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Gli obiettivi si differenziano per ogni ordine e grado di scuola.
Per quella dell’infanzia e quella primaria, troviamo:
• alfabetizzazione emozionale (conoscitivi),
• sviluppo di comprensione empatica (attitudinali),
• e condotte prosociali (comportamentali).
•
La scuola dell’infanzia si interessa invece a:
• conoscenza del sé corporeo (conoscitivi),
• distinzione e gestione delle emozioni (attitudinali)
• rilassamento e respirazione (comportamentali).
•
Nella scuola primaria ci si concentra sulla socializzazione, attraverso:
• conoscenza ed espressione socialmente adeguata della propria affettività
• (conoscitivi),
sviluppo dell’attenzione per le situazioni comunicative e l’interlocutore,
• espressione dei vissuti e riflessione sui procedimenti risolutivi e sui risvolti
emotivi (attitudinali);
partecipazione, cooperazione e confronto (comportamentali).
•
Nella scuola secondaria di primo grado è invece importante affrontare il
• cambiamento del proprio corpo in rapporto a un pensiero ancora immaturo,
nonché la necessità di superare forme infantili simbiotiche di amicizia (spesso
compensatorie delle difficoltà nel rapporto con sé stessi), attraverso:
capacità di riconoscere il proprio stato emotivo e tradurlo (conoscitivi),
• comprensione degli stati emotivi altrui (attitudinali),
• utilizzo di un approccio del tipo “soluzione del problema”
• (comportamentali).
Nella scuola secondaria di secondo grado, infine, occorre
• sviluppare le basi per un dialogo maturo (obiettivi conoscitivi),
• mettersi al posto dell’altro (obiettivi attitudinali)
• attivare processi di aiuto e condotte prosociali (obiettivi comportamentali).
•
L’accumulo di rabbia e rancore impossibile da sfogare sui genitori si riversa
spesso a scuola su chi ha avuto di più a livello affettivo. Nella cultura
dell’indifferenza in cui viviamo tuttavia l’unico obiettivo sembra essere quello di
lottare freneticamente per ottenere una posizione privilegiata nella società,
giustificandosi dietro i meccanismi della moratoria psicosociale (“se l’è meritato”).
Le famiglie stesse lavorano sempre di più per sostenere materialmente i figli,
tralasciando la componente affettiva.
Occorre quindi rieducare l’allievo in un contesto diverso da quello della solitudine
e dei codici comportamentali errati, per ripristinare la capacità di ascolto e
comunicazione.
6. Educazione alla comunicazione
L’educazione ai media
1.
L’educazione ai media, o media education, si pone l’obiettivo di promuovere lo
sviluppo della dimensione critica, della negoziazione di nuovi significati,
dell’alfabetizzazione ai nuovi linguaggi, della consapevolezza della parzialità delle
rappresentazioni mediali, con l’obiettivo di concretizzare la partecipazione sociale
di tutti e la convivenza democratica.
Esiste tuttavia una distinzione tra “educazione ai media” e “educazione attraverso
i media”, che corrisponde all’utilizzo dei media per l’insegnamento. Attraverso lo
studio dell’uso (anche creativo), della valutazione e delle implicazioni dei media si
può aiutare ogni individuo a interpretare e giudicare consapevolmente sia in
qualità di consumatori che di produttori dei media, anche grazie all’utilizzo della
semiotica per l’analisi dei testi.
La “alfabetizzazione” consiste quindi nella comprensione dei media, attraverso
l’assimilazione di alcuni concetti.
I testi dei media sono scientificamente confezionati per rispondere a interessi
• di vario genere. Occorre quindi analizzare la tecnologia utilizzata, la
responsabilità (ovvero chi sono i realizzatori), la proprietà (le aziende che ne
ricavano profitto), i collegamenti (tra media, aziende e mercato), la
regolamentazione (di chi controlla la produzione e la distribuzione); la
circolazione attraverso cui i testi dei media raggiungono il loro pubblico;
l’accesso e la partecipazione, ossia le voci a cui danno spazio.
Il linguaggio utilizzato dai media viene studiato per analizzare: le convenzioni
• (ossia come esso diviene familiare e condiviso), i codici (come vengono
stabilite le regole grammaticali dei media), i generi (ovvero come operano i
diversi testi dei media), le scelte (ovvero gli effetti della forma del linguaggio
utilizzata), le combinazioni (ossia come viene comunicato un significato) e la
tecnologia (cioè in che modo incide sui significati creati).
Il principio fondamentale della media education è la rappresentazione, in
• quanto ciò che vediamo è una versione mediata del mondo, frutto di selezione
e montaggio attraverso cui i fatti diventano storie e vengono creati veri e
propri personaggi. Elementi importanti sono quindi: il realismo, l’autenticità
dei media, la presenza o assenza dei contenuti (inclusi o esclusi), la parzialità
o obiettività (ossia considerare quale visione del mondo è sostenuta dai
media), gli stereotipi (ossia il modo in cui i media rappresentano particolari
gruppi sociali), le interpretazioni e le influenze sulla nostra visione del mondo.
Ultimo concetto alla base dell’alfabetizzazione è il pubblico. Studiare l’audience
• significa analizzare il target (cioè il pubblico che ci si pone come obiettivo),
l’indirizzo (come i media si rivolgono al pubblico a seconda della
considerazione che hanno di esso), la circolazione (come i media raggiungono
il pubblico e come il pubblico conosce la loro proposta), la fruizione (cioè
abitudini e modalità di utilizzo), l’interpretazione (in che modo il pubblico
interpreta i media), il gradimento e le differenze sociali (cioè il ruolo di genere,
classe sociale, età e appartenenza etnica).
2. Problematiche emergenti
La costante esposizione ai media è oggetto di un dibattito acceso, relativo
soprattutto alla capacità delle tecnologie di influire sulle esperienze e le capacità
di bambini e adolescenti:
i detrattori insistono sui disturbi dell’attenzione e del comportamento, nonché
• sulla riduzione delle capacità critiche e la dipendenza dalle applicazioni delle
tecnologie. Sequestrando i bisogni emotivi e cognitivi delle persone, l’offerta
mediatica avrebbe impedito ai giovani di mettere in scena i loro conflitti
individualistici, attraverso idoli che li persuadono verso il consolidamento del
loro ruolo di consumatore.
I sostenitori, al contrario, affermano che le nuove generazioni sono più
• intelligenti e quindi in grado di produrre significati, negoziare valori e rendere
il mondo dotato di senso grazie ad esse.
Molti periodici, tuttavia, hanno da anni inserito notizie per stimolare la curiosità e
far circolare così messaggi pubblicitari: hanno, in pratica, acquisito audience per
venderla ai pubblicitari.
I media sono in grado di creare una nuova generazione elettronica sempre meno
seguita dai genitori, che, per compensare, soddisfa le esigenze dei propri figli
acquistando supporti tecnologici (anche a causa della pubblicità che preesiste su
una dubbia affinità dei bambini con le tecnologie). La maggiore facilità di accesso
ai media espone i giovani a materiali finora accessibili solo agli adulti, causando
un crescente senso di instabilità e insicurezza, anticipandone la pubertà e
stimolando in eccesso alcune zone cerebrali. Winn parla infatti di
“lobotomizzazione relazionale”, poiché sostiene che i bambini molto esposti alla
televisione usino meno l’immaginazione, strumento fondamentale per la
formazione della personalità e l’interazione corretta con la società. Da non
sottovalutare è inoltre l’esposizione continua a immagini di corpi durante la
trasformazione del proprio, così come la fruizione superficiale di storie nella
fiction audiovisiva, che rinforza stereotipi e semplifica interpretazioni che
impediscono domande profonde e visioni più vicine alla realtà.
Se nel passato l’industria dell’intrattenimento veniva criticata perché fautrice di
personalità sovradimensionate incompatibili col mondo reale, oggi si propongono
personaggi sottodimensionati e superficiali, dotati di qualità legate all’apparire.
Infine, oltre a casi personali sottoposti al giudizio del pubblico, molti programmi
sono progettati per impiegare le inquietudini dei giovani a fini di mercato.
L’aggressività osservata desensibilizza nei confronti della violenza, poiché
l’esposizione prolungata a uno stimolo produce la diminuzione dell’eccitazione e
della paura, che sono invece funzionali alla messa in atto di comportamenti
difensivi o riparatori.
Sono state quindi introdotte delle etichette per consentire di riconoscere se il
programma è adeguato o meno ai minori, sebbene difficilmente la violenza nei
media trovi riscontro nei ben più gravi avvenimenti reali. Anderson e Meyer
affermano che le conseguenze comportamentali dipendono dalla qualità dello
stimolo (quindi dalla tipologia di violenza) e dalle caratteristiche (e quindi dalla
storia personale) dello spettatore, ma anche dal contesto. Gli effetti della
violenza nei media sono, quindi:
l’effetto mimetico, ossia la tendenza a sviluppare nel tempo attitudini
• comportamentali favorevoli all’uso della violenza;
la desensibilizzazione, ossia la predisposizione a tollerare l’aumento di
• violenza;
la sovrastima del tasso di violenza reale nella società.
•
Condry sostiene inoltre che la correttezza o scorrettezza di un comportamento
dipenda dal personaggio che lo compie. Infine, la violenza può anche essere
presente nelle modalità con cui viene proposto il contenuto (ad esempio
mancando di rispetto alla privacy, ricercando scoop, compiacendosi per il dolore o
usando immagini drammatiche in maniera irresponsabile).
3. Media e scuola
Bambini e adolescenti vengono continuamente influenzati dai media nella vita
intellettuale, affettiva e sociale, poiché da essi attingono elementi importanti per
costruire la propria identità e i modelli di comportamento, rappresentazione del
mondo e decodifica del linguaggio. Gli insegnanti devono quindi essere in grado
di stare al passo con le esperienze dei ragazzi come fruitori e creatori di media,
non soltanto per trasmettere expertise techniques (come l’utilizzo della posta
elettronica o la costruzione di una pagina web), ma anche supportandoli nello
sviluppo della comprensione critica e informata e della capacità di filtrare e
decodificare quanto proposto dai media. Pur r