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Per il modello socio-psico-somatico, salute e malattia sono il risultato
– dell'interazione sistemica tra i 3 sottosistemi principali: corpo, mente e
ambiente esterno (andando a rappresentare, quindi, la reinterpretazione
della definizione dell'OMS: “la salute è lo stato completo di benessere fisico,
mentale e sociale). La salute degli individui è quindi influenzata
dall'ambiente, poiché consiste nella capacità di risolvere i problemi e gestire
le emozioni per mantenere un'idea positiva di sé e un senso di coerenza tra
benessere psicologico e fisico. Essa va quindi promossa attraverso un
insieme di interventi non solo medico-sanitari, ma anche finalizzati a creare
le condizioni ideali in cui l'individuo possa sviluppare le proprie potenzialità.
Secondo quello olistico, invece, salute e malattia si compenetrano come parti
– inscindibili di un tutto.
L'approccio relazionale, infine, distingue salute e malattia come fenomeni,
– ma li relaziona in un processo continuo che connette i due poli.
Il benessere è una condizione e un'esperienza dell'attore sociale nonché una
risorsa per il suo funzionamento fisico, psicologico, sociale e spirituale; il
malessere, al contrario, pur venendo meno la condizione di perfetta armonia e
salute psico-fisica, non è definibile come una condizione di malattia.
La valutazione in termini di favorevole/sfavorevole rispetto alla soddisfazione
della propria vita e alla componente affettiva può infatti essere fatta
indipendentemente dalla condizione patologica.
Dalla prima metà del Novecento, la prevalenza delle malattie infettive è stata
sostituita da quella di malattie croniche e degenerative, che spesso riducono le
funzioni complesse su piano fisico, mentale, sociale e spirituale. Lo stress
derivante dalla potenziale deframmentazione della biografia individuale
costringe infatti a rendere la malattia la nuova dimensione di vita, che comporta
non solo la perdita di ciò che si aveva ma anche la modificazione di ciò che
resta, con nuove costanti fisiologiche e meccanismi di conseguimento di
risultati. L'uomo si sente infatti in salute quando è capace di riprendere le
modalità di comportamento che gli permettono di rimanere nel contesto sociale
come individui “normali”, ed essere riconosciuti come tali.
Spesso le persone malate o con disabilità dichiarano livelli di qualità e
soddisfazione migliori rispetto a persone in salute, poiché sono maggiormente in
grado di far fronte alle difficoltà e alla sofferenza incrementando gli aspetti
positivi del pensiero. Tra i fattori che contribuiscono a tale paradosso troviamo:
il controllo sul proprio corpo e sulla propria mente,
– la possibilità di fare cose in modi non troppo differenti da prima,
– il supporto emotivo,
– la riscoperta della dimensione spirituale dell'esistenza,
– la revisione e il riorientamento di obiettivi e valori,
– nuovi standard su cui parametrare il proprio successo.
–
Bury sostiene che la malattia costituisce una rottura biografica nella misura in
cui impone modificazione all'organizzazione della vita quotidiana, provocando
nell'individuo una perdita della sua identità precedente. Interpretare
positivamente la malattia significa invece scoprire sé stessi, riordinare le priorità
e riflettere sugli obiettivi.
La normalizzazione non è mai, infatti, il ritorno a uno stato anteriore, ma la
riduzione di disagi indotti dalla condizione di malattia nei vari domini della vita,
attraverso 4 fasi:
lo shock iniziale, con reazioni intense e drammatiche;
– la reazione, in cui la persona prende coscienza e sviluppa strategie di
– fronteggiamento;
l'elaborazione, durante cui si acquisisce la consapevolezza di dover lottare
– per sopravvivere adottando comportamenti di tutela della salute;
e ri-orientamento, con attribuzione di nuovi significati alla propria esistenza.
–
Taylor elabora invece una teoria dell'adattamento cognitivo centrata su 3
aspetti:
ricerca di un significato dell'evento,
– tentativo di mantenere il controllo sull'accaduto
– e rafforzamento dell'autostima attraverso il confronto, che consente di
– riscoprirsi forti da far fronte a sfide importanti.
Lazarus e Folkman definiscono le strategie di fronteggiamento “strategie di
coping”, identificando così tutti gli sforzi cognitivi e comportamentali utili ad
affrontare richieste considerate eccessive rispetto alle risorse adattive
dell'individuo. Tali strategie possono essere centrate sul problema (di cui si
individuano le caratteristiche da affrontare) o sulle emozioni (controllando gli
effetti negativi). Due sono le modalità espressive:
in quella attiva, l'individuo si confronta direttamente con l'evento avverso,
– mentre in quella evitante o passiva ci si dedica ad attività distraenti (si parla
– infatti di braketing, ossia del mettere tra parentesi ciò che accade per
contenere il senso di incertezza).
Niero identifica inoltre dei correlati sociali del coping, che può diventare:
pro-sociale, se orientato ad impegnare o sollecitare gli altri,
– anti-sociale, a manipolare gli altri o vederli come ostacoli,
– oppure a-sociale, orientato a ripristinare l'omeostasi (ossia l'equilibrio
– mente/corpo/spirito) arrangiandosi in autonomia.
Quando imprevedibilità e vulnerabilità minacciano incessantemente il proprio
benessere, alla speranza si affianca la resilienza, che implica una spinta positiva
per uscire da una situazione paralizzante, affrontando le avversità per poi
uscirne rinforzati e con nuove capacità che consentono di progettare il proprio
futuro a dispetto di avvenimenti destabilizzanti e di rischi percepiti. La resilienza
è un processo che inizia col resistere, passa al far fronte, genera una
trasformazione che si integra nella biografia del soggetto e lo porta a costruire
una nuova organizzazione della propria vita.
Le reti sociali di sostegno possono qui offrire un supporto emotivo, affiliativo
(rinforzando l'autostima), informativo o strumentale (materiale), influendo così
sul rischio di problemi psicologici che a loro volta incidono sullo stato di salute di
una persona.
La spinta essenziale ad attivare il meccanismo deve tuttavia obbligatoriamente
partire da uno sforzo personale.
La malattia vive una propria variabilità anche quando rimane costante e
immutata nella sua dimensione biomedica, in quanto a mutare è la sua
dimensione soggettiva, ovvero la percezione di essa.
La sociologia fenomenologica di Schutz si propone di superare il dualismo
cartesiano mente/corpo, fondare la scienza sociale ed esplorare la storia del
senso comune, partendo dal presupposto che l'esperienza del mondo scaturisca
dall'incontro di soggetti concreti nella vita quotidiana. Sussistono tuttavia più
mondi reali dotati di senso a seconda del punto di vista. Il corpo stesso si
costituisce come entità cosciente irriducibile alla materia, bensì centro di
orientamento attraverso cui si realizza l'esperienza di sé stessi come progetto,
ma anche esperienza dell'altro da sé. Nella fenomenologia il corpo viene
considerato l'unico veicolo comunicativo del malessere attraverso il linguaggio
dei sintomi: nel caso dei disturbi del comportamento alimentare, il corpo si fa
espressione della frattura tra mente e corpo, tra individuo e mondo relazionale.
Il corpo è ascrivibile a due concezioni:
il determinismo biologico assume una visione naturalistica della corporeità,
– considerando l'organismo biologico il movente delle intenzioni e azioni
umane;
la visione costruttivistica del determinismo sociologico vede invece il corpo
– come un mero prodotto dei meccanismi di definizione e manipolazione
sociale. Esso è quindi una entità controllata, che veicola significati culturali e
relazioni di potere.
Turner definisce la società postmoderna “somatica”, in quanto i maggiori
problemi politici e personali sono espressi attraverso il corpo. Nella
postmodernità il corpo presenta vari caratteri, come l'esposizione alla
manipolazione consumistica (che lo rende veicolo di desideri e consumi) e la
trasformazione dei rituali alimentari, anche grazie all'insorgere di nuove culture.
Goffman analizza invece il frame, ossia la cornice all'interno della quale gli
individui inquadrano l'esperienza della realtà. Scienza e società hanno
determinato la genesi sociale della definizione di malattia mentale, che
discrimina persone portatrici di diversità, stigmatizzate con etichette in cui il
soggetto finisce per identificarsi.
Il paradigma correlazionale considera la salute come il frutto
dell'interconnessione di:
natura esterna (ambiente fisico generatore di risorse),
– sistema sociale (la rete di comunicazioni, valori, linguaggi e norme),
– persona come soggetto (nelle sue dimensioni di ego e social self)
– e natura interna del soggetto (in cui coesistono corpo e mente, ossia entità
– biologica e psico-somatica).
Scomparsa della tristezza e farmacologizzazione nella società
5. bionica
In Italia, negli ultimi anni, il consumo di farmaci antidepressivi è aumentato
considerevolmente, a causa anche del crescere della precarietà lavorativa e di
altre forme di incertezza e dell'allargamento dei criteri su cui vengono costruite
le diagnosi dei disturbi mentali. Il DSM, ossia il manuale diagnostico-statistico
delle malattie mentali curato dall'Associazione Americana di Psichiatria, ha infatti
visto crescere il numero delle sindromi, malattie di cui non si conoscono le
cause, ma solo i sintomi: si parla infatti, ad esempio, di “medicalizzazione della
tristezza”, ossia di una sempre minore tolleranza per imperfezioni, inestetismi e
ansie.
La depressione è la prima causa di disabilità. In Italia ne soffre una persona su
4, con 9 milioni di italiani malati a loro insaputa. La maggior parte delle persone
che accusano i sintomi non va dal medico. L'aumento di disturbi bipolari può
invece essere attribuito al fatto che storicamente tale sindrome è stata spesso
sottodiagnosticata.
Sin dai tempi di Ippocrate, la tristezza dovuta a una causa (depressione
reattiva) si è sempre distinta da quella che apparentemente non è giustificabile
(depressione endogena). Per la diagnosi è quindi fondamentale il collegamento
col contesto di vita di una persona. L'attuale strumentazione diagnostica si basa
sulla presenza di almeno 5 dei 9 sintomi della depressione, manifestati nell'arco
di due