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TRAUMA ALEXANDER
Lo schema di Alexander serve per spiegare come l’oggetto culturale sia utilizzato dagli attori
per compiere azioni. Analizza una performance sociale.
Alexander inventa questo schema per avvicinarsi ai suoi colleghi empirici, cercando di tenere
insieme spiegazione (nesso causale) e comprensione (motivo):
la performance sociale è il processo con cui gli attori, individualmente o insieme, svelano agli
altri il senso della loro situazione sociale.
es. riconosciamo una manifestazione per la forma (forma=performance). Quindi una performance
sociale è un rito.
Per fare in modo che il pubblico capisca ciò che sta accadendo l’attore deve assicurarsi che le azioni
siano accettabili e comprensibili in modo ragionevole.
sfondo: orizzonte delle aspettative. Ogni momento quotidiano è composto da frames (cornici
• simboliche, primi significati)
script: la parte più specifica che fa entrare in maniera più completa nel frame
• text: oggetto culturale, ciò che esattamente viene detto e fatto
•
Collegamento tra attore e contesto culturale. Cosa deve fare l’attore?
interpretazione: l’attore dev’essere capace di interpretare script e simboli in modo corretto
• catarsi/catessi: la capacità di immedesimarsi emotivamente
•
Collegamento tra a attore e pubblico.
estensione: capacità dell’attore di estendere la performance in termini più generali
• identificazione: il pubblico deve riuscire a identificarsi con la performance
•
Capitolo primo: il processo di formazione di un trauma collettivo
Alexander dà una teoria sociologica del trauma culturale: un trauma culturale si produce
quando i membri di una collettività avvertono di essere stati colpiti da un evento terribile che
ha lasciato un marchio indelebile sulla loro coscienza di gruppo segnando per sempre
la memoria e modificando la loro identità futura in modo profondo e irrevocabile.
È tramite l’elaborazione del trauma che la collettività identifica nuovi nessi causali nella realtà e si
può attribuire una parte di responsabilità.
aspetto sociale: differenza tra trauma personale e culturale (costruito attraverso un processo
• di significazione collettivo; poggia sulla materialità e suggerisce nuove relazioni causali).
Essenziale quindi la presenza di un gruppo che si identifica come tale
aspetto culturale: una rappresentazione collettiva che dà significato a un evento (non conta
• l’evento in sé ma la spirale di significazione)
è necessario un ambito spazio-temporale
• è necessario un evento costruito come terribile che deve modificare la memoria, la coscienza
• e le azioni future. Dev’esserci un processo di trasformazione collettiva, uno shock che non
può essere riassorbito con le categorie identitarie precedenti
Altre spiegazioni sociologiche ritengono che il trauma sia radicato nell’esperienza comune e non sia
una costruzione sociale -> teoria profana del trauma:
modalità illuministica: immediatamente, senza costruzioni simboliche, la collettività
• reagisce al trauma con una risposta razionale che risolve il trauma stesso. Vengono
identificati subito cause e oggetti del trauma, la risposta è lucida e genera progresso per
evitare che si ripetano le condizioni che lo hanno generato. È stato provato che però l’evento
stesso non basta, es. gun violence negli Stati Uniti che viene culturalizzato come problema
mentale di un individuo e diventa semplicemente un evento spiacevole
Si differenzia dalla teoria sociologica perché dà valore solamente all’evento e non crede che
la risposta sia un ripensamento della propria identità.
modalità psicanalitica: a causa della repentinità dell’evento traumatico, la psiche lo
• nasconde/rimuove all’individuo dando vita a problemi identitari. L’unico modo per superare
il trauma è quello di fare psicoanalisi per far riemergere il ricordo inconsciamente presente
ma represso. Il trauma consiste nella mancata assimilazione dell'evento
Si riferisce alla psiche dell’individuo quindi la sociologia può disinteressarsene.
Per entrambe le teorie c’è un problema, la fallacia naturalistica. La prima teoria sostiene che basti
l’evento in sé, mentre la seconda schiaccia troppo la riflessione sull’individuo escludendo il trauma
come socialmente mediato. Un trauma può però diventare tale anche se l’evento non è stato vissuto
direttamente, se non è ancora stato vissuto, o successivamente ma deve minacciare l’identità del
gruppo per essere considerato collettivo.
Per Alexander la presentazione di un trauma può essere paragonata a un atto linguistico
performativo, costituito da tre elementi:
il parlante/il gruppo portatore, chi presenta l’evento come traumatico e ha interessi sia
• materiali che simbolici, un certo status sociale e abilità nel produrre significato entro la sfera
pubblica
il pubblico eterogeneo
• la situazione, il contesto storico e culturale in cui si realizza la performance
•
Si porta il problema da un pubblico ristretto a uno più generale tramite una spirale di
significazione, la distanza tra l’evento in sé e il significato che lo rende traumatico.
Spostamento del quadro del trauma dalla vittima al pubblico che non l’ha vissuto in prima persona.
Il parlante ha bisogno di narrare i fatti in un modo facilmente comunicabile. Quattro dimensioni
della narrazione:
la natura del dolore: ha a che vedere con cos’è accaduto e come rappresentare un dolore
• che tocchi tutta la collettività
attribuzione della responsabilità: nella realtà è difficile attribuire colpe per far partire una
• rivendicazione (se non c’è il colpevole non c’è la vittima). Ci sono capri espiatori più facili
di altri, ad esempio gruppi emarginati o visibilmente diversi dal gruppo centrale
es. omicidio due poliziotti subito ci si scatena contro gli immigrati ma poi si scopre che sono stati
due americani.
natura delle vittime: necessario scegliere la vittima giusta. Alcuni gruppi (es. rom) non
• possono essere vittimizzati perché troppo estranei
es. vittimizzazione degli anziani che non riescono ad andare in pensione è riuscita, mentre i NEET
no. rendere interessante la vittima al pubblico generale: il pubblico riesce a identificarsi con
• le vittime? È la parte più difficile e possibile solo se le vittime vengono rappresentate con
caratteristiche apprezzate
La spirale di significazione avviene sempre fra filtri tra parlante e pubblico: arene istituzionali,
filtri culturali e normativi che mediano il messaggio.
— arena religiosa: collegamento tra trauma e precetto divino (es. pedofilia dei preti)
— arena estetica: medium attraverso cui la spirale di significato prende forma per la catarsi.
Dipende dall’estetica dello stesso (es. diario di Anna Frank)
— arena giuridica/legale: ci si concentra sul verdetto (es processo di Norimberga,
Harvey Weinstein)
— arena scientifica: prove ed evidenze storiche per rivelazioni e revisioni
— arena mass-mediatica: dà molta visibilità ma drammatizza e distorce le notizie
— arena della burocrazia statale: commissioni parlamentari che nascono per trovare dei colpevoli
Occorre sottolineare che c’è un differenziale di potere tra chi gestisce le arene istituzionali e le
vittime, e che quindi il processo di formazione della spirale di significazione dipende anche dalla
narrativa che viene presentata nelle arene (es. i carnefici potrebbero essere giustificati).
Una volta completata la “routinizzazione” l’identità viene ridefinita tenendo in considerazione il
passato, il dibattito si spegne e si raggiunge un sostanziale accordo; simboli e oggetti vengono
istituzionalizzati.
Capitolo secondo: l’Olocausto
L’Olocausto è stato un evento elevato a rappresentazione del massimo male tramite un’opera di
narrazione traumatica.
Prima della fine della seconda guerra mondiale non si credette alle denunce provenienti dall’Europa
sulle atrocità dei tedeschi ritenute puro allarmismo. Dal 3 aprile 1945 cominciarono però ad essere
scoperti i campi, e il tentativo di sterminio venne preso come un fatto. Non diventò subito un
elemento traumatico però perché il pubblico non riuscì a identificarsi con ciò che dai media veniva
presentata come una massa di denutriti e maleodoranti, quasi alieni; inoltre ciò che era stato
commesso venne rappresentato come un’altra atrocità di guerra al pari di altre. Secondo la teoria
profana del trauma:
teoria illuministica: lo sterminio portò alla fine dell’antisemitismo negli Stati Uniti e alla
• presa di consapevolezza che tutti gli umani hanno una moralità
teoria psicanalitica: lo sterminio originò silenzio e sconcerto e la rielaborazione avvenne
• dopo due o tre decadi
Ciò che queste teorie non considerano è che l’elaborazione di un trauma passa per tre momenti:
codificazione: dipende da chi possiede i mezzi di produzione simbolica perché dà forma alla
• narrazione (se i campi fossero stati scoperti da altri regimi autoritari nazisti o comunisti e
non dagli americani democratici probabilmente non avremmo l’Olocausto come male)
valutazione: una volta codificato da noi come male, di che tipo di male si tratta?
• narrazione
•
Per questi tre elementi fondamentale l’analisi di quanto è avvenuto precedentemente. Dopo la prima
guerra mondiale il male venne relativizzato, rendendo impossibile narrare ciò che stava accadendo
tra le due guerre. Solo a partire dagli anni ’30 si cominciò a codificare il nazismo come male.
La notte dei cristalli fu un evento fondamentale che cambiò l’opinione degli americani nei
confronti del nazismo; questo sopratutto perché giusto sei settimane prima erano stati siglati gli
accordi di Monaco per placare le mire espansionistiche di Hitler. Una tale violenza pubblica diventa
ingiustificata e il nazismo assume lo status di contaminato. Testate giornalistiche e personaggi
pubblici si indignarono, ma non fu mai posto l’accento sul fatto che le vittime fossero ebree.
L’empatia con questo gruppo arrivò solo successivamente per combattere il nemico Germania (il
nemico del mio nemico è mio amico).
Dall’opposizione al nazismo si originarono due narrazioni:
narrazione progressista: circoscrive il nazismo storicamente considerandolo un'anomalia e,
• in quanto tale, naturalmente superabile e da relegare a un passato buio per progredire. La