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IL LIBERALISMO NELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI
La principale teoria che si occupa degli effetti dell’interdipendenza economica sulla politica
internazionale appartiene al pensiero liberale ed emerge da una critica al realismo in
à
primo luogo, al contrario dei Realisti, lo Stato non è visto come unico attore rilevante sulla
scena internazionale. Lo Stato è visto come uno dei vari livelli ai quali è possibile aggregare le
preferenze degli individui. Esistono pertanto altri soggetti dei quali bisogna tenere conto
quando si analizzano le relazioni internazionali, e lo Stato è visto come un “agente” che opera
per conto di altri “principali”. Alcuni di questi si trovano ad un livello più grande dello Stato,
come le Organizzazioni Internazionali. Alcuni sono di livello transnazionale, come ad
esempio le compagnie multinazionali o le grandi chiese religiose. Alcuni principali si trovano
invece a livello subnazionale, e richiedono di prendere in considerazione variabili di politica
interna.
A differenza del Realismo, quindi, il Pensiero Liberale prende in considerazione anche entità
internazionali, subnazionali e transnazionali, che possono stabilire relazioni e influire sugli
esiti politici. Questa linea di analisi del Pensiero Liberale è appunto definita Pluralista.
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Riassumendo… Le tre diverse visioni di politica internazionale sono: quella Realista, quella
Liberale e quella Marxista:
La visione Realista, consiste in un modello essenziale, in cui unità omogenee, gli Stati,
o interagiscono tra loro come “palle da biliardo”, ciascuna muovendosi in base alle
azioni e reazioni delle altre piuttosto che in base a spinte provenienti dal proprio
interno.
La visione Liberale è più complessa. Ciascuna delle unità Stato è a sua volta un
o insieme di unità sub nazionali al proprio interno, che possono generare una spinta
autonoma o legarsi, a “ragnatela”, con altre unità sub nazionali in altri Stati, formando
connessioni transnazionali. Alcuni Stati sono anche accomunati dall’appartenenza a
Organizzazioni Internazionali, mentre è possibile che altri attori (come le
Multinazionali), abbiano un’influenza sugli esiti politici.
Nella visione Marxista, invece, le Unità politiche sono in realtà solamente delle
o sovrastrutture che rispondono ai rapporti di forza della struttura economica, per la
quale la classe capitalista domina quella proletaria. Questa visione è dunque
caratterizzata da una visione classista, piramidale. Le unità politiche contano poco, in
quanto solo sovrastruttura. A livello internazionale, la classe capitalista del Centro
domina su tutte le altre classi (capitaliste e non) della semiperiferia e periferia.
Un’altra differenza tra la tradizione realista e quella liberale, riguarda il concetto di Anarchia.
Si è già detto come per i realisti gli Stati operino in un contesto di anarchia internazionale. Per
i liberali, invece, l’Anarchia Internazionale, intesa come l’assenza di un Governo Mondiale,
varia a seconda delle circostanze e delle caratteristiche interne agli Stati (non è sempre lo
stesso tipo di anarchia). Le relazioni tra Democrazie, ad esempio, o tra Stati che commerciano
intensamente, saranno quindi diverse dalle relazioni tra Stati che hanno regimi politici
differenti, o che non commerciano tra loro la conseguenza di questo tipo di anarchia
à
dell’esempio, è che le relazioni tra Stati non sono necessariamente dominate solo da
considerazioni che riguardino la sicurezza al contrario di un mondo realista, dove
à
ciascuno Stato è sospettoso di tutti gli altri, la cooperazione è possibile e una condizione di
relativa pace e stabilità conseguibile permettendo agli attori di concentrarsi su altri obiettivi.
Nelle prime versioni del Liberalismo Internazionalista, subito dopo la Prima Guerra
Mondiale, s’immaginava di poter basare l’intero Sistema Internazionale su di un’“armonia
degli interessi” e una pacifica interdipendenza. Questa visione fu poi definita “idealista” e
“utopica”, in quanto fu poi screditata dalla Seconda Guerra Mondiale.
Solo negli anni ’70, emerse una Scuola Neoliberale, che adottò una visione più complessa, in
cui convivevano sia relazioni conflittuali che cooperative. Quest’approccio, chiamato di
“Interdipendenza Complessa”, prevedeva che non ci si concentrasse più solamente sulle
risorse militari, in quanto la guerra non era percepita come imminente tra gli Stati che
cooperavano. Il tipo di risorse su cui concentrarsi (di tipo militare, economico…) sarebbe
quindi stato dato solamente dal contesto in cui si trovava uno Stato (per questo è
un’interdipendenza complessa perché a seconda della situazione internazionale in cui si
à
trova uno Stato, questo dovrà concentrarsi su un tipo di risorsa).
La differenza principale tra Realismo e Liberalismo, è che quest’ultimo immagina una
direzione progressiva nell’evoluzione storica. Da una condizione passata di instabilità a una
futura di pace, non più intesa semplicemente come tregua tra un conflitto e l’altro, ma come
una condizione di autentica stabilità e fiducia che renda obsoleto l’uso della violenza. Il
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superamento della violenza è da attuare tramite tre principali mezzi: le Istituzioni
Internazionali, il Commercio Internazionale e la Democratizzazione.
IL LIBERALISMO COMMERCIALE
Tra i vari liberalismi, il “Liberalismo Commerciale”, è quello che identifica il progresso nelle
Relazioni Internazionali con la diffusione delle moderne economie industriali di mercato a
partire dalla fine del Settecento.
L’aumento costante della ricchezza derivato dallo sviluppo delle economie industriali,
avrebbe portato un crescente numero di Paesi a concentrarsi sul proprio benessere
economico piuttosto che sul proprio successo militare lo Sviluppo Economico avrebbe
à
quindi pacificato alcune zone del Mondo, e la sua progressiva diffusione allargherà, anche in
futuro, questa zona di stabilità.
L’ottimismo del Liberalismo Commerciale è basato sulla visione di Adam Smith e David
Ricardo sui benefici del Libero Commercio che, se liberato dalle interferenze statali, porta
un aumento del benessere per tutti, individui e Stati.
Secondo la “Teoria del Vantaggio Comparato” (modello ricardiano), un Paese tenderà a
specializzarsi nella produzione del bene su cui ha un vantaggio comparato.
Secondo la “Mano Invisibile” di Smith, nel libero mercato, la ricerca egoistica del proprio
interesse gioverebbe tendenzialmente all'interesse dell'intera società e mirerebbe a
trasformare quelli che costituiscono "vizi privati" in "pubbliche virtù".
Secondo le teorie ricardiane e smithiane, quindi, la specializzazione di ciascuno nell’attività
che gli è più congeniale, porta sia alla massimizzazione delle potenzialità di ciascuno, sia ad
una maggiore efficienza complessiva.
Una caratteristica importante del Libero Commercio, è quella per cui la ricchezza degli Stati
vicini non è un pericolo, ma anzi favorisce il proprio sviluppo economico, in quanto facilita
l’acceso a tecnologie più avanzate e a mercati più facoltosi, in grado di assorbire
maggiormente le proprie esportazioni.
Questa idea si scontra con la precedente “Dottrina Mercantilista”, secondo la quale il
Protezionismo era preferibile al Libero Commercio, in quanto si riteneva che la ricchezza
dell’uno potesse crescere solamente a scapito degli altri. Tale dottrina mirava alla massima
autosufficienza economica statale, da conseguire tramite il sostegno governativo alle
esportazioni e l’accumulo di grandi risorse auree. L’approccio mercantilista era, tuttavia,
applicabile solo alle economie dell’epoca, basate principalmente sull’agricoltura e
sull’estrazione mineraria e un limitato commercio di beni di lusso.
INTERDIPENDENZA ECONOMICA E POLITICA INTERNA
INTERESSI PARTICOLARI E DECISIONI COLLETTIVE
I processi economici di uno Stato economicamente aperto non dipendono solo dal suo
Governo, ma anzi in larga misura da attori privati (Gruppi d’Interesse), che possono loro
stessi influenzare lo stato.
Come dimostra la “Teoria dell’Azione Collettiva” di Olson, questi Gruppi hanno sia
l’incentivo che l’opportunità di distorcere e “catturare” la politica commerciale. L’interesse
dei gruppi concentrati è ovviamente più intenso di quello dei gruppi diffusi, poiché i
benefici vengono ripartiti tra un numero minore di persone e vi sono minori problemi di
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coordinamento. I vari Gruppi d’Interesse si possono inoltre alleare al fine di controllare
meglio le decisioni pubbliche (logica del log/rolling = scambio di favori tra i vari gruppi
d’interesse alleati).
Un recente studio sulla Politica Commerciale dei Paesi Occidentali ha illustrato come, persino
nei Paesi con una rispettabile tradizione liberale, sia possibile per i Gruppi d’Interesse
Particolare prevalere sugli interessi generali del Paese. La variabile fondamentale è quella
della salienza delle Questioni Commerciali nel dibattito pubblico. Se questa è alta,
l’opinione pubblica avrà modo di pesare sui partiti e di vincolare la loro politica economica.
Se, al contrario, la politica commerciale non fosse molto saliente nel dibattito pubblico, allora i
processi decisionali saranno molto meno trasparenti, permettendo a uno o più Gruppi
d’Interesse di monopolizzare le pressioni nei confronti dei governanti.
Alcune teorie, si concentrano sulla capacità dello Stato di resistere alle pressioni dei Gruppi
d’Interesse. Katzenstein distingue tra “Stati Deboli” e “Stati Forti”, dove i secondi, a
differenza dei primi, sono capaci di sviluppare una politica economica nell’interesse del paese.
Gli Stati non democratici, al contrario delle Democrazie, sono quelli sicuramente più in
grado di evitare il confronto con l’opinione pubblica e possono basare la legittimità delle loro
scelte economiche attraverso la propaganda (non seguono l’interesse del Paese, ma quello dei
Gruppi d’Interesse, dato che non devono per forza giustificare le proprie scelte davanti
all’opinione pubblica).
In assenza di dibattito pubblico, dunque, le élite politiche ed economiche si accordano a spese
degli interessi della maggioranza creano un “sistema cartellizzato”.
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Altra conseguenza della crescita degli interscambi economici è l’accresciuta importanza di
nuovi tipi di attori, quali le Societ&agrav