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XVII
continente europeo. Il passaggio a tale ordinamento fu un lungo alternarsi di gruppi
sociali organizzati sulla base di regole giuridiche (ad esempio polis greca o la res
pubblica romana). Con la fine quindi dell'esperienza feudale e medioevale, e con il
sorgere di gruppi sempre più tendenti alla centralizzazione del potere fece sì che
nascesse la concezione di Stato moderno. Convenzionalmente, il momento di svolta
del passaggio allo Stato modernamente inteso viene fatto coincidere con i trattati di
Westfalia a metà del sec; trattati che posero fine a sanguinose battaglie e
XVII
sancirono la sconfitta delle aspirazioni imperiali. Dopo le città stato così, per Finer vi
sono quindi gli Stati in senso stretto. Questi possono essere distinti in: Stati
territoriali, nei quali esiste il controllo amministrativo di un certo territorio questa
volta però, ben più ampio di quello delle città stato ma che non è necessariamente
accompagnato dalla diffusione tra gli abitanti della coscienza di costruire una
“comunità” (lealtà dinastiche o di tipo personale), e in Stati nazionali, dove invece è
centrale la consapevolezza di far parte di una stessa comunità politica caratterizzata
da omogeneizzazione culturale dei sudditi sulla base di criteri linguistici, religiosi,
storici, culturali etc. Successivamente agli Stati in senso stretto, vi sono gli imperi,
associati all’esistenza di un potere sterminato. I loro confini sono flessibili e aperti,
hanno una composizione plurale sotto il profilo culturale, religioso, storico,
linguistico che spesso comporta delle asimmetrie nelle forme di cittadinanza e dei
diritti; possono presentare forme di decentramento, di autonomia territoriale e
istituzionale. Infine, vi sono le federazioni, che costituiscono delle modalità di
coesistenza e associazione tra entità politiche (Stati) autonome e sovrane sulla base di
rapporti contrattuali piuttosto che di una sottomissione imposta dall’alto come negli
imperi e negli Stati territoriali. Le forme di unione tra Stati possono assumere
gradazioni diverse, dalle alleanze alle confederazioni (un'associazione di Stati creata
per trattato in vista dell'adozione, come è accaduto spesso, di una costituzione
comune o, al contrario, per definire ambiti di collaborazione temporanei in vista di
una possibile futura separazione definitiva delle entità che la costituiscono), fino ad
arrivare ai sistemi federali, dove, pur nel rispetto dell’autonomia degli Stati membri,
il processo di integrazione si è spinto molto oltre nella costruzione di organi deputati
alla produzione di decisioni vincolanti. Lo Stato federale trova la sua massima
espressione con la nascita degli USA successivamente alla Convenzione di Filadelfia
del 1787 (Stati Uniti d’America, Belgio, Svizzera, Germania, Messico, India, Canada,
Australia, Brasile ma anche la stessa Unione sovietica). Caratteristica fondamentale
dello Stato federale è sicuramente quella di prevedere due tipi di potere, quello statale
e quello federale, nel quale il primo è subordinato al secondo. Esso si configura come
associazione ed integrazione di Stati prima indipendenti o “ex novo” (ossia Stati che
al momento della loro indipendenza hanno deciso di adottare tale decentramento), o
come disgregazione degli Stati prima fortemente unitari, i quali si sono posti come
obiettivo la nascita di uno Stato che potesse si garantire autonomia e indipendenza a
ciascun Stato membro, ma che allo stesso tempo tali Stati si impegnassero a
concedere una porzione della propria autorità in nome di un organo federale, il quale
compito sarebbe stato proprio quello di rendere tali Stati più coesi tra loro.
Per quanto riguarda la legittimità di un regime politico invece, essa può essere
analizzata alla luce di due elementi: la presenza di apparati più o meno partecipi a
seconda del grado di strutturazione delle relazioni di dominio, e la legittimità
necessaria affinché le forme di dominio si stabilizzino e durino nel tempo. Monopolio
della forza e legittimità danno ai regimi politici la massima capacità obbligante
poiché nessun individuo o gruppo che ricade entro la loro giurisdizione si può
sottrarre alle decisioni prodotte dalle autorità. Come precisa Ferrero, la legittimità
serve a umanizzare le relazioni tra gli individui e chi detiene il potere politico. Solo
così il rapporto altrimenti terribile tra chi doma e chi viene domato cessa di essere
una mera imposizione. Per Gaetano Mosca la legittimità corrisponde ad un reale
bisogno degli uomini di obbedire ai comandi non per mera forza ma sulla base di un
qualche principio morale. Del resto, se le autorità poggiano le loro pretese di dominio
su principi morali riescono a conservare in maniera più efficace l’egemonia sui
subordinati. Nel corso della storia si sono susseguite una varietà di regimi politici.
Una celebre classificazione antropologica distingue i regimi del passato in “sistemi
non centralizzati” e “sistemi centralizzati”, e Stati veri e propri. In quest’ultimo caso,
gli Stati primigeni, non caratterizzano soltanto l’Europa post medievale, ma sono
parimenti riscontrabili in altre regioni del mondo e in epoche più antiche. Lo Stato
moderno come lo conosciamo in Europa (la quale nascita è stata prima introdotta),
costituisce solo una delle possibili forme di regime politico. Samuel Finer afferma
che, contrariamente a quanti molti ritengono, l’Europa non ha inventato lo Stato, ma
bensì lo ha soltanto reinventato dopo un lungo periodo in cui al crollo dell’Impero
Romano era seguita una condizione di quasi anarchia e successivamente di
feudalesimo. La nascita dello Stato moderno è comunque e inevitabilmente, a
prescindere dalle sue origini, è un fenomeno di fondamentale importanza dal punto di
vista politologo e che per ciò merita di essere approfondito.
Che tipo di regime politico è lo Stato moderno? Per rispondere a tale domande
bisogna anzi tutto analizzare quelli che sono gli elementi definitori che delineano il
ritratto dello Stato moderno. I tratti necessari senza i quali non si ha un regime-Stato
sono: il monopolio della violenza legittima, la territorialità dei confini entro i quali ha
effettività il controllo della coercizione, la sovranità che non riconosce alcun potere
superiore, rapporti con una popolazione che si considera omologata da cultura, storia,
lingua, usi e costumi propri (sovranità, popolo/cittadinanza e territorio). Tutti questi
caratteri sarebbero stati acquisiti in paesi come la Spagna (siglo de oro), l’Inghilterra
e la Francia, durante quel periodo definito “costruzione dello Stato” (State building) o
“consolidamento territoriale” (XIII-XV sec.). Con la nascita dello Stato moderno (che
si incarna con lo Stato assoluto in Europa continentale), si assiste ad una conseguente
fase di formazione di apparati amministrativi fiscali, militari e civili al servizio dei
sovrani, accompagnati dalla creazione di un esercito permanente, un sistema
coordinato ed esteso di esazione dei tributi e la distinzione tra patrimonio privato del
Re e patrimonio pubblico inalienabile e indisponibile. La formazione degli apparati
amministrativi specializzati e la natura delle pratiche tramite le quali il potere viene
esercitato caratterizza così questa fase, che viene comunemente chiamata
“razionalizzazione del dominio” (XVI-XIX sec.). Il sistema economico mutua
profondamente rispetto a quello feudatario, in quanto al tradizionale assetto agricolo
viene aggiunto lo sviluppo del capitalismo mercantile e manifatturiero e sostituisce
allo scambio in natura quello tra merci e denaro. Altre ragioni che concorrono alla
nascita dello Stato moderno (e quindi assoluto) sono l’espansione demografica, lo
sviluppo di un surplus nella produzione agricola e il desiderio del Re di riaffermare in
concreto il dominio politico sui territori (che si era affievolito durante il periodo
feudatario). Le prime due fasi di sviluppo dello Stato, consolidamento e
razionalizzazione, sono seguite da una terza chiamata “espansione” (XIX-XX sec.).
Tale fase prevede da un punto di vista politico istituzionale, la sovrapposizione tra la
costruzione della nazione, la democrazia rappresentativa e lo Stato del benessere
(Welfare State, che trae le sue origini dalla forma di Stato che sorge in Germania nel
periodo intermedio tra le due guerre mondiali con la Repubblica di Weimar e che
prevede il varo di una serie di azioni legislative a favore di aspetti dai tratti sociali,
come previdenza o lavori socialmente utili).
Tutto ciò ha come conseguenza per lo Stato una crescita delle funzioni di cui si deve
far carico, e dei propri apparati amministrativi. Infine, a tale macro-fase segue quella
della “crisi dello Stato”. Tale crisi può esser di due tipi, a seconda dell’atteggiamento
adottato dallo Stato stesso: “crisi per eccesso di Stato” o “crisi per carenza dello
Stato”. Anzitutto, quando si parla di crisi per eccesso dello Stato bisogna ricordare
come, la forma più parossistica di eccesso dello Stato, e quindi dominata da una
violenta esasperazione, abbia riguardato la politicizzazione integrale della società
civile a opera dei sistemi totalitari (tra questi ricordiamo il regime fascista in Italia e
quello nazista in Germania, quello prima di Primo de Rivera e poi di Francisco
Franco in Spagna, quello di Salazar in Portogallo, quello Comunista nell’URSS e
quello della “Giunta dei colonnelli” in Grecia). La crisi storica dei totalitarismi di
destra, con la fine della Seconda guerra mondiale, e di sinistra, con il crollo del Muro
di Berlino, ha gettato le premesse per delle successive ondate di democratizzazione,
le quali verranno più avanti delineate. Soffermiamoci però prima su quella situazione
di ipertrofia, e quindi di eccessivo aumento e presenza, dello Stato democratico che
ha prodotto significative reazioni in tutte le democrazie occidentali dell’ultimo
trentennio, a partire dalla così detta “rivolta fiscale”. Si inizia infatti a parlare di
ristrutturazione dello Stato, allo scopo di affrontare le sfide e le trasformazioni che lo
hanno investito già dalla metà degli anni Settanta del secolo scorso. La questione
dell’eccesso dello Stato è stata affrontata analizzando il tema dell’ingovernabilità,
vista ora come esito del pluralismo sociale e comunitario e della facilità di accesso
dei gruppi sociali alle sedi delle decisioni imperative. La debolezza delle istituzioni
sociali va pertanto ricercata nella conseguenza della scarsa autonomia dello Stato
rispetto all’ambiente sociale, che sempre di più reclama una partecipazione