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Un esempio è offerto dal vegetarianesimo, che si diffonde un po' in tutte le
famiglie.
Lamont sostiene l'importanza delle tradizioni nazionali, sottolineando come negli
Stati Uniti l'egualitarismo culturale rafforzi l'antiintellettualismo e favorisca una
cultura aperta. Le società contemporanee appaiono infatti più dinamiche, grazie
alle comunicazioni di massa che sfumano le distinzioni culturali e portano alla
convivenza di molti gusti considerati come adeguati.
Gli studi sul consumatore onnivoro inaugurati da Peterson osservano invece
come essi attuino strategie di consumo che mescolano prodotti diversi,
associando la sofisticazione culturale all'esperienza della maggiore varietà
possibile. Ciò rende difficile formulare stili esteticamente coerenti, ma consente
di tenersi al passo con un ampio numero di gruppi sociali e di aprirsi a tolleranza
e scambi culturali.
Douglas sostiene che i beni possono essere utilizzati come barriere o come
ponte, ossia per creare alleanze ed estraneità sociali attraverso mezzi di
classificazione del mondo e di comunicazione non verbale. L'attore necessita
infatti di una realtà intellegibile composta da beni che fungono da base
materiale per la stabilizzazione delle categorie culturali. Il consumo è quindi il
campo di battaglia per la definizione della cultura, che costringe a scegliere il
tipo di società in cui si vuole vivere e il tipo di persona che si vuole essere. Il
consumo è quindi ispirato dall'ostilità culturale degli individui.
Tale filosofia rappresenta uno dei quattro orientamenti culturali, o cultural
biases, presenti in tutte le forme di organizzazione sociale:
- quello gerarchico (che corrisponde a strutture sociali forti con gruppi integrati,
tipiche dell'economia tradizionale),
- quello individualista (a strutture e gruppi deboli tipici dell'economia
competitiva),
- il bias autoritario (a gruppi forti in strutture deboli, come nell'economia
contadina),
- e quello isolato (a individui svincolati da gruppi ma con gerarchie forti, come i
monaci).
Sebbene proponga un approccio dinamico del gusto, che cambia a seconda della
produzione culturale, Bourdieu trascura i cambiamenti della modernità apportati
dai mezzi di comunicazione di massa.
Douglas, invece, fa derivare il consumismo moderno dalla rivoluzione
industriale. Pur rilevando lo sviluppo dei beni terziari che sostituiscono il lavoro
di produzione domestica e aumentano quindi il tempo da dedicare ad altri
consumi. Il consumatore è quindi un attore astorico, inserito in una visione del
mondo unitaria e schiacciato in una dimensione cognitiva anziché pratica e
situata in tempo e spazio.
Oggi ci si trova tuttavia di fronte a logiche irriducibili alle differenze significative
stabilite dai gruppi sociali. L'identità dell'attore moderno, che agisce come
consumatore, è infatti multipla e dinamica, impegnata in ruoli diversi con
differenti logiche di autopresentazione e, quindi, differenti modalità di utilizzo
dei beni nel corso della sua vita e nei diversi ambiti sociali. Gli stili di vita non
necessitano più di coerenza interna, ma si configurano come contesti di
consumo differenti.
L'approccio comunicativo dà attribuisce la standardizzazione dei gusti alla sfera
della produzione. L'acquisto sarebbe, in tale ottica, solo l'inizio di un processo
complesso in cui il consumatore ricontestualizza la merce e la rende estranea al
mondo degli scambi monetari astratti.
McCracken considera infatti il consumo come parte di un processo di
attribuzione di significati, in cui pubblicità e moda trasferiscono i significati dal
mondo sociale alle cose. Essi verranno poi rielaborati dai consumatori tramite
attività rituali composte da azioni ricche di significati simbolici condivisi da una
comunità significativa non necessariamente presente. I principali tipi di rituali di
consumo sono quindi:
- lo scambio, caratterizzato dalla logica del dono, che lega soggetti e oggetti
diversi;
- la svestizione, che si compie quando ci si vuole disfare di un oggetto e lo si
spoglia del valore precedentemente attribuito;
- il possesso, ossia l'appropriazione simbolica e materiale e la personalizzazione
degli oggetti;
- e il mantenimento, che rinfresca il loro valore simbolico.
Gli oggetti rappresentano perciò dei ponti verso gli ideali a cui si tende. Si pensi
alla causa ecologica, a cui si cerca di contribuire acquistando prodotti biologici,
riciclando e preferendo luoghi come gli agriturismi.
De Certau, infatti, considera il consumo come una forma di riproduzione del
valore contrapposta a quella dei sistemi di produzione totalitari, razionalizzati e
spettacolari. Il consumo è infatti un modo con cui i consumatori si riappropriano
anche in maniera sovversiva di beni ufficialmente destinati ad altri usi,
estraendo qualcosa di diverso dall'intenzione originale.
Miller, invece, intende il consumo come un processo autonomo e plurale di
autocostruzione culturale. Il modo in cui esso si realizza rappresenta la diversità
delle reti sociali. Provenendo dalla tradizione antropologica, egli si concentra sul
processo duale di esternalizzazione e internalizzazione della cultura materiale,
riassorbita attraverso le merci e utilizzata per sviluppare sé stesso.
Lo stesso Marx attribuiva alla sfera del lavoro la potenzialità di realizzazione
dell'essere umano che è ora propria del consumo. Facendo proprio un oggetto,
ricontestualizzato in modi diversi, i consumatori danno vita a pratiche che
generano diversità anziché promuovere omogeneizzazione. L'industria
promozionale si inserisce quindi negli spazi utili alla negoziazione dell'identità
del consumatore, ponendo quindi nuovamente l'ago della bilancia a favore di
produttori e distributori che limitano lo spazio concesso agli attori sociali.
Simmel parla infatti di “possesso sterile” in termini di malattia tipica della
società moderna, alimentato dalla crescita della cultura materiale che è tuttavia
lontana dal consumatore, che non ne attualizza mai tutte le proprietà
simboliche. Il consumo è quindi un terreno conteso, attraverso cui le persone si
oppongono all'omogeneizzazione e riorganizzano ciò che hanno acquistato in
base al proprio stile, in un atto volontario e creativo. E’ quindi fondamentale
ripensare all'agire di consumo secondo il modello della pratica, che considera il
consumo come serie di atti improvvisazionali in un mondo sistematizzato dalle
immagini collettive. La nozione di decodificazione va quindi superata. Si parla
invece di affettività dell'attore, realizzata tramite forme di espressione suggerite
dalla cultura materiale e dalle istruzioni di consumo. Il rapporto tra attore e
pratiche di consumo è quindi intimo ma non completamente riflessivo. Il
consumo non è quindi solo un'azione espressiva ma anche costitutiva di sé e del
mondo.
Parte Terza – La politica del consumo
I modi in cui il consumo viene rappresentato e le sue pratiche sono influenzate
dai rapporti di potere. Essi offrono infatti possibilità di realizzazione ed
emancipazione tramite i gusti, su cui si esprimono giudizi che spingono a
scegliere e premiare le persone con gusti affini. Esiste sempre una visione
egemonica di ciò che è “normale”, conforme alle forze culturali dominanti ma
influenzata anche dai gruppi meno avvantaggiati (a seconda anche degli
attributi sociali) e dalla dimensione legale del mercato.
Gli attori sociali contribuiscono al processo di mercificazione (ossia con la
traduzione di oggetti e beni in merci scambiabili sul mercato tramite il denaro),
appropriandosi di significati relativi al mondo della produzione, ma allo stesso
tempo rendono il consumo un processo opposto di demercificazione, con cui si
ritraducono significati e usi degli oggetti proposti dal sistema di
commercializzazione nel loro vivere quotidiano. Essi cercano infatti di cancellare
il carattere massificato dei beni, caricandoli di significati personali.
Le aziende, per contro, devono adattare i prodotti ai contesti locali di vendita e
consumo, con piccole variazioni dei significati.
Capitolo sesto – Consumo e promozione
La pubblicità commerciale può essere considerata una delle forme culturali
dominanti nelle società capitalistiche, che tenta di adempiere alla funzione
commerciale e svolgerne anche una ideologica utile a far risultare graditi i
prodotti fungendo da cassa di risonanza per le diverse visioni.
La retorica anticonsumistica del secondo dopoguerra considera il consumo come
la causa dell'impoverimento spirituale, per effetto del quale si ricorre ai beni
materiali come surrogati di lavoro e politica. La disgregazione della sfera
pubblica, la burocratizzazione del lavoro e l'affermazione della cultura di
consumo hanno infatti promosso personalità narcisistiche ossessionate dai
propri bisogni tanto da considerare gli altri solo in base ad essi. La formazione
dell'identità non avviene più in relazione a ideali stabili e sostenuti dalla
famiglia, ma alla presentazione dell'immagine di sé. Mentre la cultura ascetica
favoriva lo sviluppo di personalità forti e attaccate
alla famiglia, la cultura di consumo la rende debole e isolata, ridotta a cercare
gratificazione negli oggetti.
La studiosa femminista Bordo ha infatti affermato che il self contemporaneo si
costruisce sulla base di richieste contraddittorie. Un esempio offerto è quello dei
disordini alimentari intesi come forme patologiche di consumo: l'anoressia è
associata alla repressione del desiderio promossa dall'etica del lavoro, la bulimia
alla tendenza a cedere al desiderio supportata dal consumismo.
La voracità del consumatore moderno lo spinge inoltre a lavorare in modo
smodato per procurarsi il denaro da spendere in merci sempre nuove.
L'autenticità del soggetto risulta minacciata, non più legata alle sue opere ma ai
suoi averi, misurabili quanto loro. La pubblicità gioca in tutto ciò il ruolo
propulsivo di traino ideologico.
Alle tesi critiche si oppongono tuttavia quelle liberiste pro-consumistiche, che
legittimano i nuovi modelli di consumo dal 700 in poi, esaltandoli come forze
civilizzatrici e pacificatrici. Il consumo è infatti definito dai suoi apologeti e dalla
teoria economica contemporanea come la ricerca di gratificazione personale
tramite i beni materiali a cui vengono associate le aspirazioni individuali. I
prodotti vengono associate a immagini di realizzazione personale, oltre ad
alleggerire il consumatore dal senso di colpa suscitato dal consumismo e dalla
vanità grazie alla rappresentazione del consumo come momento di riproduzione