Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Un esito che ha ricevuto scarsa attenzione è l’improvviso, forte declino della proporzione di
investimenti diretti esteri (IDE) che vanno all’industria di massa, un settore che può generare buoni
posti di lavoro e favorire la crescita di una classe media. 24
Questo declino si è verificato mentre diversi paesi del sud globale iniziavano a vedere una crescita
significativa dell’industria di massa.
Se consideriamo per esempio l’Africa, i dati mostrano un brusco calo degli investimenti diretti esteri
nell’industria. In Nigeria, dove l’investimento estero nel settore petrolifero è da tempo massiccio, la
quota del settore primario sul totale degli investimenti diretti esteri è salito al 75% nel 2005, dal 43
% del 1990. Altri paesi africani hanno fatto registrare mutamenti analoghi.
Anche in Madagascar, uno dei paesi (per lo più piccoli) in cui l’afflusso di investimenti diretti esteri
nel settore manifatturiero ha iniziato a crescere soltanto negli anni 90, queste incremento è stato ben
al di sotto di quello degli investimenti diretti esteri nel settore primario.
È provato che questo spostamento dell’investimento dall’industria alle miniere, al petrolio e alla terra
non favorisce di certo lo sviluppo delle economie nazionali.
L’attuale fase di acquisizioni di terre ostacola gli investimenti nell’industria: Braun e Meinzen-Dick
definiscono il campo dei compratori e le localizzazioni delle acquisizioni, di cui l’Africa è il
principale destinatario.
Gli investitori sauditi stanno spendendo 100mln di dollari per coltivare frumento, orzo e riso su terre
affittate loro dal governo etiope; la Cina si è assicurata il diritto di coltivare palme da olio per
biocarburanti su 2,8mln di ettari in Congo, realizzando la piantagione di palme da olio più grande del
mondo.
Sei mete per l’acquisizione di terre
4.
Analizzando 180 grandi acquisizioni di terre in Africa, Friis e Reenberg individuano i principali tipi
di investitori che operano attualmente:
- I ricchi Stati petroliferi del Golfo, cioè Arabia Saudita, Emirati Arabiti Uniti, Qatar,, la
Giordania;
- I paesi asiatici popolosi e ricchi di capitale, come la Cina, la Corea del sud, il Giappone e
l’India;
L’Europa e gli Stati Uniti;
-
- Imprese private di tutto il mondo.
Gli investitori sono soprattutto imprese del settore energetico, società di investimento agricolo,
società di servizi, società di finanziamento e investimento e imprese tecnologiche.
Usando i dati di Friis e Reenberg, la Sassen ha costruito le immagini di questa geografia
concentrandosi sui 6 principali venditori di terre africane e i rispettivi investitori: Etiopia,
Madagascar, Sudan, Tanzania, Mali e Mozambico, tutti paesi subsahariani e, con l’eccezione del
orientale.
Mali, ubicati nell’Africa
In questi paesi sia gli investitori privati sia le agenzie governative hanno acquisito terre. In 5 di questi
sei grandi venditori di terre, nessun investitore fa la parte del leone. Fa eccezione il Mozambico, dove
AgriSA (l’associazione di agricoltori sudafricani, è di gran lunga il maggior compratore).
Senonchè, quando misuriamo le acquisizioni a seconda dell’origine nazionale, a ciascun “paese
venditore” corrisponde un “paese compratore” dominante in termini di dimensioni delle acquisizioni:
l’India in Etiopia, la Corea del su in Madagascar, l’Arabia Saudita in Sudan e la Cina nel Mali.
Vi sono alcuni casi di acquisizioni incrociate, fra i quali figurano gli acquisti di terra in Tanzania e
Mozambico, le acquisizioni della Cina in Mozambico e Mali, quelle del Qatar in Madagascar e in
Sudan e quelle degli Emirati Arabi Uniti.
Gli investitori in questi 6 paesi provengono da 47 diverse nazioni: tra gli Stati con gli investitori più
diversi quanto a paese d’origine vi sono il Madagascar e l’Etiopia; quasi il 20% degli investitori nei
sei paesi africani grandi venditori di terra ha origini asiatiche (Cina, Corea del sud, India e Giappone).
I paesi mediorientali (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Giordania, Qatar, Libano e Israele)
25
rappresentano il 22% circa degli investitori; i paesi europei (Regno Unito, Svezia, Paesi Bassi,
Germania, Italia, Danimarca, Francia), il 30% circa; i paesi africani (SudAfrica, Mauritius, Libia e
Gibuti), il 10% circa. I restanti investitori provengono da Australia, Brasile e Stati Uniti.
Due paesi incidono in misura significativa sul totale degli investimenti eseguiti nei 6 paesi in
questione: Stati Uniti, Regno Unito e Arabia Saudita. Ciascuno di essi ha investimenti in 4 nazioni.
È degno di nota che in certi paesi siano le imprese private a prevalere fra i compratori, in altri siano
invece gli Stati.
5. La produzione di palme da biocarburanti: i fatti
L’olio di palma, trattato allo stato grezzo nei mercati internazionali di merci e di future, è un
di gran numero di prodotti, fra cui mangime per bestiame, prodotti dell’industria
componente
alimentare, oli da cucina, cosmetici, lubrificanti e carburanti. Si stima che nel 2020 il consumo di tutti
gli oli vegetali salirà del 25%, con l’olio di palma sempre al primo posto.
Allo stato grezzo l’olio di palma è fragile: quello contenuto nei frutti di palma appena raccolti inizia
a decadere giù nelle prime 48 ore, e i produttori devono poter accedere ai siti di lavorazione. La
quantità che massimizza l’efficienza degli stabilimenti che estraggono e stabilizzano l’olio di palma
è quella prodotta da 4mila-5mila ettari di piantagioni.
I sistemi di trasporto, le infrastrutture e le economie di scala necessarie per una redditizia produzione
di olio di palma fanno sì che la domanda crescente venga soddisfatta per mezzo della monocultura
della palma, solitamente praticata in vaste piantagioni o esercitata da raggruppamenti di piccoli
agricoltori sostenuti dallo Stato.
L’80% dell’olio di palma commerciale è prodotto in Malaysia e in Indonesia: data la scarsità di terra
arabile in Malaysia, i produttori si stanno orientando nel localizzarre le nuove piantagioni in
Indonesia, dove i conglomerati malaysiani detengono le quote di maggioranza in circa 2/3 di tutte le
iniziative di produzione di olio di palma.
Il diritto agrario indonesiano è nebuloso, poco chiaro: il diritto consuetudinario (adat) integrato nel
diritto coloniale olandese, resta una parte importante, seppure contestata, del sistema giuridico
varia da un gruppo etnico indonesiano all’altro, molte popolazioni
indonesiano. Poiché l’adat
indigene possiedono la terra in virtù del “possesso comune” o del “diritto consuetudinario all’uso
delle foreste”.
Secondo la Legge agraria fondamentale del 1960, lo Stato ritiene validi i diritti adat soltanto nei casi
in cui “la terra è posseduta da una comunità adat riconosciuta ufficialmente, i confini sono definiti e
convenuti e la comunità è riconosciuta e funziona in quanto tale secondo i principi giuridici adat”.
I problemi connessi al regime giuridico della terra sono trascurati anche dal quadro normativo che
dovrebbe servire a dirimere le controversie create dalla sovrapposizione di diritti e concessioni sulla
terra, come nel caso dei conflitti fra l’uso agricolo dei suoi e la pretesa di utilizzarli per attività
estrattive. Inoltre, il sistema indonesiano di registrazione catastale della terra è insufficiente; 2/3di
tutte le terre di competenza dell’amministrazione forestale del paese non sono regolati da alcun titolo.
queste ambiguità e discrepanze, i gruppi d’interesse costituiti hanno buon gioco contro i
Sfruttando
diritti delle comunità.
Il conflitto per la terra è esploso apertamente nella provincia indonesiana di Riau, nell’isola di
Sumatra: la popolazione locale si oppone dagli anni 80 alla diffusione delle piantagioni di palma da
olio; repressa dalla dittatura, l’opposizione è riesplosa e si è propagata come un violento incendio
dopo il cambiamento di regime del 1998.
A norma della Legge agraria fondamentale del 1960, le comunità possono essere costrette ad
abbandonare la terra, il che avviene in aree ove i gruppi locali ne mantengono il tradizionale possesso
collettivo ma producono merci il cui consumo non si conforma ai tradizionali modi di vita indigeni.
26
Un caso che illustra alcune annose tensioni e la lentezza con cui lo Stato riconosce i diritti dei piccoli
proprietari è: nel 1998 PT Mazuma Agro Indonesia (MAI) si è impadronita di quasi 6mila ettari di
terra nel villaggio di Rokan Hulu, Riau, senza il consenso dei capi della comunità locale, e ha iniziato
a espellerne illegalmente i contadini e le loro famiglie. Le azioni giudiziali intraprese sono riuscite a
prevenire ulteriori sviluppi fino al 2012. A febbraio MAI ha iniziato a sfruttare la terra nonostante la
causa fosse ancora pendente dinanzi al tribunale.
Nel pomeriggio del 2 febbraio 2101, un centinaio di abitanti del villaggio locale ha cercato di impedire
ai bulldozer e alle escavatrici di sradicare le piante coltivate sulla loro terra; gli ufficiali della polizia
regionale di Sumatra settentrionale hanno aperto il fuoco contro i contestatori, ferendone 5.
Come risposta a questi abusi perpetrati dalle imprese, a maggio 2013, il tribunale indonesiano
competente ha trasferito mln di ettari di foresta dal sistema di controllo governativo a quello delle
comunità locali, quantomeno nominalmente. Tuttavia, la forza di questi nuovi diritti sulla terra
continua a dipendere da registrazioni e agenzie statali che in passato si sono rivelate inefficaci.
Resta da stabilire se la popolazione indigena in Indonesia potrà servirsi della propria terra per produrre
raccolti commerciali destinati all’economia globale senza sacrificare i propri diritti alla proprietà
comune.
6. Conclusione
Questi sono elementi di una storia più generale nel suo corso, che comprende il riposizionamento di
aree crescenti dell’Africa, dell’America Latina e dell’Asia in un’economia globale massicciamente
ristrutturata. Governi indeboliti che si comportano come borghesia “compradora” e la distruzione di
economie di piccoli agricoltori, due fenomeni che vanno espandendosi in zone sempre più vaste del
pianeta, costringono un n° crescente di essere umani ad impegnarsi in una nuova fase della lotta per
la sopravvivenza.
Le 2 tendenze empiriche che contano per la tesi generale esposta in questo capitolo sono: la brusca
crescita delle acquisizioni di terre straniere dopo il 2006, un anno in cui la crisi bancaria stava già
maturando; e la rapida diversificazione internazionale dei compratori.
Qui, ciò che conta per la tesi della Sassen è il fatto che questa brusca crescita delle proprietà estere
stia