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Capitolo 2 – Depressione e grandiosità: due forme della negazione
- Destini e bisogni infantili
Nel volto della madre il bambino non trova sé stesso, ma le esigenze della madre,
restando quindi privo di specchi.
Affinché una donna possa dare al proprio bambino ciò di cui egli ha bisogno per il
resto della vita, è indispensabile che non venga separata dal proprio neonato,
poiché la produzione ormonale che risveglia e nutre il suo istinto materno avviene
grazie all'intimità. Il legame tra madre e neonato consiste infatti principalmente
in un contatto di pelle e sguardo, che fornisce a entrambi il sentimento di appar-
tenenza reciproca: il bambino prova quindi un senso di protezione e sicurezza in-
dispensabili perché egli possa aver fiducia nella madre, aiutandola quindi a com-
prendere i segnali del suo bambino e a rispondervi. Anche madri non particolar-
mente amorevoli possono favorire lo sviluppo del bambino, semplicemente non
ostacolandolo, ma consentendogli di assumere da altre persone ciò che manca
alla madre grazie alla sua capacità di servirsi del nutrimento affettivo proveniente
dagli stimoli offerti dall'ambiente.
Cercando di soddisfare i propri bisogni personali servendosi del bambino, invece,
la madre può garantirsi comunque un forte legame affettivo, privo tuttavia di affi-
dabilità, continuità e costanza. Il bambino sviluppa gli atteggiamenti di cui la ma-
dre ha bisogno e che gli salvano la vita. Le madri molto insicure (e/o vittime di
depressione) sono infatti portate a considerare il proprio figlio (soprattutto il pri-
mogenito) come una loro proprietà, in cui ritrovare ciò che a suo tempo non
aveva ricevuto dalla propria madre. Il bambino è infatti controllabile e utilizzabile
come un'eco, poiché è concentrato e attento totalmente su di lei, che può sentirsi
così ammirata ma, allo stesso tempo, laddove il figlio pretenda troppo (come un
tempo aveva fatto sua madre), lei non si lascia più tiranneggiare, ma ottiene ri-
spetto inducendolo a preoccuparsi finalmente per lei.
- L’illusione d’amore
In una grandiosità manifesta è costantemente in agguato la depressione, così
come dietro lo stato d'animo depressivo si nascondono supposizioni relative alla
nostra tragica storia da cui ci difendiamo. La grandiosità è quindi la difesa tipica
contro il dolore per la perdita di noi stessi derivante dal rinnegamento della
realtà.
L'individuo grandioso viene ammirato ovunque e ha bisogno di compiere in modo
eccellente tutto quello che fa; se non si sente in grado di fare qualcosa, non inco-
mincia affatto. Ci si libera tuttavia dalla depressione solo quando l'autostima si
radica nell'autenticità dei propri sentimenti, e non nel possesso di determinate
qualità. Tali individui non hanno quindi potuto sviluppare un elemento proprio che
in seguito avrebbe potuto rappresentare un valido appiglio. Dietro l'orgoglio per il
bambino si cela infatti la vergogna generata dalla delusione delle aspettative: da
ciò nasce la tragica illusione secondo cui l'ammirazione equivarrebbe all'amore,
quando in realtà essa si fonda su qualità, funzioni e prestazioni che all'improvviso
possono scomparire.
A volte la depressione compare con il crollo della grandiosità, ossia con il lento
esaurirsi della fonte di successi esterni. Tale alternanza tra grandiosità e depres-
sione mostra la loro affinità: qualora il successo sia funzionale alla negazione
della frustrazione, esso genera solo un sollievo momentaneo, ma i riconoscimenti
non possono colmare le vecchie lacune.
Qualcuno, mediante continue prestazioni eccellenti, può mantenere l'illusione di
una costante dedizione dei genitori, scongiurando l'incombente depressione con
prestazioni sempre più sfavillanti. L'autostima si radica quindi per loro nella possi-
bilità di realizzare il falso Sé, nel perfezionismo, nella negazione di sentimenti di-
sprezzati, nelle relazioni di sfruttamento, in aggressività e vulnerabilità nonché
sensi di colpa e vergogna.
La depressione può quindi essere intesa come un segnale diretto della perdita del
Sé, che consiste nel negare le proprie reazioni emotive e sensazioni. Non pos-
siamo tuttavia amare realmente finché ci è proibito scorgere la nostra verità:
possiamo solo agire come se provassimo amore, assumendo un atteggiamento
ipocrita che è in realtà l'esatto contrario dell'amore. Se per ottenere l'amore della
madre il bambino è stato costretto a non mettere mai in discussione il suo com-
portamento o mostrare quanto sentisse la sua mancanza per non limitare la li-
bertà di cui lei aveva bisogno, egli impara a non lamentarsi.
Quanto più una madre desidera un figlio perfetto, tanto più profonda è la vora-
gine nel suo cuore. Sebbene le donne siano dotate di un istinto che le rende in
grado di amare i propri figli, spesso tali doti vengono meno in seguito allo sfrutta-
mento per soddisfare le esigenze dei genitori: aprendoci totalmente alla verità
possiamo tuttavia riacquistare queste capacità.
- Fasi depressive durante la terapia
Un individuo grandioso intraprende una terapia solo se indotto dall'umore depres-
sivo, ossia quando la difesa nella grandiosità non è più sufficiente.
Molti individui che hanno subito ferite profonde e tramite le sedute riescono ad
accostarsi al loro intimo, tendono a intraprendere una nuova iniziativa che li farà
sentire di nuovo soli e sotto stress, spingendoli a lamentarsi già dopo qualche
giorno per il senso di vuoto ed autoestraniamento. Tale modo di reagire ha ori-
gine nel bambino richiamato all'ordine e sollecitato a mettersi finalmente a fare
qualcosa, che reagiva con uno stato d'animo depressivo poiché le normali rea-
zioni non erano consentite. Se al contrario l'adulto si prende il tempo di recepire
e rielaborare gli avvertimenti, si chiarisce il bisogno rimosso di restare fedeli a sé
stessi: nel momento in cui la sua funzione di difesa non è più necessaria, la de-
pressione è costretta a regredire.
E' come se la depressione trattenesse le emozioni, che, una volta vissute, ci
fanno sentire di nuovo vitali.
- La prigione interiore
L'umore depresso può esprimersi anche attraverso disturbi psicosomatici, quando
si reprime un impulso autentico o un sentimento intenso. Se da un lato il bam-
bino non è ancora in grado di smascherare il meccanismo della negazione del Sé,
dall'altro è realmente minacciato dall'intensità dei suoi sentimenti, non potendo
contare su ambiente empatico e contenente. L'adulto stesso può aver paura dei
propri sentimenti, finché non diviene consapevole dei motivi che generano il suo
timore. I tormenti dell'adolescenza e l'incapacità di comprendere e disciplinare i
propri impulsi viene conservato nella memoria meglio dei primi traumi, che tro-
vano invece riparo dietro l'immagine di un'infanzia idilliaca o una totale amnesia.
Col passare del tempo il nostro atteggiamento nei confronti dei sentimenti indesi-
derati (e soprattutto di fronte al dolore) cambia radicalmente, dal momento che
non è più obbligatorio seguire il vecchio schema delusione-repressione del do-
lore-depressione, ma si ha ora la possibilità di vivere quel dolore.
Il paziente si mostra infatti inizialmente pronto a rinunciare al piacere della sco-
perta e dell'espressione di sé per adeguarsi alle teorie del suo terapeuta, te-
mendo di alienarsene la dedizione, la comprensione e l'empatia. In base alle sue
esperienze con i genitori, non riesce a credere che le cose possano anche andare
diversamente: avendo sacrificato la sua infanzia per ottenere quello che credeva
fosse amore, è necessario per lui ora liberarsi dalla depressione e sentirsi così li-
bero di riuscire a vivere i sentimenti che affiorano spontaneamente.
Dopo aver compreso chiaramente chi e che cosa ci hanno fatto diventare quello
che siamo, l'ipersensibilità, il senso di vergogna e gli autorimproveri diventano
meno realistici, appaiono meno giustificati, mostrando di essere soltanto reazioni
a situazioni ignorate. Perfino le idee di suicidio appaiono più chiare, in quanto do-
vute alla volontà di liberarsi da una vita estranea indesiderata, di cui disfarsi facil-
mente.
- Un aspetto sociale della depressione
Durante l'adolescenza, certi ragazzi scelgono nuovi valori contrapposti a quelli dei
genitori, ma se tale ricerca non è radicata nella percezione dei propri autentici bi-
sogni e sentimenti, ci si adatterà semplicemente ai nuovi ideali così come prima
ci si era adattati ai genitori, rinnegando nuovamente il proprio Sé per ottenere ri-
conoscimento e amore in virtù dell'adattamento. Occorre quindi ammettere che
nel proprio passato non c'era amore, e che nessuna appartenenza potrà mutare
tale condizione.
- La leggenda di Narciso
Non sono quindi solo i sentimenti buoni e piacevoli a farci sentire vivi e conferire
profondità alla nostra esistenza, ma sono proprio quelli scomodi non adattati ad
assicurarci intuizioni decisive. Narciso, ad esempio, è innamorato della sua imma-
gine ideale, ma né il Narciso grandioso né quello depresso sono capaci di amarsi
veramente, in quanto l'entusiasmo per il suo falso Sé impedisce non solo l'amore
per l'altro ma anche per l'unico individuo a lui familiare, cioè sé stesso.
Capitolo 3 – Il circolo vizioso del disprezzo
- La mortificazione del bambino, il disprezzo della debolezza e le loro conse-
guenze: esempi tratti dalla vita quotidiana
Il disprezzo per il più piccolo costituisce la migliore protezione contro l'emergere
di sentimenti di impotenza; al contrario, il forte che conosce la propria debolezza
perché l'ha vissuta non ha bisogno di esibire la propria forza col disprezzo. L'a-
dulto che non ha avuto la possibilità di vivere coscientemente nella propria infan-
zia i sentimenti di impotenza, gelosia e abbandono, ne fa esperienza solo nel pro-
prio figlio, sbarazzandosi delle sofferenze non vissute delegandole a lui. Ciò che
mortifica il bambino non è tanto la frustrazione pulsionale, quanto il disprezzo per
la sua persona. L'unico modo per liberarci dai modelli che abbiamo appreso in te-
nera età dai nostri genitori quando permetteremo a noi stessi di percepire quanto
essi ci abbiano fatto soffrire.
L'uomo adulto idealizzerà poi sua madre, essendo incapace di accettare l'idea di
non essere stato veramente amato, ven