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Si mangia inoltre in modi culturalmente appropriati, dedicando il giusto tempo ai

vari rituali, ma anche adottando una cucina organizzata e modulare, in cui ci si

avvale di prodotti facilitatori (surgelati o già pronti) e si sfrutta il tempo libero del

fine settimana. Le pietanze confezionate già pronte subiscono infatti una

sfumatura morale negativa dovuta alla contrapposizione con i prodotti freschi. La

spesa deve quindi essere oggetto di una programmazione efficiente e di una

strategia mista di approvvigionamento e preparazione, adottata prevalentemente

dalle donne, soprattutto in presenza dei figli. La produzione veloce non deve

compromettere la qualità alimentare: le scarse risorse devono essere

compensate con disciplina e pianificazione. A Milano, la carenza percepita di

tempo e la necessità di valorizzare le pratiche alimentari come momento

significativo del quotidiano si risolve cucinando solo quando è possibile farlo in

modo piacevole e rilassato, generalmente nel fine settimana, mentre nei giorni

lavorativi si consumano fuori anche entrambi i pasti, oppure si ricorre a pietanze

semplici (specialmente se vi sono figli). La cucina festiva è tuttavia ora anche più

attenta all'apporto calorico e nutrizionale, con ricette classiche tradizionali

adattate alle esigenze ma anche alla creatività, grazie a riferimenti a libri di

cucina, corsi, ristoranti. Soprattutto tra i bolognesi esiste il bisogno di dedicare

tempo alla scelta degli ingredienti e alla preparazione di ricette dai tempi lunghi.

L'osservazione delle dinamiche familiari ha messo in evidenza la costruzione dei

ruoli associati al genere secondo stereotipi profondamente radicati e trasmessi

nel rapporto genitori-figli. Le donne tendono infatti a considerare il cucinare come

un gesto di cura per chi vive con loro: gli investimenti di tempo e denaro sono

atti sacrificati delle relazioni più significative, espressioni di interesse per gli altri.

La visione della preparazione dei pasti come dovere si associa a scarsa creatività,

piacere e apprendimento culinario. Tale fatica è tuttavia gradevole da compiere

nelle occasioni, in cui la cucina diventa una sfera d'azione attraverso cui mostrare

le proprie competenze. Tuttavia anche il mangiar fuori rappresenta un'uscita

legittima dalla sfera del dovere della cucina quotidiana, grazie alla dimensione del

servizio, specialmente per le donne. La condivisione della cucina è infatti un

ideale culturale che non si trasforma mai in un progetto sostenuto dalla coppia: i

modelli di suddivisione risultano infatti tradizionali e rigidi. Gli uomini fanno la

spesa ma cucinano solo nel fine settimana, a eccezione dei giovani con capitale

culturale medio-alto, nei quali si registra una componente esibizionistica che

spinge a preferire il pesce, cibo da prestazione per eccellenza dal costo

mediamente elevato e che necessita di competenza per essere preparato.

Dall'altro lato, la riluttanza delle donne nei confronti della cucina viene vissuta

come una mancanza raccontata con autoironia ma non senza componenti di

competitività legati all'abitudine di associare la femminilità alla capacità di

cucinare.

La crescente attenzione per le occasioni di consumo, tra cui quelle conviviali, si

traduce in una sperimentazione di modi per ridurre i costi. Lo spazio privato

diventa ribalta sociale ma informale ed intima, riservata alle relazioni affettive

importante. Al contrario, quelle strumentali e lavorative non si mescolano mai

alla dimensione domestica.

Talvolta si preferisce utilizzare il soggiorno, preservando la cucina come

retroscena in cui si commettono errori, si producono scarti e sporco, anche per

segnalare la possibilità di scegliere l spazio come marcatore di maggior agio. La

predilezione della cucina segna invece la maggiore intimità, sebbene essa vada

allestita per essere sottoposta allo sguardo esterno attraverso investimenti

dettati più da esigenze estetiche che funzionali. La stessa messa in scena del

cibo, la presenza di piante e quadri, o (ad esempio sul frigo) foto e ricordi che

evocano relazioni rendono la cucina lo spazio centrale per esprimere il proprio

stile di vita testimoniando un progetto consapevole di consumo del cuore

pulsante e vitale autentico della casa. Raramente l'invito a cena è infatti

funzionale alla ricerca di mobilità lavorativa, anche a causa di un senso di

inadeguatezza rispetto alle aspettative sociali dei potenziali invitati.

Gli inviti sono infatti preceduti dai un lavoro di conformazione a standard

percepiti di decoro, espressi dall'arredo, dalla tavola e dalla qualità della

conversazione, che esprimono l'attenzione dedicata agli ospiti e la cui mancanza

viene associata alla personalità e al capitale culturale di chi invita. Anche l'età

influisce sul modo di ospitare: negli anni 60 gli inviti erano infatti occasioni di

abbondanza, strutturate attraverso schemi rigidi di ruoli e genere, mentre per i

baby boomers con modesto capitale culturale essi causano ansia da prestazione

nel tentativo di conformarsi. Il cibo assume una funzione posizionale-distintiva

secondo una logica alto-costoso/basso-economico, così come l'arredo, le

decorazioni e la tavola. Gli ingredienti con forte valenza di status provano

l'attenzione prestata all'invito laddove si faccia fatica a spendere tempo in

preparazioni complesse. Persino la presentazione delle posate è funzionale ad

un'esperienza sensoriale piacevole, in un'atmosfera tesa a favorire il

consolidamento delle relazioni. Ci si prende cura dell'ospite attraverso il cibo, la

scelta degli ingredienti, la manipolazione, la presentazione estetica che ne

amplifica il piacere gustativo. Il valore simbolico dell'offerta del cibo rappresenta

invece la solidarietà.

La modernità alimentare è tuttavia segnata anche dal moltiplicarsi dei discorsi sul

cibo, dai cambiamenti rilevanti di agricoltura, allevamento e distribuzione, con

implicazioni ambientali e sociali, caricati di significati morali, civili e politici. L'idea

di cibo come bene pubblico e del consumatore come portatore di diritti e

responsabilità ha generato sistemi di produzione e distribuzione alternativi.

La pervasiva nozione di qualità, portatrice di positività intrinseca, rappresenta il

criterio-guida nelle scelte alimentari, pur essendo caratterizzato da una forte

ambiguità. La ricerca di uno stile di consumo salutare e sicuro si associa alla

riflessione sulle categorie sociali coinvolte (produttore e venditore), sulla socialità

del quartiere e l'ambiente naturale. Il tema della food safety intende la purezza

degli alimenti come assenza di ingredienti dannosi e procedure scorrette (ad

esempio nella nutrizione degli animali). La ricerca della qualità è trasversale alle

dimensioni di genere, età, capitale culturale, professionale ed economico.

L'italianità emerge come rimando centrale: la nozione di nostrano e fresco

dimostra come il prodotto italiano sia percepito come sicuro, che riduce gli

sprechi e limita i costi di stoccaggio. La diffidenza verso forme distributive di

massa a basso costo (come i discount) non si traduce nel rifiuto, bensì in un uso

selettivo, attraverso il mix di approvvigionamento stratificato e diversificato che

alterna supermercato, contadino, negozi locali, artigianato alimentare, ecc. In

molti casi, invece, le relazioni personali fiduciarie sovrastano criteri burocratico-

istituzionali come le certificazioni. La dimensione pubblica della qualità alimentare

abbraccia invece le discussioni sugli effetti sulla natura e sul sociale,

considerando quindi il cibo non solo come una necessità ma anche come un fatto

culturale. La qualità appare come una responsabilità verso le generazioni a

venire, l'ambiente, i lavoratori. La chiave di lettura morale sostituisce al criterio

industriale quello civico: insostenibilità, spreco, consumi inutili e aumento del

fatturato sono sorpassati dai valori di eguaglianza, solidarietà, interesse collettivo

e mercatini. La qualità come genuinità diventa bontà relazionale: il consumo

diventa uno strumento per costruire economie morali alternative, basate su

relazioni socialmente significative ed ecologicamente sostenibili. La cosiddetta

economia della relazione presuppone infatti un rapporto diretto col produttore,

non strumentale ma affettivo. In particolare a Bologna si registra un legame più

forte con la tradizione gastronomica locale, che si manifesta nella presenza di

negozi di quartiere che presentano un'offerta distintiva. La visione romantica

dell'autenticità della produzione alimentare prova il desiderio di assottigliare la

distanza tra produzione e consumo, attraverso rivelazioni gastronomiche ed

educazione alimentare. La scoperta/riscoperta di prodotti, conoscere attraverso i

sapori, disancorarsi dall'uniformità della grande distribuzione in favore della

creatività consentono di materializzare le virtù sociali del cibo e partecipare alla

costruzione culturale.

Costruire un'immagine virtuosa di sé e delle proprie pratiche alimentari è

considerato un tratto distintivo di ceto, quanto il tenersi informati. Seguire una

dieta etica significa superare la visione dell'homo economicus, guidato da bisogni

razionali come l'acquisto conveniente. Se il capitale culturale emerge come

fattore chiave, quello economico medio-alto non risulta altrettanto indispensabile,

poiché le strategie adottate richiedono la rinuncia a stili di vita consumistici e ad

acquisti d'impulso di beni di facile uso ma scarsa durata, dettati dalla moda. In

alternativa, si adotta una strategia di bricolage flessibile e modulare di

espedienti, tra cui non sempre esiste una coerenza di fondo.

Il cibo costituisce un marcatore culturale molto forte. Accettare cibo di culture

diverse significa legittimare l'ibridazione culturale e costruire una

rappresentazione di sé come persone cosmopolite. Tra i soggetti con meno

capitale culturale si registra infatti un netto rifiuto giustificato sulla base di una

presunta mancanza di igiene. Il supermercato stesso consente tuttavia di

esperire una cultura lontana in modo controllato, sottoponendola a standard noti

e affidabili. Il cibo etnico è inoltre preferito in situazioni extra-ordinarie come la

vacanza (in cui si ricerca una forma di autenticità e partecipazione che arricchisca

l'esperienza), o tra le mura di casa, in cui assume un carattere ludico,

sperimentale, estemporaneo.

La conoscenza del cibo è parte della propria identità sociale di consumatore.

La genderizzazione si manifesta maggiormente in intervistati cresciuti

tipicamente in famiglie monoreddito, in cui si è appreso per imitazione il

riferimento alla figura materna per qu

Dettagli
Publisher
A.A. 2016-2017
9 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/08 Sociologia dei processi culturali e comunicativi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher GiovannaUrb di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia dei consumi e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi "Carlo Bo" di Urbino o del prof Bartoletti Roberta.