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L'autoreferenzialità e la ridotta tutela dei minori
L'autoreferenzialità è così pervasiva che si insinua nella vita dei singoli come in quella delle comunità. La pretesa di bastare a se stessi elimina l'altro dal proprio orizzonte. Il problema della ridotta tutela dei minori è espressione di un problema degli adulti, i quali in una società dove conta l'efficienza, l'immagine, la forma, il culto del corpo tendono a concentrarsi su di sé: non gli interessano gli altri, non possono interessare quando il punto centrale è la propria individualità.
Tali dinamiche riducono drasticamente i rapporti interpersonali, generando un diffuso senso di incertezza e di sospetto verso gli altri. Questa situazione si riflette con particolare negatività sulle famiglie, come sottolineato da Giuseppe Acocella in un convegno sull'accoglienza familiare svoltosi nel 2001 a Salerno, e affermava che "il contesto sociale, sempre più dico".
atomizzato tra un disperato isolamento e un altrettanto problematico collettivismo virtuale vive in sede progressive difficoltà". A ben vedere le evoluzioni sociali e culturali in atto sono tali e tante da configurare un vero e proprio cambiamento d'epoca. A sottolinearlo è la celebre riflessione sulla società del rischio pubblicata negli anni 80 dal sociologo Ulrich Beck, in cui si denuncia un dilagante senso di vulnerabilità e spiazzamento che attraversa il vivere quotidiano di ogni persona. L'effetto combinato della crisi socio-demografica e della crisi economica-finanziaria globale determinano un forte cambiamento della domanda di protezione sociale, con intere fasce della cosiddetta classe media sempre più segnate da una progressiva vulnerabilità.
In questo scenario di generale depotenziamento del Welfare e di aumento e mutamento del bisogno di tutela sociale, occorre domandarsi come si collochi ruolo del servizio sociale.
professionale.Considerata la grave mancanza di risorse in quale modo gli assistenti sociali possono rispondere alle responsabilità che il codice deontologico chiede loro di presidiare? Quesito che deve confrontarsi con l'alterazione, se non con il deterioramento, dell'intervento sociale stesso, in particolare a causa del crescente generalismo e solidarismo degli assistenti sociali. Un servizio sociale debole rischia, al di là delle intenzioni del singolo assistente sociale divenire sempre più prestazionali, cioè caratterizzato da una serie di singoli interventi scollegati, non tenuti insieme da un lavoro sistematico con la comunità locale. Questo "Ritiro" dal territorio produce la percezione nella popolazione di un servizio sociale è distante da loro, Estraneo, di cui diffidare. Tutto questo mette in crisi la modalità di essere assistenti sociali, producendo problemi e dilemmi etici. Problemi etici quando l'assistentesociale deve prendere una decisione difficile dal punto di vista morale: ad esempio quando non può attivare un progetto che ritiene rispondere al bisogno della persona, in quanto il suo servizio non dispone di risorse adeguate. Dilemmi etici quando nell'operatività si trova ad assumere scelte difficili tra due principi etici in conflitto, come ad esempio il dover decidere da soli se attivarsi per lasciare un bambino con la madre o impegnarsi a stimolarne l'allontanamento temporaneo per inserirlo in un contesto adeguato. Interventi parziali incompresi e malvisti dai beneficiari diventano involontariamente stigmatizzanti. L'essere seguiti dai servizi sociali diviene in sé un male, una macchia nel curriculum delle persone delle famiglie. Deriva che si scontra fortemente con i principi deontologici del servizio sociale. La non esigibilità delle prestazioni sociali e la connessa costrizione degli assistenti sociali a valutare e decidere gliinterventi in base alle risorse anziché i bisogni come crescenti problemi in ordine all'uguaglianza sociale e all'uguaglianza. Si rischia di evolvere verso un modello sociale caratterizzato dalla facoltatività dell'assistenza, con toni sempre più orientati alla beneficenza-benevolenza. In questo scenario si intensificano dinamiche di episodi che, estremizzando in chiave neo-liberalista il concetto della "responsabilità del singolo", introducono criteri di meritevolezza e immeritevolezza, giungendo alla colpevolizzazione dei cittadini/utenti per la non riuscita. In questa generale regressione del "Well-far", alcune forme di empowerment sociale possono comportare rischi di esclusione per coloro che si dimostrano non meritevoli. Il presente lavoro si interroga sulle questioni della tutela del diritto alla famiglia di bambini e ragazzi con genitori gravemente in difficoltà, piega assai problematica del sistema di tutela sociale. La questione ha a cheFare con gli interventi di prevenzione delle cause di allontanamento dei minori, con le azioni di sostegno alle famiglie a rischio di abbandono, con i percorsi di inserimento di bambini e ragazzi in comunità o in affidamento familiare. Si tratta di ambiti che vedono particolarmente esposti sia ai servizi sociali, sia agli enti locali, sia alle autorità giurisdizionali minorili. È utile richiamare un nuovo libro di oltre vent'anni fa che poneva un quesito volutamente provocatorio: l'assistente sociale ruba i bambini? Il quesito prende le mosse da un "credo, piuttosto generalizzato, che accusa il servizio sociale di prepotenza e di repressione e autoritaria quanto la sua funzione all'interno del processo di aiuto è principalmente quella del controllo". Oggi ci troviamo costretti a porre la domanda opposta: gli assistenti sociali rubano ancora i bambini? È una domanda tanto grave quanto concreta, che prende le mosse dai dati annuali.
diffusi dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali in merito ai minorenni che vivono fuori della propria famiglia. Negli ultimi anni si assiste ad un progressivo repentino calo del numero di bambini e ragazzi inseriti nelle comunità residenziali o in affidamento familiare. Il timore segnalato anche dal tavolo nazionale affido, e che "la differenza indica non già una auspicabile riduzione del bisogno" bensì la ridotta capacità di intervento del sistema di tutela minorile, causata dalla progressiva contrazione delle risorse impiegate nel Welfare. Questo sarebbe sintomatico di una inaccettabile gravissima mancanza di protezione per un crescente numero di bambini e ragazzi. Lo scenario appare ancora più preoccupante in alcune regioni, quali la Campania dove la riduzione è del 28%, la Puglia raggiunge il 30% e il Lazio con un decremento del 32%. Ora, premesso che, come ben chiarito all'articolo uno della legge 184/83 nella formulazioneIntrodotta nel 2001, gli interventi di allontanamento di bambine e ragazze dal loro nucleo familiare vanno sempre considerati come risposta estrema e residuale, da procedere con tempestive e intense azioni di sostegno dei nobili familiari a rischio. Non possiamo negare che, quando le condizioni del nucleo familiare restano gravemente pregiudizievoli nonostante tali supporti, occorra mettere in sicurezza il minorenne inserendolo per il tempo necessario in un contesto in grado di provvedere alla sua crescita. Parliamo cioè di quelle situazioni in cui il deterioramento del contesto familiare è talmente marcato da far sì che la tutela del preminente interesse del minorenne si traduca in una temporanea inconciliabilità tra il suo diritto all'integrità psicofisica e il diritto a crescere nella propria famiglia. Si tratta di una evidente deriva, con numerosi risvolti etici, giuridici, psicologici e sociali. La crisi del Welfare pone numerose difficoltà operative.
Le problematiche deontologiche legate all'intervento degli assistenti sociali nel campo della tutela minorile familiare sono molteplici. Di seguito vengono elencati alcuni dei principali problemi.
Innanzitutto, la "strana" riduzione del numero di minori temporaneamente inseriti in comunità residenziali e in affidamento familiare evidenzia il rischio di uno scollamento progressivo tra il mandato istituzionale e il mandato professionale degli assistenti sociali. Non di rado, le difficoltà finanziarie dei comuni spingono gli amministratori a fare il possibile per contenere il numero dei minori inseriti in una comunità residenziale.
Altre volte, la reticenza ad allontanare dalla famiglia un bambino o un ragazzo affonda le radici in una visione ideologica oggi in via di diffusione che vede nella famiglia e nei "legami di sangue" un dato sempre sano, ma rescindibile e che denuncia gli assistenti sociali, la magistratura minorile e le comunità educative come "sequestratori" di bambini.
Queste derive non tengono conto gli effetti dell'amancata tutela sui bambini bisognosi di accoglienza. Negli ultimi tempi gli attacchi mediatici al sistema della percezione minorile hanno raggiunto picchi da far portare alcune reti di enti non profit ad impegnarsi nella campagna #5Cinquebuoneragioni Per dire basta alla forza contrapposizione tra il diritto del bambino a vivere nella propria famiglia e il diritto ad essere protetta da situazioni di pregiudizio che possono compromettere in modo irreversibile la sua salute psicofisica. I problemi di ridotta tutela minorile nelle situazioni di crisi familiare emergono da vari ulteriori elementi. Come sottolineato durante la conferenza nazionale per l'infanzia svoltasi a Bari nella primavera del 2014 "il sistema italiano di tutela del diritto alla famiglia è caratterizzato da forme di intervento che possiamo definire tardo-riparative: interventi di allontanamento perlopiù coatti, disposti dei tribunali per i minorenni, di durata media-lunga,
spesso attivati con provvedimenti emergenziali, e che sono caratterizzati da serie difficoltà di progettazione e di realizzazione. Si assiste ad uno slittamento su approcci assistenziali, incapace di contrastare la cronicizzazione del disagio il minorile e familiare che pongono in crisi i doveri dell'assistente sociale. Il depotenziamento dei servizi sociali riduce di molto il lavoro di sostegno ai nuclei familiari. Se sul piano dei principi occorrerebbe lavorare alla percezione di minorenni, sul piano pratico assistiamo ad oggettive difficoltà di prevenzione e di rimozione precoce delle cause degli allontanamenti dei minorenni dalla loro famiglia. Tutto questo pone seri problemi agli assistenti sociali in ordine a dovere i quali quello di assicurare interventi qualificati, efficaci, tempestivi. Situazione così critica ad aver portato l'osservatorio nazionale sull'infanzia e l'adolescenza.