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Nel caso francese, il sistema radiofonico fu sottoposto al controllo dello Stato,
mentre nella Germania nazista ci si concentrò sulla costruzione dell’ideologia di
regime e sulla diffusione delle notizie sulle operazioni militari, proibendo l’ascolto
di radio straniere. Goebbels fece infatti costruire, nel ’33, il “ricevitore del
popolo”, un apparecchio standard dotato di bassa capacità ricettiva, che
consentiva al regime di controllare tutta la programmazione. In Italia, nel ’27,
nacque l’Eiar, Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, preceduto nel ’24 dall’Uri,
Unione Radiofonica Italiana, mediante il quale il fascismo plasmava l’opinione
delle masse con un mix di svago e informazione.
Nel ’33 iniziarono anche le trasmissioni dell’Ente Radio Rurale, rivolta
all’educazione dei ragazzi e all’ascolto scolastico. McLuhan considerava quindi i
media come estensioni di corpo e mente, a un livello quindi sia sensibile che
intellettivo: ciascun medium influisce infatti nella nostra percezione del mondo,
provocando l’intorpidimento o l’ipertrofia estetica e condizionando il nostro
immaginario culturale e simbolico. La ricognizione sugli strumenti del comunicare
mostra come non ci sia una sostanziale differenza tra spostamento di
informazione e di persone, poiché la comunicazione contiene in sé i soggetti
coinvolti, ovvero sia forma (il medium) che contenuto (il messaggio). McLuhan
afferma infatti che “il medium è il messaggio”, poiché provoca un mutamento di
proporzioni, ritmi e schemi introdotti, modificando l’uomo nell’uso della
tecnologia.
L’opinione pubblica è ancora sensibilmente orientata da forme di informazione
mainstream, in quanto rete, web 2.0 e social network non hanno ancora
raggiunto la forza di informazione e formazione del sapere dei tradizionali media
di massa, e non riescono quindi a produrre effetti di strategia del consenso
altrettanto efficaci. Con il differenziarsi progressivo della società e lo
specializzarsi degli individui, nonché con il mutamento delle forme di
socievolezza, sono infatti mutati anche i mezzi di comunicazione e il loro
adattamento, in un rapporto di reciproco adattamento.
XIX e XX secolo vedono l’esplosione di stampa, radio e tv. I più antichi quotidiani
italiani risalgono all’Unità d’Italia, ma con l’avvento dello sviluppo industriale,
l’aumento delle copie influirà positivamente sull’analfabetismo. La radio di Stato
nasce invece nel ’54 negli studi Rai di Torino, finché l’avvento del web rafforzerà
le potenzialità dei media e la molteplicità dei modi di fruizione.
Una delle prime teorie formalizzate sul potere dei mezzi di comunicazione è
quella dell’ago ipodermico o teoria del proiettile magico, risalente ai primi decenni
del Novecento. Wright affermava infatti che ogni membro del pubblico di massa è
personalmente “attaccato” dal messaggio.
Con le guerre mondiali e i regimi totalitari, l’affermarsi della vita urbana ha
esposto il cittadino a messaggi e contenuti che sostituivano i principi normativi
delle società tradizionali. Industrializzazione e urbanesimo sembravano poter
sovrastare l’individuo e irreggimentare la sua vita secondo regole collettive di
produttività e rigore organizzativo. La comunicazione di massa veniva ipotizzata
quindi come una sorta di voce superiore che potesse condizionare la coscienza
individuale e collettiva. McLuhan considera infatti la radio un “tamburo tribale”
con capacità aggregative e quindi fonte di coesione e
informazione/condizionamento per la sua capacità di raggiungere le persone. La
comunicazione di massa si traduce in un’attività manipolatoria nelle intenzioni
delle organizzazioni di emissione. La creazione di radio di Stato negli anni 20 e 30
del Novecento aveva infatti la funzione di uniformare la massa dal punto di vista
culturale e simbolico. Il concetto di massa nasce nel pensiero politico
ottocentesco conservatore che la connota con un’accezione negativa poiché vede
nella massa il prodotto irrazionale, incontrollabile e violento di urbanizzazione e
industrializzazione. Per i nascenti movimenti socialisti, la “massa” aveva invece
forti connotazioni positive per la capacità di aggregarsi in funzione di uno scopo
collettivo sovraindividuale volto all’emancipazione. La perdita dell’individualità
degenera tuttavia nell’indifferenziazione: la massa diventa quindi un aggregato
omogeneo di persone simili. La perdita dell’esclusività delle élite e l’indebolimento
dei legami tradizionali ha infatti generato la fusione del singolo in un magma
sociale senza qualità.
Le persone, sconosciute, hanno infatti numerose occasioni di contatto fugace ma
scarse possibilità di interazione, necessitando quindi di nuovi elementi che
possano strutturarla e ne determinino l’azione. La crisi delle società tradizionali
provocata dall’industrializzazione ha infatti reso difficile elaborare un pensiero
critico indipendente. La massa non si fonda infatti sulla personalità dei suoi
membri, ma su quelle parti che li accomunano ed equivalgono a forme primitive
dell’evoluzione. Le loro azioni cercano di raggiungere lo scopo nella vita più breve
possibile, ma a dominarle è sempre una sola idea. L’individuo è quindi bersaglio
di messaggi manipolatori di mezzi di comunicazione nelle mani di pochi. Tali
messaggi di matrice propagandistica li penetrano e ne condizionano gusti, scelte
ed emozioni.
La psicologia behaviorista dei primi decenni del Novecento, diffusasi negli Stati
Uniti, intendeva studiare il comportamento umano con gli stessi metodi di
esperimento e osservazione tipici delle scienze naturali. La relazione tra
organismo e ambiente viene osservata secondo il modello stimolo-risposta usato
da Pavlov, il cui cane rispondeva automaticamente con la salivazione allo stimolo
del campanello che annunciava il cibo, a causa di un riflesso condizionato che
sfugge al suo controllo. Lund considerava impossibile definire stimoli e risposte se
non uno nei termini dell’altro: insieme essi costituiscono infatti un’unità,
presupponendosi a vicenda.
Stimoli che non producono risposte non sono stimoli, e una risposta deve
necessariamente essere stata stimolata. La società di massa presenta infatti
lacune in termini di lucidità analitica, evidenti soprattutto con lo svilupparsi di
industria culturale e cinema, che danno vita a una nuova cultura di riferimento
che supera i saperi tradizionali e gli usi e costumi appresi nelle comunità locali.
La perdita dell’autenticità e la standardizzazione a cui gli individui sono sottoposti
è dovuta, secondo Morin, alla capacità della cultura mainstream di toccare la
sensibilità di “tutti”, attingendo a immagini e significati universali, espressione di
moti autentici della vita umana.
Nella società di oggi, le persone nascono già immerse in questa cultura di massa
che rappresenta la cultura popolare, attraverso cui matura l’immaginario e
mediante la quale vengono costruiti significati, esperienza e relazioni simboliche e
sociali. L’arrivo della rete ha portato i soggetti a mantenere comportamenti legati
a modelli di massa, affiancando ad essi capacità di scelte autonome fuori dalle
regole dominanti, dando nuova energia alla cultura popolare.
A partire dagli anni 40, Lasswel espresse un punto di vista “meccanico” sulla
comunicazione, scomponendo il processo comunicativo in 5 mosse,
corrispondenti alle domande: chi dice, cosa, a chi, attraverso quale canale e con
quali effetti. Tale visione ne evidenzia quindi la potenza semplificatrice e
l’universalità di applicazione, sebbene con i nuovi media ci sia bisogno di porsi
domande più complesse, dipendenti anche dalla specificità di ogni singolo
medium. L’analisi del messaggio considera 4 fattori: la credibilità della fonte,
l’ordine delle argomentazioni, la completezza e l’esplicitazione delle conclusioni.
La conoscenza della fonte può essere complicata soprattutto in rete, sebbene sia
ovunque evidente l’andamento asimmetrico secondo cui l’emittente produce la
comunicazione, ricevuta passivamente dal pubblico (più o meno
consapevolmente suddito) coerentemente col modello stimolo-risposta. La
comunicazione è volta a sollecitare uno specifico effetto, ovvero un
comportamento che ne sia la diretta conseguenza (un voto, un acquisto o nella
formazione di un’opinione). Si cerca quindi di “condurre” i soggetti a fare scelte
congrue agli intenti dell’emittente, non necessariamente in sintonia con i loro
obiettivi.
A partire dagli anni 40 si sono tuttavia sviluppati approcci teorici incentrati sul
processo di codifica/decodifica, evidenziando la capacità del pubblico di
“ricostruire” il significato del messaggio. I cultural studies si rifiutarono infatti di
considerare il banale accoglimento di un contenuto preconfezionato, codificato da
strutture di emissione secondo una determinata ideologia, ma che il
ricevente/decodificatore può rifiutare, opponendovisi o proponendo una lettura
diversa e antagonista. I media, anche secondo Gramsci e Benjamin, riproducono
una visione egemonica favorevole alle classi dominanti, benché ciò non escluda la
possibilità di un “conflitto” interpretativo.
La forza dei media va quindi a ridursi all’aumentare della competenza dei
riceventi e della varietà delle informazioni disponibili, rispetto alla quale ha un
grande rilievo la capacità selettiva. La combinazione tra media di massa e social
network favorisce lo stabilirsi di una relazione fra i riceventi. McQuail infatti
sottolinea come la comunicazione rituale dipenda da una comunanza di vedute ed
emozioni, che si uniscono attraverso il rituale che impegna sentimento e azioni,
acquisendo un significato non definito autonomamente dai partecipanti, ma
dipendente dalla cultura. A una prima stagione di teorie sulla manipolazione,
quindi, ne segue una incentrata sull’idea di persuasione e sugli studi sperimentali
sulle “variabili intervenienti” nel processo di ricezione, che riguardano i singoli
membri dell’audience.
Gli psicologi si focalizzarono infatti su fattori come classe sociale, istruzione,
orientamento politico. Tuttavia, essi si occuparono prevalentemente degli effetti
dei media connessi a situazioni di alta esposizione a messaggi dei media per fini
elettorali o propagandistici, ma senza occuparsi della quotidianità di un panorama
mediale contemporaneo, oggi non più circoscritto ai media tradizionali