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Il forte aumento nell’impiego di servizi alle imprese ha trovato altresì
alimento nella dispersione territoriale delle imprese con più unità,
collocate a vari livelli: regionale, nazionale o globale.
Nonostante le imprese di molti settori economici tendono ad
abbandonare le grandi aree metropolitane, due delle maggiori
componenti dei servizi alle imprese: l’industria high tech e i servizi
finanziari, continuano a concentrarsi nelle grandi città, la profonda
deregolamentazione ha favorito il consolidamento delle imprese e
l’espansione del mercato.
Sebbene le direzioni generali siano ancora prevalentemente
concentrate nelle principali città, i modelli che s manifestano oggi,
presentano dei cambiamenti rispetto a quelli di 20 anni fa.
La crisi finanziaria degli anni 80” rappresenta una genuina crisi di un
sistema economica e si ravvisa un riaggiustamento a livelli di
speculazione e redditività più sostenibile.
La crisi del 1997-1998 ha avuto su New York e su Londra un impatto
inferiore a quello seguito alla crisi del 1987. New York rimase la capitale
bancaria e finanziaria del paese.
Il caso di Miami, Toronto e Sidney, viene spiegato nelle altre fotocopie.
Le funzioni finanziarie si caratterizzano sin dalle origini per l’alto grado
di concentrazione.
Si estrinsecavano spesso in contesti imperiali, come quello britannico o
olandese o semimperiali come quello configurato dallo smisurato
potere economico e militare degli stati uniti nel mondo degli ultimi 50
anni.
Gli sviluppi che ebbero inizio negli anni 80” rappresentarono una netta
deviazione dal modello di sistema finanziario nazionale piuttosto chiuso
e protetto, incentrato sulla produzione e sul consumo di massa.
In questi anni, si verificò in tutto il mondo una forte crescita delle
dimensioni assolute delle attività finanziarie.
Verso la fine degli anni 90” cinque città: New York, Londra, Tokio,
Parigi e Francoforte assorbono una quota sproporzionata di tutte le
operazioni finanziarie. Forti tendenza alla concentrazione sono
avvertibili anche nella capitalizzazione dei mercati azionari e in quelli
dei cambi.
Il livello di concentrazione è rimasto invariato in una fase in cui la
mobilità dei servizi finanziari è più elevata che mai: la globalizzazione, la
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deregolamentazione( che di quella è un ingrediente fondamentale) e la
cartolizzazione sono state i fattori determinanti di questa mobilità, che
è cresciuta nel contesto di enormi progressi delle telecomunicazioni e
di reti elettroniche.
La globalizzazione dell’industria finanziaria ha accresciuto il grado di
complessità delle transazioni e la deregolamentazione, ha stimolato
l’invenzione di molti strumenti nuovi e sempre più speculativi. Questi
mutamenti hanno contribuito ad accrescere il potere dei principali
centri finanziari, in quanto questi ultimi vengono ad essere gli unici in
grado di produrre innovazioni autorevoli e di gestire i livelli di
complessità del sistema finanziario odierno.
Attualmente Londra e New York sono i principali esportatori di servizi
finanziari e intervengono di norma in ogni grande emissione pubblica
internazionale.
Anche se le reti elettroniche cresceranno in termini di numero e
potenza, non elimineranno la necessità di avere centri finanziari.
Il trading elettronico non eliminerà l’esigenza di disporre di centri
finanziari.
Nell’era digitale più concentrazione che dispersione
New York concentra tutte le principale banche di investimento e
Chicago è il solo importante centro finanziario internazionale
alternativo.
Stiamo assistendo sia ad un consolidamento in pochi grandi centri a
livello nazionale e internazionale sia ad una forte crescita del numero
dei centri che entrano nella rete globale via via che i paesi liberalizzano
le loro economie.
Tanto la globalizzazione che le contrattazioni elettroniche implicano
un’espansione e una dispersione che vanno bel al di là di quello che era
stato il circoscritto dominio delle economie nazionali e delle
contrattazioni di borsa tradizionali.
Vi sono almeno tre ragioni che spiegano la tendenze al consolidamento
in pochi centri finanziari, anziché ad una massiccia dispersione.
1) Connettività sociale: i centri finanziari forniscono la connettività
sociale che consente ad un’impresa o ad un mercato di
massimizzare i vantaggi della sua connettività tecnologica e di
gestire , le accresciute pressioni che la rapidità dei processi impone
alle imprese finanziarie
2) Necessità di enormi risorse , per gestire operazioni sempre più
globali congiuntamente alla crescita delle funzioni centrali produce
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forti tendenze alla concentrazione fra i centri principali e alla
gerarchizzazione della rete globale in via di espansione dei centri
finanziari.
3) Denazionalizzazione dell’elite imprenditoriale: deregolamentazione
e privatizzazione hanno ulteriormente indebolito la necessità di
disporre di centri finanziari Nazionali. Il processo di
denazionalizzazione in atto ha una connotazione funzionale e
pratica. I grandi centri finanziari internazionali producono, una
nuova subcultura. La tesi di Sassen: è che le grandi metropoli
contribuiscono a denazionalizzare l’elite imprenditoriale.
Sassen afferma: che stiamo assistendo alla formazione di un centro
transterritoriale dovuto alla presenza di autostrade digitali e di vari
tipi di transazioni economiche, e che si può immaginare che la rete
transnazionale delle città globali costituisca un tale terreno
transteritoriale di centralità rispetto ad un complesso specifico di
industrie e attività.
Alcune ricerche evidenziano bruschi aumenti delle disuguaglianze di
natura spaziale e socioeconomica all’interno delle principali città
del mondo sviluppato.
Questo aumento del grado di disuguaglianza, può essere visto come
un processo di ristrutturazione sociale ed economica che vede
emergere nuove forme sociali
1) La crescita di un economia informale nelle grandi città dei paesi
più sviluppati
2) La nobilitazione delle zone commerciali e residenziali ad alto
reddito
3) Il forte aumento, nei paesi ricchi, di un tipo nuovo di
popolazione senza casa.
I mercati del lavoro delle maggiori città si caratterizzano per due
tratti salienti: la fluidità e l’apertura, che influenzano i tipi di
attività che vi prosperano; inoltre tali mercati interni e contigui
alle città siano strutturati per fasce di lavori contraddistinti da
particolari combinazioni di remunerazione, sicurezza e
condizioni di accesso.
Rispetto agli anni 60” e 70” oggi le principali città statunitensi
tendono ad avere proporzioni maggiori di immigrati e di
professionisti molto qualificati ad alto reddito.
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Il declino del settore manifatturiero investe in parte le stesse
industrie caratterizzate da un’organizzazione a livello di
impianto e da lavori ragionevolmente remunerati, ma vi
introduce forme differenti di produzione e organizzazione del
processo lavorativo, quali il lavoro a cottimo e a domicilio.
Negli anni 80” hanno iniziato a manifestarsi nuovi tipo di
segmentazioni del mercato del lavoro. la loro comparsa è stata
accompagnata da due effetti rilevanti. Il primo : è il
trasferimento di certe funzioni e costi dal mercato del lavoro
alle famiglie e alle comunità. Il secondo è l’indebolimento del
ruolo dell’impresa nella strutturazione del rapporto di lavoro, in
quanto viene lasciato più spazio al mercato.
Sassen definisce: l’industria manifatturiera urbana, come un
genere di manifattura che:
1) Inverte la tradizionale relazione fra manifattura e servizi, in
quanto qui è la manifattura che serve l’industria dei servizi
2) Necessita di una localizzazione urbana.
3) Due componenti piuttosto contrastanti delle economie
urbane avanzate basate sui servizi, che caratterizzano tutte
le città globali sono: la cosiddetta industria culturale e un
nuovo tipo di economia informale.
4) Nata negli anni 80” e decollata negli anni 90” la cosiddetto
industria culturale è cresciuta rapidamente.
La nozione di città creative è l’ultima novità: designa qst
mescolanza di industrie culturali e dell’intrattenimento.
Due tratti salienti si questa svolta culturale sono l’emergere
di città in quanto mete turistiche e spazi informali per il
lavoro culturale.
Occorre tener distinte due sfere di circolazione dei beni e
servizi prodotti dall’economia informale. Una è interna a
quest’ultima e provvede in prevalenza a soddisfare la
domanda dei suoi membri ( piccole botteghe gestite da
immigrati in seno alla loro stessa comunità); l’altra si
estende al settore formale dell’economia. In questa seconda
sfera l’informalizzazione rappresenta una strategia di
massimizzazione del profitto attraverso subappalti,
sweatshops e lavoro a domicilio, o l’acquisizione diretta di
beni o servizi. Tutte queste operazioni accrescono altresì la
flessibilità dei lavoratori dell’economia informale.
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L’economia informale si impone come un meccanismo atto a
ridurre i costi e a garantire flessibilità là dove questa è
essenziale o vantaggiosa.
Agli inizi anni 80” il potere di determinazione dei salari nelle
principali industrie manifatturiere si era ridotto
drasticamente.
Tra gli anni 70” e 80” molte industrie di servizi hanno
contribuito in misura rilevante all’aumento della
sottoccupazione.
Nella seconda metà degli anni 80” e di nuovo verso la fine
degli anni 90’, si assiste ad una rapida crescita dei posti di
lavoro professionale e manageriali ad alto reddito.
Negli anni 90” gli Stati uniti e il regno unito si segnalano fra
tutti i paesi sviluppati per gli incrementi massimi della
disuguaglianza.
Il grado più elevato di disuguaglianza esistente a New York è
dovuto prevalentemente all’industria della finanza e dei
servizi.
L’aumento della disuguaglianza in questo periodo è stato
trainato in gran parte da questo calo dei salari reali dei
lavoratori meno istruiti.
Negli Stati Uniti l’aumento della forza lavoro altamente
remunerata, sommandosi alla comparsa di nuove forme
culturali,ha portato ad un processo di nobilitazione, di
coloro che percepiscono i redditi più elevati. Tale
nobilitazione dovuta agli alti redditi genera una domanda di
beni e servizi che spesso non sono né prodotti né venduti in
massa.