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Shannon, Carnap e Bar-Hillel.
Un esperto dell’informazione può infatti stabilire la probabilità di ricorrenza di
lettere e parole di una lingua, ma qualunque persona può essere in grado di
usare la propria lingua senza conoscere grammatica e sintassi. Essendo
influenzati dal contesto, i comportamenti “diversi” (fuori del contesto) o “casuali”
ci colpiscono più di errori semantici o sintattici. Hora afferma che per capire se
stessi, c’è bisogno di essere capiti dagli altri, cosa che implica l’aver capito l’altro.
La comprensione si basa su regole precise, sebbene non si riesca quasi mai a
comunicare sulla comunicazione.
I gradi di consapevolezza delle regole di comportamento sono gli stessi che Freud
ha postulato per lapsus ed errori: si può averne piena consapevolezza, possiamo
non rendercene conto ma riconoscerle quando ci vengono fatte notare, oppure
non averne affatto consapevolezza. Se per programmare un calcolatore occorre
immettervi regole che guidano operazioni eseguite sulla base di un modello,
nell’interazione umana, osservando il sistema si possono fissare le regole alla
base del suo funzionamento.
Un calcolo, secondo Boole, è un metodo che si basa sull’impiego di simboli le cui
leggi di combinazione sono note e generali e i cui risultati consentono
un’interpretazione coerente. Quando i matematici fanno di tale strumento
l’oggetto del loro studio, usano un linguaggio sulla matematica, compiendo una
metacomunicazione, ossia una comunicazione sulla comunicazione. La
comunicazione umana non è tuttavia confrontabile con il sistema del calcolo: i
matematici utilizzano infatti due linguaggi, numeri e segni algebrici e linguaggio
naturale, mentre nella comunicazione tradizionale si utilizza solo quest’ultimo.
Nagel e Newman affermano che le configurazioni dei pezzi sulla scacchiera come
tali sono “prive di significato”, al contrario delle asserzioni su tali configurazioni,
ovvero delle discussioni sula ragione che hanno determinato un comportamento.
Tutto il materiale di cui possiamo disporre, non essendo possibile osservare la
mente dall’esterno, ci proviene dalle nostre interferente e da resoconti personali,
inattendibili. Esiste tuttavia un calcolo della pragmatica della comunicazione
umana le cui regole vengono osservate nella comunicazione efficace e violate in
quella disturbata.
Per studiare la comunicazione umana occorrono quindi schemi concettuali
analizzati dalla psicopatologia. Se in psicologia e psichiatria soggetto e oggetto
sono identici, la mente umana, studiando sé stessa, fa sì che ogni ipotesi tenda
ad auto convalidarsi. L’impossibilità di vedere la mente al lavoro ha portato il
settore delle telecomunicazioni ad elaborare il concetto di “scatola nera”, il cui
hardware elettronico è così complesso che conviene talvolta trascurare la
struttura interna e studiare i rapporti specifici di ingresso-uscita, che non
escludono interferenze con quanto si verifica all’interno, come nel caso di
problemi psicologici e psichiatrici.
In questi casi, limitandosi ad osservare la comunicazione, la psichiatria tende a
considerare i sintomi una sorta di ingresso nel sistema familiare piuttosto che
l’espressione di un conflitto intrapsichico. Inoltre, se a qualcuno viene pestato un
piede, questo qualcuno avrà un forte interesse a sapere se il comportamento
dell’altro è stato intenzionale o involontario, ma l’opinione che si fa in proposito si
basa necessariamente sulla sua valutazione dei motivi e sull’ipotesi di ciò che
passa nella testa dell’altro, che lo portano a scegliere se fidarsi o meno della
risposta che ha ricevuto. Il modo di attribuire un significato è indispensabile per
l’esperienza soggettiva della comunicazione con gli altri, ma è oggettivamente
indecidibile.
Il comportamento è inoltre determinato almeno in parte dall’esperienza
precedente, sebbene sia inattendibile ricercarne le cause nel passato. Ashby
afferma infatti che la “memoria” ha la tendenza a distorcere i fatti: il modo di
parlare del proprio passato varia infatti a seconda del modello di comunicazione
che viene adottato a seconda dell’interlocutore e del suo peso nella vita di chi si
racconta. L’effetto del comportamento è un criterio estremamente rilevante
nell’interazione di individui, in cui il sintomo può assumere l’aspetto di una regola
di interazione, i cui effetti possono influenzare profondamente l’ambiente del
malato.
Inoltre, se tutte le parti dell’organismo formano un cerchio ed ogni parte è quindi
sia il principio che la fine (come affermato da Ippocrate), nelle catene lineari e
progressive si può parlare di principio e fine, ma non nell’interazione umana, i cui
le persone A e B possono dichiarare di star reagendo al comportamento del
partner, senza rendersi conto che a loro volta influenzano l’altro con la loro
reazione. Infine, un comportamento si può studiare soltanto nel contesto in cui si
attua: pertanto, i termini “sanità” ed “insania” perdono significato e la nozione di
“anormalità” diventa discutibile quando la condizione del paziente si scopre non
essere statica, ma sensibile al variare della situazione interpersonale e dell’ottica
preconcetta dell’osservatore. Inoltre, quando si considerano i sintomi psichiatrici
come un comportamento che si adegua a una interazione in corso, anche la
“schizofrenia”, considerata una malattia incurabile e progressiva della mente,
diventa l’unica reazione possibile a un contesto di comunicazione insostenibile.
2. Tentativo di fissare alcuni assiomi della comunicazione
Le proprietà semplici della comunicazione hanno fondamentali implicazioni
interpersonali ed hanno natura di assiomi.
Il primo è un assioma “metacomunicazionale”, secondo cui non si può non
comunicare. Il comportamento non ha, infatti, un suo opposto. Non esiste
qualcosa che non sia un non-comportamento e non è possibile non avere un
comportamento: in una situazione di interazione, l’intero comportamento ha
valore di messaggio ed è comunicazione, sia in caso di attività che di inattività, di
parole o silenzio, poiché tutto è in grado di influenzare gli altri.
Non è quindi sufficiente non prestarsi attenzione reciproca, poiché la
comunicazione non ha luogo soltanto quando è intenzionale, conscia o efficace,
ovvero quando si ha comprensione reciproca, ma ha luogo sia che il messaggio
emesso eguagli quello ricevuto sia che non lo faccia. La comunicazione è un’unità
di comportamento: una singola unità di comunicazione è rappresentata dal
messaggio, mentre una serie di messaggi sarà definita interazione (che, a livello
più elevato, può presentarsi in modelli di interazione). Benché lo schizofrenico
cerchi di non-comunicare, quindi, si trova di fronte al compito impossibile di
negare che egli sta comunicando o che il suo diniego sia comunicazione. Ogni
comunicazione implica un impegno e definisce il modo in cui il trasmettitore
considera la sua relazione col ricevitore: lo schizofrenico, quindi, si comporta
come se volesse evitare l’impegno.
Il secondo assioma afferma che ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e
un aspetto di relazione che lo classifica. Una comunicazione trasmette infatti
informazione e allo stesso tempo impone un comportamento: si parla infatti,
rispettivamente, di “notizia” (report, ovvero il contenuto del messaggio) e
“comando” (command). Tanto più una relazione è spontanea, tanto più l’aspetto
relazionale della comunicazione recede sullo sfondo: nelle relazioni “malate”
infatti, vi è una lotta costante per definire la natura della relazione.
A differenza dell’informazione (ossia i dati), l’informazione su tale informazione
(ovvero le istruzioni) dà vita a una meta-informazione, realizzabile anche in
modo non verbale (gridando, sorridendo). Il contesto chiarisce spesso la
relazione: tali indicazioni non ci vengono infatti date dalla lingua scritta. La
capacità di meta comunicare è la condizione essenziale per una comunicazione
efficace, ma è legata alla consapevolezza di sé e degli altri.
Il terzo assioma stabilisce che la natura di una relazione dipende dalla
punteggiatura delle sequenze di comunicazione. Durante l’interazione, ovvero
nello scambio di messaggi, i partecipanti introducono quella che Whorf, Bateson e
Jackson hanno definito “la punteggiatura della sequenza di eventi”. Lo psicologo
etichetta un elemento (o item) in ingresso come “stimolo” e un altro come
“rinforzo”, definendo ciò che il soggetto fa tra questi due eventi come “risposta”,
sebbene ogni elemento della sequenza sia simultaneamente stimolo, risposta e
rinforzo. La sequenza delle prove è punteggiata in modo tale che sembra che sia
sempre lo sperimentatore a fornire gli stimoli e i rinforzi, mentre in realtà le
definizioni del ruolo sono prodotte dalla propensione dell’organismo ad accettare
il sistema di punteggiatura.
Il topo potrebbe pensare di aver addestrato lo sperimentatore, rifiutando la
punteggiatura della sequenza che egli cerca di imporre. Gli organismi coinvolti
punteggiano infatti la sequenza facendo sembrare che sia l’uno o l’altro ad avere
l’iniziativa, mentre l’altro si trovi in posizione di dipendenza, stabilendo modelli di
scambio (su cui possono concordare o meno). La punteggiatura organizza gli
eventi comportamentali e i modi di considerare gli eventi, distinguendo leaders e
seguaci, sebbene sia difficile quale dei due venga per primo o quale sarebbe la
posizione dell’uno senza l’altro.
Un disaccordo su come punteggiare la sequenza di eventi rappresenta la radice di
innumerevoli conflitti di relazione, in cui uno degli elementi percepisce il proprio
comportamento come una reazione a quello altrui, ma non come causa
determinante di esso. Gli individui possono infatti avere opinioni divergenti su
esperienze comuni proprio per la loro incapacità di metacomunicare in base ai
rispettivi modelli di interazione.
Analizzando la corsa agli armamenti, Joad sottolineava come, partendo dal
presupposto che il modo migliore per preservare la pace è preparare la guerra,
tutte le nazioni dovrebbero considerare gli armamenti delle altre nazioni una
minaccia per la pace, sentendosi così stimolate a incrementare i propri per
superare quelli delle nazioni da cui suppongono di essere minacciate. Ciò viene a
sua volta interpretato come una minaccia dalle nazioni vicine, dando vita a una
- Risolvere un problema di matematica
- Riassumere un testo
- Tradurre una frase
- E molto altro ancora...
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