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Estratto del documento

L’apice della teoria critica si è avuto nell’era della sovrabbondanza, ovvero con la

diffusione di giornali, riviste e pubblicazioni accademiche, una circolazione di

massa che ha centralizzato, catturato e guidato l’attenzione dei cittadini-lettori a

discutere l’ultimo romanzo o spettacolo teatrale. La circolazione di massa ha

infatti attirato l’attenzione collettiva, rendendo evidente come fino all’arrivo degli

anni 60 il critico guidasse il pubblico nella ricerca di un gusto raffinato e ridefinire

il canone (in senso emancipatorio, non restrittivo).

Nel 2007, in The death of the critic, McDonald racconta di come, fino alla fine

degli anni 60, i critici avevano dovuto sforzarsi di apprendere e propagare il

meglio della conoscenza e del pensiero globali. Le preferenze delle élite erano

condivise e prescritte alle masse come politiche didattiche atte a elevare le

persone comuni e renderle parte integrante della civiltà occidentale. Il critico

determinava quindi l’autenticità degli artefatti culturali, ma in seguito la chiusura

dell’analisi critica letteraria nel mondo accademico si accompagnò al problema dei

critici di individuare tran generali (a causa dell’aumento del traffico di servizi e

prodotti). Per McDonald, infatti, il declino dell’analisi critica iniziò con la

“democratizzazione del gusto” degli anni Settanta, in cui lo studio dell’estetica si

chiude nel mondo accademico diventando “sempre più rivolto all’interno e non-

valutativo”.

Oggi Internet non è più soltanto uno strumento, ma parte integrante dei processi

economici, sociali e culturali. Il critico del futuro deve quindi puntare all’unico

settore in cui la critica è sopravvissuta: l’editoria. Il redattore editoriale, anonimo

e professionale, infatti, riceve, reimpacchetta e distribuisce materiale testuale e

visivo per gli utenti partecipativi globali che procedono poi a inoltrare i contenuti.

La “teoria critica della Rete” dovrebbe quindi analizzare l’alterazione delle

modalità di recensione, anch’essa oggetto di democratizzazione (ad esempio con

Amazon). I consigli per gli acquisti e le nozioni culturali offerte dai consumatori-

conoscitori permettono di comunicare aspetti tecnici del prodotto a un pubblico di

vaste proporzioni. Schreyach sostiene che oggi la critica di opere artistiche può

infatti soltanto fornire un contesto e proporre annotazioni sul valore di mercato,

la popolarità e il significato sociale, data la diffusione di analisi “non autorizzate”

nella blogosfera.

Pool ribadisce, tuttavia, la necessità di commentari imparziali e critici, che non

contaminino l’opinione dell’utente, che non deve in alcun modo confondere

approcci generalisti, letture di esperti e impressioni amatoriali. Gli esperti

continuano, quindi, seppur ritirati nelle università, a portare avanti battaglie

discorsive auto-referenziali, non riuscendo ad avanzare un nuovo tipo di critica in

un’epoca caratterizzata dall’assenza di giudizio. L’idea di analisi critica come

programma ideologico deve quindi lasciare il posto ad un’arte necessaria a creare

stili letterari e un invito a impegnarsi in riflessioni radicali, lontani da commenti,

tweet e chiacchiericcio.

Grazie a una cultura delle recensioni ricca e diversificata, molte ricerche online

diventerebbero inutili, tanto che Paul afferma che le stesse recensioni librarie

vengono spesso considerate come una forma letteraria, ma usate solo in quanto

consigli per gli acquisti o per avere un orientamento culturale. Chi segue le

recensioni ripone infatti fiducia nei critici generalisti, figure autorevoli in quanto

intellettuali pubblici che si oppongono a siti di recensioni e vendite sul web che

propugnano “l’idea democratica per cui ogni lettore ha qualcosa di valido da

offrire”. La cultura della rete deve invece dare spazio a conoscitori capaci di

comunicare questioni tecniche e logiche a un pubblico vasto. Gli editori di oggi

strumentalizzano infatti i recensori come macchine produttrici di frasi fatte e

brevi battute, a scopo promozionale.

Ciò porta a sottovalutare volumi interessanti e a un pubblico che scorre

velocemente le recensioni e dopo averne lette alcune, arriva alla conclusione che

non ci sia più bisogno di comprare o leggere quel libro. Le notizie di attualità

spazzano via le recensioni impegnative, così che per scrittori e lettori diventa una

questione di “padroneggiare internet”, anziché di decidere in modo autonomo.

Sissman propone quindi delle linee guida: non recensire opere di amici e nemici,

opere su temi a cui non si è interessati o su cui non si è informati, e arrischiare

qualche giudizio. Per il cyberspazio le dritte potrebbero quindi essere: non

recensire ciò di cui nessuno parla, di qualcosa non disponibile online, che non è

citabile o discutibile su un forum online.

La cultura della rete vive una relazione produttiva con la tecnologia stessa. Lo

stesso termine rete presenta una forte ambiguità, in quanto parla

contemporaneamente agli ambiti sociale e tecnico. Nel 2004, l’institute of

network cultures ha effettuato una riceda sulle culture che a causa

dell’esposizione alla tecnologia hanno perso l’identità originaria. Il termine

“culture di rete” rappresenta quindi una strategia per analizzare internet

basandosi sulle discipline umanistiche, con l’obiettivo di sviluppare una nuova

alfabetizzazione mediatica, tenendo conto della dimensione geopolitica della

cultura di rete, ovvero della ipercrescita degli utenti internet oltre l’ambito

occidentale.

L’alfabetizzazione digitale è rimasto, infatti, un concetto delle industrie creative e

delle ricerche dei cultural studies, che cercano di difendere l’utilizzo diffuso di

internet sostenendo che i settori didattico e professionale, avendo tanto da

imparare dai media, dovrebbero promuovere gli investimenti pubblici nella

digitalizzazione, revisionare le politiche operative governative e le strutture di

regolamentazione, organizzative e imprenditoriali. L’obiettivo è quindi quello di

legare discipline artistiche e umane alla cultura di internet, per eliminare l’apatia

del mondo accademico, che si sente forzato a tenere il passo con la tecnologia.

Sarà possibile tuttavia andare oltre l’interpretazione delle notizie d’attualità e

imparare a padroneggiare il flusso in tempo reale, solo restando aperti alle

proposte dei “nativi digitali” e ai metodi di ricerca che emergono dalle stesse

tecnologie di rete.

Nell’analisi critica della rete, l’aspetto tecnico deve essere portato in primo piano,

ma senza affermarne la verità positiva o fondare l’indagine su posizioni

filosofiche.

Dall’interpretazione di internet e dei nuovi media è emersa la necessità dei new

media di ritrovare autonomia e risorse per riprendere contatto con la società e

superare il limite delle istituzioni, nonostante i 3 ostacoli rappresentati dal ritardo

della teoria generale, della posizione scomoda nel mondo accademico e dei rapidi

cambiamenti che rendono difficile farne l’oggetto di uno studio.

I media studies devono infatti considerare la sfera digitale come un reparto a sé,

che esige propri apparati lessicali e metodologie. L’idea di formulare una teoria

sta decadendo senza risultati poiché ha perso la capacità di attrarre l’attenzione

collettiva soprattutto sui giovani, mentre gli accademici continuano a sostenere

che tale campo va accostato a quello di design, tv, cinema, ecc.

Al contrario, è necessario abbandonare i media tradizionali, la dialettica tra

vecchio e nuovo e la concorrenza con carta stampata, radio e tv, ma soprattutto

definire la specificità delle piattaforme emergenti, delle modalità di lavoro in rete,

delle pressioni del tempo reale e del mondo in cui la dimensione mobile dei media

viene vissuta. La sopravvivenza dei media studies dipende quindi dalla loro

capacità di inventare nuove forme istituzionali che si allaccino alla cultura

collaborativa e autogestita dalle reti didattiche e di ricerca.

La facoltà digitale manca tuttavia di carriere professionali e programmi di

dottorato su cui poggiare.

Le uniche iniziative accademiche nell’ambito dei new media si sono infatti inserite

a forza in dipartimenti pre-esistenti.

Nel momento in cui invece si riconsidera lo studio dei media come lo studio dei

singoli nuovi media, si ha una svolta quantitativa per ora incompatibile con

università ancora improntate su un concetto vecchio di media.

Wark sostiene l’esistenza di due strategie per dare ai media studies una

collocazione storica: i new media come estensione dei vecchi media e uno studio

che parte dai fenomeni attualmente osservabili come telefoni ed internet.

In quanto successori della home page anni ’90, i blog hanno mischiato privato e

pubblico, trasformando internet in un mezzo di comunicazione di massa in cui i

blogger rappresentano la moltitudine digitale.

I blog sono infatti spazi di informazione personale definiti da Winer come “la voce

non filtrata di una persona”. Curare un blog è un atto coraggioso che implica lo

scrivere con autenticità, pura espressione di un individuo. Dolar associa invece la

voce con l’arte di creare un personaggio.

La letteratura risalente al periodo 2004-2008 si concentra infatti sui blogger noti.

Se un blog fa parte di un social network già attivo diventa un nodo per

l’archiviazione di materiali (ovvero un esempio di “soggettività distribuita”); se

non include elenchi di link si configura allora come un blog con stile riflessivo (e

quindi parte dei pop media). I blog documentano infatti il cambiamento

dell’individuo, fungendo da mezzo di produzione della propria identità.

Scarsa è risultata la passione dei tedeschi per la blogosfera.

Gussner ha infatti identificato la sfiducia nel dibattito pubblico come l’unica

spiegazione plausibile alla scarsità dei blogger. Esporre le proprie opinioni può

avere conseguenze imprevedibili, in quanto la legislazione tedesca impone ad

ogni blog la presenza di un “impressum” in cui chi scrive fornisce le proprie

generalità in qualità di editore responsabile, perseguibile per eventuali offese a

terzi. Ecco perché i tedeschi si sentono più sicuri nei gruppi e preferiscono i forum

online.

Deluze parla infatti di tedeschi in modalità “preferisco di no”.

L’ambito della ricerca sulle culture di rete e i new media è quindi ridotto, poiché

Internet non riesce a integrarsi in una cultura ossessionata da norme e

regolamentazioni.

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
12 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/08 Sociologia dei processi culturali e comunicativi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher GiovannaUrb di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia dei new media e internet studies e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi "Carlo Bo" di Urbino o del prof Boccia Artieri Giovanni.