzati in questa attività (129 casi su 185), tuttavia anche i
gestori di mense e di residenze svolgono in parte lo st