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R= UGC+GPR+GPRN
GPRN: guadagni maturati nell’anno ma non ancora realizzati derivanti dal possesso delle risorse
In questa visione del reddito si distingue il risultato delle operazioni di esercizio dal risultato derivante dal possesso delle risorse (a sua volta suddiviso
in realizzato e non realizzato): ne consegue che è facile passare dal reddito basato sul rinvio dei costi a questo preso in considerazione e viceversa.
Infatti togliendo dal secondo i guadagni non realizzati dal possesso delle risorse e aggiungendo i guadagni derivanti dal possesso, realizzati nell’anno
ma maturati nell’anno precedente, si arriva al primo.
Ciò che appare rilevante è che in questa nozione di reddito il business profit (risultato finale) è chiaramente suddiviso nella parte che deriva:
-dallo svolgimento delle operazioni (current operating profit): è un risultato realizzato dato da ricavi conseguenti alla vendita dei beni-costo dei fattori
produttivi (costo di sostituzione e non un costo storico);
-dal possesso delle risorse (holding gains and losses): consiste sia componenti realizzati che non.
Il reddito del primo anno quindi, derivante solo dal possesso delle risorse, è un reddito realizzabile e non realizzato e va inteso come un beneficio
dell’azienda dato dal risparmio ipotetico ce essa avrebbe potuto realizzare.
Il reddito del secondo anno invece, pari a quello del primo, è tutto realizzato e la parte degli holding gains rappresentano risparmi di costi realizzati e
non più ipotetici.
Reddito realizzabile
È dato da: R= UR (reddito realizzato) + UNR (reddito non realizzato)
UR: valori realizzati nell’anno - valori realizzabili dell’anno precedente (coincidono con il costo se la risorsa è stata acquistata nell’anno precedente);
UNR: valore realizzabile di una risorsa all’inizio – valore alla fine del periodo
Il reddito realizzabile alla fine del primo anno è pari a: valore di realizzo del bene a fine anno – valore di realizzo a inizio anno;
Quello realizzabile nel secondo anno sarà dato dal valore di realizzo del secondo anno – valore di realizzo dell’anno precedente;
Il reddito a valore corrente di entrata rappresenta la variazione realizzatasi in un certo periodo del valore di ricostituzione del capitale netto di
funzionamento; il reddito a valori correnti di uscita rappresenta invece la variazione del valore di realizzazione del capitale netto.
Le informazioni date da questo tipo di reddito dipendo dalle sue caratteristiche:
-la prima caratteristica è che diversamente dal reddito a valori correnti d’entrata, esso non distingue fra reddito derivante dalle operazioni di esercizio e
altre componenti del risultato aziendale, per cui non fornisce informazioni utili per valutare l’operato dei manager in termini di efficienza della
produzione;
-il reddito determinato con questa logica prescinde dal principio di continuità aziendale, prendendo in esame l’ipotesi della liquidazione degli
investimenti aziendali o dell’intera azienda; infatti per determinare il reddito occorre procedere alla valutazione del capitale valutando disgiuntamente
gli elementi gli uni dagli altri (gli elementi attivi sono valutati al loro prezzo di presunto realizzo sul mercato – quelli passivi al loro valore di estinzione).
Il capitale non è più un complesso di beni legati da complementarietà economica, ma un aggregato di beni il culo valore deriva dalla loro singola
attitudine allo scambio.
Il reddito in questo modo rappresenta la variazione dei flussi di cassa che deriverebbero dalla cessione disgiunta di tutte le attività e dall’estinzione
delle passività: ci dà quindi informazioni sul “sacrificio economico” supportato dai proprietari dell’azienda conservando gli attuali investimenti del
capitale netto dell’azienda in un anno all’altro. Queste informazioni interessano manager e proprietari dell’impresa, i quali verrebbero a conoscenza
delle eventuali linee alternative a disposizione dell’azienda, ossia quale sacrificio o beneficio si ottengono nel tenere gli investimenti nella forma
attuale.
Un equivoco da chiarire
Reddito a valori correnti di uscita e reddito economico sono agli antipodi: la misura del reddito economico indica la variazione del capitale economico
dell’impresa, e tale variazione si riflette positivamente o negativamente sul valore di borsa dei titoli e gli investitori possono quindi ottenere
informazioni riguardo la probabile liquidità realizzabile nel caso di vendita dei titoli della società.
Mentre per la determinazione del reddito economico si parte da un capitale basato sul concetto della continuità aziendale, per il reddito a valori
correnti di uscita si fa riferimento a un capitale realizzabile con la cessazione della vita aziendale: l’informazione racchiusa nel reddito a valori correnti
di uscita < di quella del reddito a valori di rimpiazzo < di quella del reddito economico.
Si dice spesso che il reddito secondo il rinvio dei costi sia ispirato alla logica reddituale, mentre le nozioni di reddito a valori correnti sono coerenti con
la logica patrimoniale: la concezione patrimonialistica del reddito si deve a Besta, secondo cui l’attenzione va concentrata sul capitale dell’azienda e il
reddito rappresenta solo uno strumento necessario alla misurazione delle variazioni del capitale avvenute in un certo tempo. Coerente con questa
impostazione è il sistema contabile patrimoniale, cioè un sistema di scritture attuate con il metodo della partita doppia avente come oggetto il capitale.
All’opposto di questa concezione c’è quella di Zappa, secondo cui l’attenzione va concentrata sul reddito invece che sul capitale, anche se i due concetti
sono fra loro collegati (def di reddito). Il sistema contabile proposto da zappa si chiama sistema del reddito.
In merito alle nozioni di reddito a valori correnti si rifanno a una logica patrimonialistica del capitale e del reddito, il quale viene concepito come la
somma algebrica delle variazioni intervenute nel valore delle singole attività e passività e non come una grandezza risultate dal sistema delle operazioni
aziendali.
Questo ha conseguenze anche sul bilancio, nel quale lo SP assume un ruolo di rilevanza rispetto al CE.
Nella logica del rinvio dei costi alla determinazione del reddito partecipano solo i ricavi realizzati, riferiti quindi ai cicli economici conclusi: prima si
determina il reddito e poi il capitale finale. Il valore del cap netto che appare nello SP è dato dalla somma algebrica del valore dei suoi componenti att e
pass.
Più in generale, nella logica del rinvio dei costi, la stima dei componenti attivi del capitale ha come scopo prioritario non quello di determinare il val del
capitale alla fine dell’esercizio, ma verificare se il costo che si vuole rinviare potrà essere recuperato attraverso i futuri ricavi.
SI capisce quindi che il capitale rappresentato in un bilancio così redatto ha scarso valore informativo, in quanto è una grandezza derivata e
subordinata alla determinazione del reddito ed ha significato sol ose messo in relazione ad esso.
Nella logica dei valori correnti invece si distingue un percorso che nella:
-prima fase: stima a valori correnti dei singoli componenti attivi e passivi del capitale, la differenza fra cap iniziale e quello finale dà la misura del
risultato economico. Il reddito rappresenta quindi la somma algebrica delle variazioni che ha subito il capitale derivanti sia dalle operazioni di gestione
che dal possesso delle risorse (entrambe le concezioni a valori correnti ritengono di competenza sia i ricavi realizzati che non).
-il capitale che appare nello stato patrimoniale è più espressivo di quello determinato con la logica del rinvio dei costi: nel CC ci sono due eccezioni alla
logia del rinvio dei costi che riguardano i lavori in corso (che possono essere valutati con il metodo dei corrispettivi maturati) e le partecipazioni in
società controllate e collegate (per le quali è consentita una valutazione con il metodo del patrimonio netto). In entrambi i casi vengono anticipati ricavi
non realizzati.
La nozione di reddito dei principi contabili internazionali. Cenni.
Se nel CC e nei principi contabili nazionali emerge la logica del rinvio dei costi, negli IAS/IFRS manca un orientamento preciso alle disposizioni in essi
contenute: alcune sono riconducibili alla logica del rinvio dei costi, altre al fair value, e per questo non emerge una nozione chiara e precisa di reddito,
bensì si intuisce che quello dei principi internazionali è un sistema ibrido.
Il fair value è l’aspetto più criticato degli IAS/IFRS e secondo la normativa è definito come “l’importo al quale un’att o pass possono essere scambiate o
estinte, in una libera transazione di mercato fra soggetti consapevoli e intenzionati”. Valutare al fair value una componente del capitale significa quindi
attribuirgli una valore che l’impresa potrebbe realizzare sul mercato; questo comporta che, diversamente da quanto accade per la logica del rinvio dei
costi, il reddito viene costruito anche su ipotesi di scambio.
Valutando al fair value quindi non si rinvia un costo, ma si anticipa un ricavo non ancora realizzato, ma sicuramente realizzabile.
Nel caso in cui il ricavo sia minore del costo, non c’è nessuna differenza fra fair value e logica del rinvio dei costi: si può rinviare solo quella parte di
costo che potrà essere coperta con i futuri ricavi.
La logica del fair value elimina l’asimmetria valutativa cui conduce la logica del rinvio dei costi: mentre questa prevede che si anticipino costi e perdite
future ma non utili solo sperati, con il fair value si anticipano gli uni e gli altri.
I problemi che nascono dalla logica del fair value riguardano:
-il valore che si prende in considerazione si forma e si definisce su un mercato attivo, ossia un mercato in cui gli elementi negoziati risultano omogenei,
compratori e venditori possono essere normalmente trovati in qualsiasi momento e i prezzi sono disponibili al pubblico.
Non sempre però esiste un mercato attivo per tutti i beni trattati dall’impresa, per cui risulta necessario trovare altri modi per stimare il fair value: è
possibile individuare una “gerarchia” al cui vertice si trovano i valori oggettivi (appunto i prezzi di mercato attivo) e più in basso i prezzi delle più recenti
transazioni di mercato, derivati da beni analoghi, fino ad arrivare alla base della piramide, in cui ci sono i valori più soggettivi a cui si perviene
attraverso l’utilizzo di particolari modelli e tecniche valutative (ad es option pricing model per gli strumenti finanziari).
Attualmente negli ISA/IFRS si trovano diverse definizioni di fair value e 22 modi di misurarlo: con l’emanazione nel maggio 2011 del Fair value
measurement si è chiarita la nozione di fair value e si è fornita una guida alla sua valutazione. Secondo la nuova definizione il fair value è