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La deriva privatistica nel diritto internazionale
Banca Mondiale e della Commissione Europea. Anche Pier Paolo Portinaro sottolinea con forza la deriva privatistica che sembra aber investitoampi settori del diritto internazionale. A suo parere il sorgere di nuovi organi di giurisdizioneinternazionale non sta portando nella direzione di una sorta di governance giurisdizionaleplanetaria.
Grazie ai processi di globalizzazione, il classico modello del rule of law sembra dissolversi in unsistema dualistico di giustizia, nel quale a una giustizia su misura, confezionata per i detentori delpotere economico, si affianca una giustizia di massa per i consumatori ordinari. Ed è proprio questonuovo dualismo che secondo Portinaro minaccia la sussistenza dello Stato di diritto nei sistemipolitici dell'età della globalizzazione. Sentenze clamorose, capaci di mettere in difficoltà gruppicorporati multinazionali, sono del tutto eccezionali. Il rischio è pertanto che si passi dallesperienzaeuropea delle democrazie.
nazionali sotto la supervisione di giudici costituzionali a una società civile globale nella quale le corporazioni legali fanno prevalere gli interessi dei più potenti e le strategie più spregiudicate. Come anche Josiph Stiglitz ha sottolineato, l'asimmetria dell'informazione fra gli attori del contratto – fra la compagnia di assicurazione e l'assicurato, fra il manager industriale e il lavoratore dipendente – ne fa un rapporto ad altissimo rischio. Guido Rossi sostiene: è illusoria anche la prospettiva del globalismo giuridico, che per contrastare l'illegalità diffusa negli ambienti finanziari suggerisce il ricorso ad autorità sovranazionali. L'idea è di dar vita a una rete di autorità e di agenzie insediate nei vari ambiti nazionali ma autonome rispetto alle autorità statali, capaci di imporre una disciplina globale ai mercati finanziari. Ma questo progetto sicuramente suggestivo, osserva Rossi,
si scontra con il fatto che sono sempre i tribunali dei singoli paesi – e dei paesi più forti – a giudicare la validità, secondo il loro ordinamento interno, delle regole formulate dalle agenzie internazionali indipendenti.
In parallelo a questi fenomeni si assiste a un processo evolutivo altrettanto rilevante: la funzione giudiziaria e il potere dei giudici tendono a espandersi sia a livello nazionale sia su scala internazionale, limitando il potere legiferativo dei parlamenti ed erodendo ulteriormente la sovranità giurisdizionale degli Stati. L'indice empirico più evidente del fenomeno è il moltiplicarsi delle corti internazionali. Oggi sono operanti a livello internazionale; la corte internazionale di giustizia, la corte europea dei diritti dell'uomo, il tribunale penale internazionale dell'Aja per l'ex Jugoslavia, ecc.
Per la maggioranza degli osservatori e degli studiosi si tratta di uno sviluppo altamente
positivo: l'ordinamento internazionale si sta adattando con prontezza a uno scenario nel quale è in via di superamento il principio groziano dell'esclusione degli individui dalla soggettività di diritto internazionale e si assiste al moltiplicarsi di soggetti non statali. E si tratta di una pertinente replica normativa al diffondersi, dopo la fine della guerra fredda, di fenomeni di conflittualità etnica, di nazionalismo virulento e di fondamentalismo religioso che portano a estese e gravi violazioni dei diritti dell'uomo. In questo senso lo strumento penale internazionale può esercitare un'efficace funzione di prevenzione proprio nei confronti delle nuove guerre. Antonio Cassese, che è stato il primo presidente del Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia, sostiene che le corti penali internazionali possono garantire, in modo assai più efficace rispetto alle corti nazionali, la tutela dei diritti dell'uomo e larepressione dei crimini di guerra. Questo, perché i tribunali internazionali sono assai poco inclini a perseguire crimini che non presentino rilevanti connessioni territoriali o nazionali con lo Stato cui i tribunali appartengono. Altri autori avanzano critiche e riserve a proposito sia dell'opportunità, sia dell'efficacia della giurisdizione penale internazionale, in particolare da Hedley Bull e Hans Kelsen. Bull aveva sostenuto che la giurisdizione penale delle corti internazionali aveva amministrato una giustizia selettiva ed esemplare, e ciò in palese violazione del principio di eguaglianza giuridica dei soggetti. Kelsen, pur favorevole all'istituzione dei tribunali penali internazionali, aveva denunciato la clamorosa violazione dell'imperativo nulla culpa sine iudicio, reso inoperante, oltre che dalla composizione delle corti e dalle procedure adottate, dalla spettacolare attribuzione di colpevolezza che anticipava il giudizio penale. C) il dibattito sulleLe funzioni della giurisdizione penale internazionale rinviano a una serie di questioni più generali. Esse riguardano anzitutto il fondamento teorico e l'accettabilità etico-politica del cosiddetto globalismo giuridico. E riguardano in secondo luogo la legittimità politica e giuridica di una tutela internazionale dei diritti dell'uomo che assume forme coercitive - giurisdizionali e militari - in nome dell'universalità della dottrina dei diritti dell'uomo. Ovviamente anche qui le opinioni si dividono in modo netto. Gli autori che guardano con favore all'espansione della giurisdizione penale internazionale normalmente auspicano anche l'avvento di un diritto cosmopolitico al posto dell'attuale diritto internazionale e sono inclini a sottoscrivere la tesi della universalità dei diritti dell'uomo. Ed è vero l'inverso: i critici della giustizia penale internazionale normalmente si oppongono anche.
all'idea del diritto cosmopolitico e a ogni universalismo normativo. L'idea del globalismo giuridico è stata proposta nella seconda metà del secolo scorso da autori come Richard Falk e Norberto Bobbio. La premessa filosofica del globalismo giuridico è l'unità morale del genere umano. L'unificazione planetaria dello spazio giuridico dovrebbe riguardare in primo luogo la produzione del diritto, il cui compito dovrebbe essere affidato a un organismo centrale, identificabile in linea di principio in un parlamento mondiale. In secondo luogo, il processo di globalizzazione dovrebbe interessare l'interpretazione e l'applicazione del diritto, anzitutto di quello penale. Questa duplice funzione dovrebbe essere svolta da una giurisdizione universale e obbligatoria, competente a giudicare i comportamenti dei singoli individui e non soltanto la responsabilità degli Stati. In questo contesto normativo, la Dichiarazione universale dei Diritti UmaniIl diritto dell'uomo del 1948, viene elevata, per così dire, al ruolo di norma fondamentale: è assunta come un nucleo di principi giuridici in grado di fornire una legittimazione costituente alla normativa di cui si auspica l'avvento.
I critici del globalismo giuridico replicano rivendicando anzitutto la molteplicità delle tradizioni normative e degli ordinamenti giuridici oggi in vigore a livello planetario e sottolineando il loro prevalente carattere transnazionale. In secondo luogo, gli avversari del globalismo giuridico denunciano la debolezza di una dottrina che nonostante le sue aspirazioni cosmopolitiche rimane ancorata alla cultura della vecchia Europa, e cioè al giusnaturalismo classico-cristiano. L'idea del diritto internazionale che essa propone è indissociabile da una visione teologico-metafisica che pone a fondamento della comunità giuridica internazionale la duplice credenza nella natura morale dell'uomo.
Nell'unità morale del genere umano. I critici del globali giuridico, esprimono notevoli perplessità anche a proposito delle forme coercitive della tutela internazionale dei diritti soggettivi. Sembra infatti poco realistico pensare che la tutela delle libertà fondamentali possa essere garantita coattivamente in ambito internazionale a favore dei cittadini di uno Stato, se questa tutela non è anzitutto garantita dalle istituzioni democratiche interne.
7. Le trasformazioni della guerra
È opinione diffusa che le guerre dell'ultimo quindicennio, dalla guerra del Golfo alle guerre umanitarie nei Balcani, alla guerra in Afghanistan e quella in Iraq, siano state, non solo da un punto di vista tecnico-militare, guerre nuove. Per Beck le guerre dell'ultimo Novecento sono nuove nel senso che anticipano il modello delle guerre dell'era globale. Le nuove guerre globali hanno fatto cadere a una a una le distinzioni classiche fra pace e guerra, fra attacco
e difesa. Sostiene Beck: stanascendo una politica postnazionale di umanesimo militare, di intervento di potenze transnazionaliche si muovono per far rispettare i diritti umani oltre i limiti dei confini nazionali. Altri autori, purmolto lontani dall'idea beckiana che l'umanesimo militare occidentale introduca alle secondamodernità della globalizzazione, hanno sottolineato anch'essi la forte motivazione etica delle nuoveguerre. Norberto Bobbio, per esempio, ha posto in evidenza la dimensione fortemente ideologicache ha caratterizzato in particolare la guerra che nel 199 la NATO ha condotto contro la Repubblicafederale jugoslava. Questa guerra ha lanciato l'idea che la forza militare possa essere usata, anche inviolazione della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale generale, per la promozione divalori universali contro un avversario presentato come nemico del genere umano. Altri autori hannosottolineato la schiacciante superiorità.tecnologico-militare di una parte belligerante rispetto all'altra. Ciò che meglio definisce la natura di queste guerre, si è sostenuto, è la conclamata disparità del potenziale bellico degli autori in conflitto: da una parte ci sono imponenti alleanze militari che dispongono di armi sofisticatissime e micidiali e – sono guidate dalle potenze occidentali in nome di valori universali -, dall'altra paesi politicamente isolati, con una economia debole e militarmente così poco consistenti da non essere in grado di opporre che una debole resistenza difensiva. La tesi di Zolo è che siamo in presenza di un processo di transizione dal modello della guerra moderna a quello della guerra globale. Dal suo punto di vista la trasformazione della guerra e delle sue protesi ideologiche è stata accelerata, non causata, dall'attentato dell'11 Settembre e dalle guerre contro l'Afghanistan e contro l'Iraq. Aggiungo che laLa transizione dalla guerra moderna alla guerra globale non riguarda, a mio parere, soltanto la morfologia della guerra, e cioè la sua dimensione strategica e la sua potenzialità distruttiva, che hanno sicuramente assunto entrambe una misura globale.