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Da un lato c’è la metodologia scientifica per spiegare la realtà. All’opposto c’è la nozione di comprensione

del mondo, cioè interpretare il tema oggetto di studio che non può essere tradotto in termini scientifici

senza che vengano fraintesi.

I post-positivisti rifiutano l’adozione del metodo scientifico secondo due argomentazioni:

1. Le scienze sociali, RI incluse, devono lavorare usando una pluralità di approcci, che utilizzino diverse

modalità di costruzione della conoscenza del mondo. Non c’è uno standard unico di correttezza

metodologica che possa essere applicato a tutto campo.

2. Nella ricerca metodologica gli approcci post-positivisti hanno già dimostrato di essere in grado di

mettere in discussione le verità consolidate e sono riusciti a formulare nuove osservazioni critiche

di diverso genere.

Scopo ultimo della letteratura post-positivista è evitare di essere inscatolata in un approccio convenzionale.

Negli ultimi anni gli studiosi RI cercano di adottare soluzioni di compromesso tra approccio positivista e

post-positivista, come del resto è la definizione di “sociologia” di Max Weber: “scienza che mira alla

comprensione a fini interpretativi dell’azione sociale, per giungere a una spiegazione causale del suo corso

e dei suoi effetti”. Cioè di cui abbiamo bisogno è sia spiegare che comprendere, perché il mondo è

composto sia da forze materiale che da idee e percezioni, entrambe le componenti dovrebbero trovare

spazio nell’analisi (Sorensen).

Altra critica agli approcci post-positivisti è quella secondo cui mostrano troppo la tendenza a ridurre le

teorie degli avversari a fantocci facili da abbattere. Una parte del pensiero post-coloniale finisce col

considerare una male tutto quanto provenga dall’Occidente, e la teoria radicale della dipendenza si

comporta in maniera analoga quando critica il pensiero della modernizzazione considerando tutto bene

quanto venga dall’Occidente. 31

La politica estera

Il concetto di politica estera

L’analisi della politica estera è lo studio della gestione dei rapporti e delle attività esterne di uno stato-

nazione. La politica estera è l’insieme degli sforzi (la condotta) di un governo per influenzare gli obiettivi al

di fuori della sua sovranità. Fare politica significa avere la capacità di ragionare sugli obiettivi e sulle

decisioni del governo soppesando mezzi e fini. Lo scopo è individuare la migliore alternativa disponibile,

soppesando mezzi e fini, affinché le cose vadano nel modo desiderato. L’analisi dei costi-benifici delle azioni

da adottare in politica estera, diventa non solo funzionale ma anche prescrittiva, in quanto indica a un

governo che cosa è più opportuno che faccia per risolvere i suoi problemi nella materia.

L’analisi della politica estera

Analizzare la politica estera significa scegliere tra diversi approcci teorici, scelta che inevitabilmente va ad

influire sulla politica da attuare. In parte dipende dal fatto che le teorie si concentrano su valori sociali

diversi:

• I Realisti si concentrano sulla sicurezza nazionale;

• Gli studiosi SI assegnano rilievo ai valori di ordine e giustizia;

• I Liberali sono convinti sostenitori di libertà e democrazia;

• Gli studiosi EPI esaltano l’importanza del benessere socioeconomico e del welfare.

Esistono diversi approcci all’analisi della politica estera.

Approccio tradizionale – significa informarsi sulla politica estera di un governo: conoscerne la storia o il

background, comprendere gli interessi e le preoccupazioni che la motivano, etc… Lo strumento ideale per

questo scopo è la conoscenza diretta della gestione dei suoi affari esteri da parte del suo governo, cioè

lavorare nel ministero degli esteri del paese in questione. Se non è possibile, la cosa da fare è

immedesimarsi nel suo modo di ragionare. Adottare questo approccio significa imparare ad interpretare

l’attività dei policy-makers nel campo della politica estera, basandosi sulla esperienza diretta o studiandone

con cura il comportamento passato e presente. A occuparsene sono stati soprattutto storici, giuristi e

filosofi, ma anche professionisti della politica come Machiavelli e Grozio, oppure recentemente Kennan e

Kissinger. L’approccio tradizionale è il più congeniale agli studiosi SI e ai realisti classici maggiormente

orientati all’analisi storica.

Approccio comparativo – è ispirato dalla svolta behaviorista nelle scienze politiche. Puntava alla

costruzione di teorie e spiegazioni sistematiche dei processi generali, aggregando vaste quantità di dati sul

contenuto e sul contesto delle decisioni di politica estera di numerosi paesi.

L’approccio nacque con la “pre-teoria” di James Rosenau che raggruppò in 5 categorie le fonti di decisione

della politica estera: variabili idiosincratiche, di ruolo, governative, societarie e sistemiche. Ne propose una

classificazione in base alla questione politica e agli attributi dello stato (es. dimensione, livello di sviluppo).

Si rivelò uno schema classificatorio utile ma non si è mai imposto in modo convincente.

Approccio delle strutture e dei processi burocratici – si focalizza sul contesto organizzativo dei meccanismi

decisionali, che si ritiene siano condizionati dai dettami degli ambienti burocratici. L’analisi dei processi

viene attuata in modo empirico, prestando attenzione al modo concreto in cui le politiche estere vengono

attuate, al fine di scoprire come sono andate le cose e il perché in quel determinato modo.

Il più noto studio è di Graham Allison sulla crisi missilistica cubana. L’analisi suggerisce 3 schemi

interpretativi differenti e complementari per spiegare i processi decisionali americani di quella crisi: 32

• Approccio dell’attore razionale: alla luce delle informazioni disponibili, quale sarebbe stata la

decisione più opportuna per raggiungere l’obiettivo prefissato? Ipotesi di partenza è che i governi

siano coesi e razionali con obiettivi di politica estera ben definiti;

• Modello dei processi organizzativi: la politica estera scaturisce dall’attività di numerosi enti

governativi, ciascuno dei quali bada ai propri interessi attenendosi a procedure operative

standardizzate;

• Modello della politica burocratica: singoli decision-makers operanti a vari livelli contrattano e

competono tra loro per accrescere la propria influenza.

Approccio cognitivo e psicologico – si occupa principalmente del singolo decision-maker, dedicando

attenzione agli aspetti psicologici del processo decisionale, come le percezioni degli attori. Robert Jervis ha

studiato il fenomeno della cattiva percezione: guidato da preesistenti convinzioni radicate nella sua mente,

ogni attore vede quello che vuol vedere, indulge all’appagamento percettivo. Margaret Herman ha studiato

le personalità di 54 capi di governo giungendo alla conclusione che per capire le modalità operative è

indispensabile tenere conto della loro esperienza nel campo degli affari internazionali, il loro modo di

intendere e praticare la politica e la loro più ampia visione del mondo.

Approccio multilivello, multidimensionale – si basa sulla consapevolezza che non esisterà mai una unica

teoria della politica estera come non esisterà per le RI. Ad es. il realismo strategico di Thomas Schelling

derivante dalla teoria dei giochi e incentrato sui processi decisionali, è stato applicato in varie analisi

durante la guerra fredda. I liberali che hanno studiato l’interdipendenza complessa, il ruolo delle istituzioni

internazionali, i processi di integrazione e i percorsi di democratizzazione. Secondo la visione liberale,

ciascuno di questi elementi porta uno specifico contributo all’attuare una politica estera di cooperazione

pacifica. Gli studiosi SI hanno rinvenuto i 3 filoni tradizionali nel pensiero e nel comportamento degli uomini

di stato che si ripercuotono sulla politica estera. I neomarxisti EPI hanno concentrato l’attenzione sul

rapporto centro-periferia, con gli stati più deboli che detengono una limitata libertà di manovra sulla scena

internazionale.

Approccio sociale costruttivista – significa assegnare importanza al ruolo delle idee, delle opinioni e

dell’identità. I costruttivisti concepiscono la politica estera come un mondo intersoggettivo di cui è

indispensabile analizzare idee e opinioni per giungere a una migliore comprensione teoretica del processo.

La cultura strategica è un insieme di idee sull’impiego della forza militare nella politica estera. Uno studio di

Henrik Lindbo Larsen ha dimostrato le difficoltà nell’elaborazione di una politica di difesa comune europea

possono essere spiegate con l’incompatibilità tra le diverse culture strategiche di Francia, GB, Germania.

Come studiare la politica estera: un approccio “livello di analisi”

L’approccio “livello di analisi” è stato introdotto per la prima volta da Kenneth Waltz in un suo studio sulle

cause delle guerre dove adottò 3 livelli di analisi:

• Il livello dell’individuo: gli esseri umani sono per natura aggressivi?

• Il livello dello stato: alcuni stati sono più aggressivi di altri?

• Il livello del sistema: esistono nel sistema internazionale condizioni che conducono taluni stati

verso la guerra?

Con questa distinzione si può impostare la ricerca di spiegazioni della politica estera a 3 livelli di analisi:

Il livello sistemico – le teorie a questo livello spiegano la politica estera segnalando le condizioni presenti

nel sistema internazionale che spingono gli stati ad agire in determinati modi. Tali teorie devono dire quali

sono le condizioni prevalenti nel sistema internazionale e creare poi un nesso plausibile tra di esse e 33

l’effettiva politica estera degli stati. Per i realisti la condizione è l’anarchia e la condizione di competizione

tra stati. Per i liberali la cooperazione è più importante, insistendo sul ruolo delle istituzioni internazionali.

Per molti costruttivisti sociali gli obiettivi degli stati non sono fissati a priori, a determinali è il processo di

interazione tra stati.

Anche condividendo una di queste teorie, è difficile desumere il comportamento degli stati a partire dalla

descrizione generale. Senza ulteriori approfondimenti (gli altri 2 livelli) non si può arrivare ad una effettiva

conoscenza della politica estera. Per i realisti ad esempio, una volta determinato l’equilibrio di potenza è

necessario formulare ipotesi su quello che lo stato persegue nella competizione con gli altri stati, se

adottano un approccio realista difensivo o offensivo.

Il livello dello stato-nazione – l’a

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A.A. 2019-2020
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SSD Scienze politiche e sociali SPS/06 Storia delle relazioni internazionali

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher lucaven di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Relazioni internazionali e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Bozzo Luciano.