Riassunto esame Psicoterapia, prof. Lo Verso libro consigliato Valutare le psicoterapie
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Valutare le psicoterapie (La ricerca italiana)
Cap.2: Valutazione e clinica in psicoterapia
La valutazione delle psicoterapie è una questione d’interesse crescente non solo per l’ambito della
ricerca teorica ed epistemologica, ma anche per la pratica del lavoro clinico e psicoterapico. Le
implicazioni che questo lavoro comporta sono infatti molteplici:
Sul piano teorico, il tema della valutazione si collega alle questioni della scientificità del
- lavoro psicoterapeutico e a quello psicologico- clinico inteso in senso ampio: alla
definizione di psicoterapia, dei suoi obiettivi, degli esiti, dei parametri cui riferirsi per
sottoporla ad indagine;
Sul piano più strettamente clinico, esso si collega alla possibilità di aumentare la
- consapevolezza dei terapeuti rispetto al proprio lavoro, di aiutarli a “pensare” la propria
clinica psicoterapeutica, il setting o il dispositivo terapeutico; si collega con la possibilità di
porsi con rigore il problema dell’etica, della competenza, dell’efficacia, mantenendo al
centro del lavoro il paziente e non le proprie ideologie o istituzioni;
Sul piano sociale, la possibilità di valutare il lavoro terapeutico apre la psicologia clinica alla
- possibilità di assumere un ruolo sociale ben più rilevante e credibile.
Il punto di partenza del complesso rapporto tra ricerca empirica e pratica clinica è legato all’idea
che la ricerca, nel campo clinico, ha valore nella misura in cui consente al terapeuta di “capire per
curare”, cioè di aumentare la conoscenza del come si fa, del perché, a quali condizioni e con quali
risultati. Il perno dell’operazione conoscitiva rimane il paziente e la sua sofferenza, con l’obiettivo
di una migliore e meditata presa in carico, di una più corretta e chiara formulazione del progetto
terapeutico. Diversamente, l’obiettivo del ricercatore è solitamente quello di “capire per spiegare
scientificamente” ciò che accade all’interno del processo di cura. Il collegamento tra ricerca
empirica e pratica clinica è primariamente attraversato dalla questione dell’etica, poiché l’aumento
delle conoscenze ha senso solo se il terapeuta può utilizzarlo per realizzare dei cambiamenti, per
effettuare un lavoro di riflessione su di sé che non riguardi solo gli aspetti emotivi e motivazionali,
ma anche le proprie modalità procedurali. Migliorare l’efficacia dell’offerta terapeutica affrontando
le questioni della cura, del cambiamento, della presa in carico e del progetto terapeutico, deve
rimanere obiettivo prioritario dei terapeuti nella congiunzione tra ricerca empirica e pratica clinica;
lo stesso vale per i ricercatori che dovrebbero riflettere sui criteri epistemologici e metodologici e
sulle valenze che sottendono la progettazione delle ricerche riguardanti la cura della sofferenza
psichica. Il problema che si pone in primo luogo per la ricerca è quello di rispettare al tempo stesso
la complessità clinica e il rigore metodologico, ne consegue, che gli strumenti di ricerca, pur
dovendo essere rigorosi, non possono essere di tipo sperimentale in senso stretto, ne tantomeno
obiettivistici. Si reputa necessario adottare criteri di scientificità qualitativi: i soli in grado di
affrontare, con coerenza scientifica, lo studio delle relazione, della soggettività umana, della sua
sofferenza, tenendo conto del suo continuo divenire tendenzialmente infinito e irripetibile,
culturalmente e teoricamente condizionato. Un altro punto importante per un collegamento tra
lavoro terapeutico e ricerca empirica, riguarda la necessità di una puntuale analisi dei modelli di
conoscenza, di formazione e procedurali adoperati: se si prescinde da questo i risultati della ricerca
rischiano di essere falsi e quelli della valutazione clinica illusori. Sotto questo punto di vista è
necessario osservare il dispositivo teorico-clinico e ciò che lo fonda, porre attenzione
all’osservatore, e ai suoi modi di conoscere/costruire la realtà. Il rapporto tra il paziente con la sua
storia, il contesto procedurale con le sue potenzialità e limiti, la persona del terapeuta con la sua
responsabilità, esperienza, formazione, storia personale, è lo sfondo complesso in cui va inserita la
lettura di ogni accadimento. Infine, rimane indispensabile procedere con la consapevolezza del
“come se” e aprirsi al confronto intersoggettivo. 1
Cap.3: I gruppi di lavoro per la ricerca in psicoterapia
Le 3 fasi storiche del movimento di ricerca in psicoterapia
Per iniziare, vanno chiariti i termini outcome research e process research, due settori nei quali è
consuetudine dividere il campo della ricerca in psicoterapia; l’outcome researche è la ricerca sul
risultato della terapia, misurabile al termine della terapia, mentre la process research è la ricerca sui
vari aspetti del processo della terapia, misurabili anche durante la terapia e indipendentemente del
risultato, tenendo conto però che molte ricerche sul processo correlano singoli aspetti del processo
con alcune variabili del risultato. La storia del movimento di ricerca in psicoterapia è stata
caratterizzata da 3 fasi, l’una successiva all’altra anche se parzialmente in sovrapposizione. A queste
è preceduta una fase pionieristica, nella quale merita di essere ricordato Carl Rogers che fu il primo,
negli anni ’40, ad utilizzare il registratore per studiare le variabili del rapporto terapeutico e, fondò
uno dei più importanti approcci in psicoterapia, di tipo non direttivo, chiamato “approccio centrato
sul cliente” o “sulla persona”. Nella prima fase del movimento di ricerca in psicoterapia tra gli anni
’50-’60, l’interesse era rivolto al risultato della psicoterapia e,le esigenze maggiormente sentite
erano quelle del giustificazionismo scientifico e della legittimazione sociale. Il dibattito era
dominato dai tentativi di rispondere alla provocazione di Eysenck, il quale sosteneva che non vi
erano prove dell’efficacia di qualsiasi psicoterapia e che il miglioramento era dovuto alla cosiddetta
“remissione spontanea” cioè al semplice trascorre del tempo. Una delle maggiori difficoltà
incontrate in questa fase, fu data dall’impossibilità di attuare ricerche in “doppio cieco” controllate
dal placebo. Molti tentativi di simulare una situazione sperimentale nella quale una psicoterapia
veniva paragonata ad una condizione di “non psicoterapia” (lista di attesa, colloqui informali o di
routine, oppure condotti da personale non qualificato come infermieri o studenti) spesso rivelavano
risultati controversi o addirittura una maggiore efficacia del placebo. Nonostante queste difficoltà, i
ricercatori riuscirono a dare una risposta ad Eysenck, dimostrando l’efficacia della psicoterapia. tra i
vari tentativi ricordiamo quelli fatti da Smith, Glass & Miller, Shapiro & Shapiro che per la prima
volta utilizzaro la meta-analisi, con la quale analizzarono 597 studi controllati riguardanti i risultati
della psicoterapia. Questa tecnica statistica misura il cosiddetto effect size cioè la “dimensione del
risultato” del trattamento espressa in termini di deviazione standard, indipendente dalla dimensione
dei campioni sui quali essa viene calcolata. Con le ricerche meta-analitiche emerse che vi è una
remissione spontanea in alcuni gruppi di controllo non trattati (ossia un trattamento psicologico
meno formalizzato) e un miglioramento in molti pazienti trattati con il placebo, ma che le
psicoterapie in media, ottengono risultati nettamente superiori dei controlli non trattati e che questi
risultati tendono ad essere duraturi. Nonostante questi progressi, non si riuscì a dimostrare la
superiorità di una tecnica psicoterapeutica rispetto ad un’altra e, i ricercatori furono costretti ad
accettare il “paradosso della equivalenza” tra le varie psicoterapie, con l’implicita minaccia alla
legittimità scientifica della varie scuole. Da ciò, Luborsky et al. proclamarono ufficialmente il
“verdetto di Dodo”: tutti hanno vinto e ognuno deve vincere un premio”. Il paradosso
dell’equivalenza fu attribuito all’insufficiente sofisticazione metodologica degli studi e rese chiaro
che lo studio del risultato non era sufficiente per comprendere il significato della psicoterapia e che
era necessario indirizzarsi allo studio del processo. Si passò dunque alla seconda fase, che va dagli
anni ’60 agli anni ’80, scandita da 3 convegni che sfociarono nella fondazione della Society for
Psychotherapy Research (SPR), nel 1968. Questa seconda fase fu caratterizzata da una serie di studi
comparativi, da cui si comprese come fosse illusorio studiare il risultato di una psicoterapia o il
paragone tra psicoterapie diverse senza la certezza che ad ogni psicoterapia chiamata in certo modo
(es. psicoterapia psicoanalitica) corrispondesse effettivamente la stessa cosa (lo stesso processo),
per cui scoppiò il boom della ricerca sui “manuali” di psicoterapia. Essi sono caratterizzati da 3
componenti: 1) una selezione rappresentativa dei principi di una determinata tecnica
psicoterapeutica; 2) esempi concreti di ogni principio, cosicché non vi siano dubbi su cosa si
intenda con quella tecnica; 3) una serie di scale (rating scales) che misurano il grado con cui un
campione della terapia rientra nei principi di quella tecnica. La terza fase, che inizia negli anni ’60,
è quella in cui viviamo ancora oggi. Essa è caratterizzata da un disinteresse sempre maggiore per la
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ricerca sul risultato e da un’intensificazione degli studi sul processo, allo scopo di approfondire i
“microprocessi” terapeutici. In ambito psicoanalitico, in questa fase, fu compiuto lo studio di
Luborsky in cui furono studiate 63 psicoterapie psicodinamiche, interamente audio-registrate.
Innumerevoli furono i risultati di questo studio, tra cui, fu rivelato il potere prognostico
statisticamente significativo della scala salute-malattia (Health-Sickness Rating Scale, HSRS)
all’inizio della terapia, nel senso che i pazienti più sani ne traggono maggiore vantaggio. Essa fu poi
leggermente modifica e rinominata Global Assessment Scale (GAS) e usata per l’asse V del DSM-
III. Luborsky (1992) inoltre studiò i fattori curativi in psicoterapia psicodinamica, la cui preziosa
ricerca lo condusse a sottolineare il ruolo dei seguenti 6 aspetti (ciascuno correla positivamente con
il risultato e, predice una percentuale delle misurazioni):
1. l’alleanza terapeutica, fin dalle prime sedute, ad alto valore prognostico (la sua correlazione è la
più alta tra tutte le variabili considerate);
2. la comprensione e formulazione del CCRT da parte del terapeuta;
3. l’accuratezza delle interpretazioni rispetto al CCRT;
4. la comprensione di sè o insight da parte del pazinte;
5. l’elaborazione della interiorizzazione dei risultati raggiungi, affinchè questi permangono dopo la
fine della terapia;
6. la scala salute-malattia: più essa è alta all’inizio della terapia maggiori saranno i risultati.
Nel complesso, in questa terza fase la ricerca in psicoterapia si è consolidata, con molti gruppi di
lavoro in vari paesi. Bautler & Crago (1991) in un lavoro pubblicato dall’APA, hanno individuato 4
criteri per identificare un gruppo di lavoro sulla ricerca in psicoterapia:
L’esistenza di una struttura organizzata che coordini la ricerca all’interno di una istituzione;
1. Un minimo di 3 ricercatori laureati impegnati a tempo pieno nel progetto di ricerca;
2. Un precedente lavoro di ricerca di almeno 5 anni dimostrabile anche da pubblicazioni su
3. riviste scientifiche qualificate;
Un esplicito impegno di continuare il finanziamento delle ricerche da parte dell’istituzione
4. che ospita il gruppo di lavoro.
Successivamente si è deciso di individuare anche quei gruppi che soddisfacevano solo 3 criteri su 4,
i primi sono stati definiti gruppi a larga scala, i secondi gruppi a scala ridotta. Sulla base di queste
criteri, attualmente, sono presenti 40 gruppi di ricerca.
Panorama dei risultati emersi dalle ricerche
Riguardo alle correlazioni processo/risultato, Orlinsky, Grawe & Parks (1994), distillando 2.354
reperti prodotti in più di 40 anni di studi, hanno elencato 11 variabile del processo che correlano in
modo robusto ad un risultato positivo della psicoterapia:
La scelta di un paziente adatto a quella determinata tecnica;
1. La collaborazione del paziente anziché la sua resistenza al cambiamento;
2. Legame terapeutico (o coesione nella terapia di gruppo);
3. Il contributo del paziente al legame terapeutico;
4. Collaborazione interattiva del paziente anziché dipendenza o controllo nei confronti del
5. terapeuta;
Espressività del paziente;
6. Apprezzamento del terapeuta da parte del paziente;
7. 3
Apprezzamento reciproco;
8. Capacità di aprirsi del paziente anziché difensività nei confronti del terapeuta;
9. Capacita di riconoscere in seduta i progressi fatti;
10. Maggiore è la durata della terapia, maggiore è il risultato.
11.
Riguardo alla valutazione delle terapie dinamiche e al loro paragone con le terapie non dinamiche,
disponiamo soprattutto di dati per le terapie brevi. Sono state fatte recentemente 3 importanti review
meta-analitiche sull’efficacia delle terapie brevi, ma anche qui non si è riusciti a dimostrare una
significativa differenza nel risultato delle terapie analitiche rispetto alle altre terapie. Nella review di
Luborsky et al. (1993a) vengono tratte le seguenti conclusioni:
Il trend principale è una differenza non significativa tra le varie terapie, quindi viene
1. confermato il verdetto di Dodo;
Un’alta percentuale di pazienti migliora in tutte le terapie;
2. La differenza tra diverse psicoterapie invece diventa significativa quando si paragona una
3. qualunque psicoterapia con i farmaci, con terapie combinate (psicoterapia sommata a
farmaci) che sono sempre superiori,o con terapie di controllo (terapia minima o assente);
L’efficacia è visibile solo per particolari tipi di terapia con particolari tipi di pazienti (es. i
4. sintomi psicosomatici migliorano più con psicoterapia combinata a terapia medica che solo
con terapia medica; fobie lievi migliorano con terapie comportamentali, ecc.).
Per riguarda i risultati complessivi della ricerca, è possibile riassumere in 10 punti le principali
conquiste della ricerca:
La dimostrazione che gli effetti della psicoterapia in generale superano quelli della
1. remissione spontanea;
La dimostrazione che gli effetti della psicoterapia in generale sono positivi;
2. La dimostrazione che gli effetti della psicoterapia in generale superano quelli dei gruppi di
3. controllo trattati con placebo;
Una modificazione della definizione di placebo per le ricerche in psicoterapia, divenuta più
4. precisa e appropriata;
La dimostrazione che i risultati della psicoterapia, anche in campioni omogenei, variano più
5. a causa delle variabili legate alla persona del terapeuta che alle tecniche usate;
La dimostrazione che esiste una relativa equivalenza nei risultati per un vasto numero di
6. terapie, indipendentemente dalla loro durata e dalle tecniche impiegate;
La dimostrazione di alcune terapie specifiche per alcuni disturbi specifici;
7. La dimostrazione del ruolo interattivo e sinergico degli psicofarmaci e della psicoterapia;
8. La dimostrazione dell’importanza centrale del rapporto paziente-terapeuta nel predire e
9. possibilmente causare modificazioni di personalità;
La documentazione dei possibili effetti negativi della psicoterapia e lo studio dei processi
10. che portano al deterioramento del paziente.
Concludendo, si può dire che sulla base di questi dati il fatto che le varie psicoterapie producano
effetti simili sia nella migliore delle ipotesi prematura e, che occorrono ancora molti anni e
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molte ricerche, per stabilire una corretta valutazione del risultato e del processo della
psicoterapia. Cap.4: La valutazione della psicoterapia: ripensare i metodi
I confronti “tra i gruppi” e nei gruppi. Problemi metodologici e statistici
L’uso di disegni basati sul confronto pre/post tra gruppi (soggetti trattati vs soggetti non trattati),
spesso presentato come unico modo per dare legittimità scientifica alla ricerca sulla
psicoterapia, pone il problema della equivalenza dei gruppi e del controllo. Un gruppo di
controllo si caratterizza per il fatto che i soggetti sono selezionati in modo da essere comparabili
a quelli del gruppo sperimentale rispetto a tutte le variabile di rilievo, eccetto che per quelle
riguardanti il trattamento. L’equivalenza può essere garantita o mediante assegnazione casuale o
con il metodo dell’appaiamento uno ad uno dei soggetti assegnati ai 2 gruppi (matching).
Ovviamente queste condizioni non si verificano quasi mai in psicoterapia dato che i gruppi di
soggetti in trattamento sono pre-costituiti e non definiti dal ricercatore e, difficilmente si
possono trovare gruppi equivalenti, dato che le variabili dei soggetti, del setting, del contesto,
ecc. sono troppo peculiari per poter essere completamente pareggiate in altri gruppi. In aggiunta,
l’esiguità numerica dei campioni non consente di annullare probabilisticamente le variabili di
disturbo; poco attendibili sono anche i gruppi di controllo composti da pazienti con le stesse
caratteristiche ma in lista d’attesa o da gruppi in trattamento placebo. Lasciare in lista d’attesa
gruppi di potenziali pazienti per tutto il tempo necessario a fungere da controllo è criticabile per
ragioni etiche e pratiche. Sul piano pratico perché i pazienti in lista d’attesa dovrebbero essere
deliberatamente selezionati in modo che le loro caratteristiche corrispondano a quelle dei
soggetti in terapia; se si utilizzassero pazienti in attesa nell’ordine in cui si presentano, si
correrebbe il rischio di avere gruppi di confronto del tutto eterogenei e quindi inutili come
controlli; l’assessment di ciascun soggetto di controllo dovrebbe avvenire in tempi
perfettamente paralleli a quelli del corrispondente soggetto trattamento (cosa non facile) e
prolungato anche per il follow-up del gruppo sperimentale, cosa che aumenterebbe i tempi di
attesa; infine, va considerato che per alcuni soggetti, l’essere sottoposti a valutazione in attesa
della terapia, provoca di per sé dei cambiamenti. Sul pieno etico si intuisce che lasciare i
soggetti in uno stato di sofferenza ai soli fini della ricerca sia scorretto. Nel caso del gruppo di
controllo placebo i soggetti vengono sottoposti ad un trattamento non specifico (es. discussioni
generiche sui problemi psicologici) per un periodo analogo e per un numero di sedute uguale a
quelle del gruppo sperimentale. Condizione essenziale per la confrontabilità è che questi
soggetti vengano indotti a credere di essere realmente in terapia. Anche in questo caso si
pongono problemi etici non indifferenti, legati al far credere ad una persona sofferente di essere
in terapia senza che lo sia realmente. Sul piano metodologico, il fatto di sentirsi oggetto di
attenzione da parte di operatori competenti può comportare delle modificazioni non prevedibili
né controllabili. In alternativa al confronto tra gruppi vengono spesso utilizzati disegni
longitudinali che prevedono confronti pre/post all’interno dello stesso gruppo di soggetti,
assumendo come variabile di controllo il fattore “tempo”. Fulcro del disegno sperimentale è la
valutazione statistico-probabilistica dell’incremento medio ottenuto nel gruppo sottoposto a
trattamento. Se questo incremento viene confrontato con quello ottenuto in un gruppo di
controllo si presentano i problemi già discussi, se i ricercatori si limitano a valutare la
significatività del cambiamento all’interno del gruppo sottoposto a trattamento, l’analisi diventa
scarsamente attendibile in presenza di elevata correlazione negativa tra gli incrementi e i
punteggi al pre-test.
I disegni a “base-line”
Ulteriore alternativa in prospettiva di ricerca longitudinale, che prescinde dall’uso di gruppi e
può analizzare singoli casi, è il disegno base-line, singolo o multiplo. In esso si tiene conto delle
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diverse fasi in cui si articola il trattamento, a partire da una fase di osservazione senza
trattamento (denominata “linea di base”), per proseguire con le fasi in cui uno o più trattamenti
si alternano a periodici base-line, fino al follow-up a distanza che da testimonianza della
stabilizzazione dei risultati ottenuti. Anche questo modello in cui il soggetto funge da controllo
a se stesso nella dimensione temporale, comporta problemi metodologici, anzitutto, perché ogni
disegno longitudinale prevede l’esame di poche variabili e ciò lo rende poco adatto alla
psicoterapia data la complessità del suo oggetto di studio;altra difficoltà consiste nell’esigenza
di un numero adeguato di misurazioni frequentemente ripetute e conseguentemente il reperire
strumenti diversi dai consueti test psicometrici inadatti a queste frequenti misurazioni. Infine,
esiste il problema della generalizzabilità dei risultati, sempre difficile a partire da pochi o singoli
casi.
La meta-analisi come strategia di ricerca
La meta-analisi si propone di realizzare una sintesi cumulativa, su basi quantitative, dei risultati
di ricerche sullo stesso argomento. Va anzitutto scelto e circoscritto adeguatamente l’effetto
principale da studiare, poi si procede col scegliere e reperire gli studi che lo rappresentano
adeguatamente e decidere la metrica comune alla quale vanno ricondotti i risultati di tutti gli
studi considerati e sulla base della quale verrà condotta la sintesi quantitativa. Anche in questo
caso possono verificarsi limiti e difficoltà: eccesive differenze metodologiche e di “validità” fra
gli studi considerati e scarsa reperibilità degli studi necessari affinché i sottogruppi finalizzati
alle analisi dei moderatori (fattori che spiegano la variabilità) siano sufficientemente numerosi.
Prospettive metodologiche per la ricerca sulla psicoterapia
Le difficoltà metodologiche fin qui presentate hanno condotto a riflettere su differenti modi di
applicare i tradizionali metodi sperimentali nella ricerca sulla psicoterapia:
L’inadeguatezza di attuare il controllo metodologico mediante gruppi contrapposti sulla cui
- effettiva equivalenza e confrontabilità resterebbero comunque forti dubbi;
La rivalutazione della ricerca fondata sui casi singoli;
- La considerazione de disegni di tipo longitudinale e delle relative tecniche di analisi dei dati,
- integrando al tradizionale valutazione pre-post con modelli che tengono conto di una serie di
momenti di assessment;
L’uso, per questi assessment ripetuti, di strumenti e griglie appositamente costruiti,
- riservando i consueti test psicometrici alle valutazioni prima/dopo/follw-up;
L’assicurarsi della complessificazione delle variabili e della generalizzabilità dei risultati,
- ottenuti a partire da singoli casi, mediante strategie di replicazione sistematica e di
cumulazione meta-analitica.
Cap.5: Come valutare la terapia familiare? Una proposta teorica metodologica
Dallo sviluppo della ricerca ai problemi aperti
Negli ultimi 5 anni si è assistito ad un consistente sviluppo del numero di ricerche orientate a
valutare l’efficacia e l’efficienza della terapia familiare. Ciò ha permesso di rilevare le aree
critiche di maggior interesse che possono essere ricondotte a 2 grandi categorie: la ricerca sugli
esiti e la ricerca sul processo delle terapie familiari. Le ricerche sugli esisti hanno seguito
essenzialmente 2 direttrici, da un lato, si è cercato di mettere a fuoco la comparazione tra i
diversi modelli di terapia familiare, dall’altro l’attenzione è stata posta sulla specificità del
problema trattato. Gli studi valutativi concentrati sulla comparazione tra i diversi modelli
terapeutici hanno evidenziato l’inutilità di perseguire una comparazione in senso stretto tra i
diversi modelli terapeutici quanto piuttosto la necessità di verificare quale siano gli ambiti di
applicabilità di ogni specifico trattamento. Tutte le meta-analisi riportano al momento che è
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impossibile affermare la superiorità di una specifica forma di terapia familiare rispetto alle altre,
l’unico trend che emerge in questo senso è che nell’ambito del trattamento dei gravi disturbi di
personalità gli approcci combinati (es. trattamento familiare + farmacologico) sembrano
conseguire nel breve periodo risultati più consistenti. A loro volta, gli studi follow-up riportano
una maggiore efficacia dei trattamenti familiari rispetto a quelli individuali nell’ambito di
diverse patologie o disturbi del comportamento quali: adulti schizofrenici, adulti alcolisti,
giovani tossicodipendenti, anoressie in adolescenza, ecc. Si sono riscontrati comunque difficoltà
e limiti metodologici: se gli studi di follow-up tendono a semplificare eccessivamente l’oggetto
d’indagine, gli studi sui modelli d’intervento tendono a produrre strategie d’indagine
estremamente complesse, articolate attorno a set di variabili tra loro interdipendenti e quindi
difficilmente manipolabili secondo una logica sperimentale. La ricerca sul processo si avvale di
scale osservative e di strumenti self-report, strumenti in genere nuovi, costruiti ad hoc. Vale la
pena di menzionare i tentativi più significativi che si propongono di mettere a tema la relazione
tra il processo ed i risultati. Essi si avvalgono di 2 strategie, da un lato si propongono disegni di
ricerca quasi-sperimentali, applicando l’analisi processuale a 2 gruppi di famiglie che,
sottoposte al medesimo trattamento, abbiano riportato risultati contraddittori; la seconda
modalità è volta allo studio dettagliato e sistematico di un singolo trattamento nella sua
completa successione diacronica.
La cornice epistemologica della ricerca
La seguente ricerca vede coinvolti il Centro Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università
Cattolica di Milano e l’Istituto di Psicoterapia Relazionale di Napoli. Il presupposto che guida la
ricerca psicosociale e clinica del Centro Studi è che occupandosi di famiglia occorra far
emergere le caratteristiche relazionali della medesima, afferrabili se si studiano le dimensioni
dei legami e della spazio-temporalità. I legami possono essere indagati sia in riferimento ai
singoli membri familiari tramite self-report, sia nelle interazioni diadiche tramite griglie
osservative, sia nell’interazione gruppale tramite sempre griglie di osservazione. Per quanto
riguarda la dimensione spazio-temporale, bisogna intenderla come un’unica dimensione, ossia
che esistono modalità specifiche di articolare il tempo e lo spazio sia da parte dei singoli e sia da
parte della famiglia. Essa è afferrabile tramite compiti congiunti, ad esempio, il caso del
Disegno Simbolico dello Spazio di Vita Familiare e del TAT congiunto. L’Istituto di Psicoterapia
Relazionale parte del presupposto dell’esistenza di un isomorfismo tra il dinamismo
intrapsichico dell’individuo ed il funzionamento dei sistemi relazionali. Ai 3 sotto-sistemi
intrapsichici dominanti (motorio-istintuale, emozionale e cognitivo) corrisponderebbero i 3
sottosistemi relazionali del gruppo dei pari, della famiglia e del gruppo degli adulti. I
sottosistemi operano in parallelo ma è la sincronia- armonia a rappresentare la funzionalità e la
salute mentale. La patologia è significativa dell’immobilità della persona in un sistema
relazionale, sia esso familiare, dei pari o degli adulti, così come dell’immobilità in un sistema
intrapsichico. Obiettivo condiviso della ricerca è quello di centrare l’attenzione su una fase
comunemente riconosciuta cruciale dalla letteratura sulla valutazione terapeutica, quella
diagnostica e di istituzione del contatto tra famiglia e terapeuti. La focalizzazione sull’esordio
del percorso terapeutico permette di:
Differenziare le famiglie in base alle modalità con cui i suoi membri fanno fronte alla
- “rottura dell’equilibrio” rappresentato dalla grave sintomatologia di un suo membro
adolescente o giovane-adulto;
Osservare ed analizzare le modalità tramite le quali si struttura l’incontro tra organizzazione
- familiare ed organizzazione di cura.
Il campione è costituito da un gruppo di famiglie che in un periodo prefissato dell’anno si
rivolgono all’Istituto di Psicoterapia Relazionale. È privilegiato il criterio casuale non essendo
scopo della ricerca quello di fare confronti tra forme patologiche, né di porre a confronto tra
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loro vari tipi d’intervento, piuttosto quello di analizzare il processo con particolare riferimento
all’incontro tra le 2 organizzazioni. Le domande a cui si attende risposta sono: 1) quali
indicatori, sia relativi allo scambio tra le generazioni, sia all’incontro con i terapeuti, informano
sulla praticabilità-utilità del percorso terapeutico? Ci sono nessi tra loro? Quali? 2) gli indicatori
individuati sono in grado di offrire informazioni circa la forma elettiva del percorso terapeutico
qualora esso risultasse praticabile? La ricerca prende in analisi le prime 3 sedute dell’intervento
familiare, al loro interno vengono proposti ed applicati strumenti che considerano:
Dati individuali: scala QAI per la valutazione dell’adattamento interpersonale; scala PASS
- per valutare il supporto familiare;
Dati gruppali: racconto congiunto dei familiari a 3 tavole del TAT, Disegno Simbolico dello
- Spazio di Vita Familiare;
Dati interattivi: videoregistrazione integrale delle 3 sedute, seguita dall’analisi diagnostica
- effettuata dai terapeuti per individuare il sottosistema dominante, e dall’analisi dello
scambio dialogico messa a punto dai ricercatori del Centro Studi.
Questo modello di ricerca valutativa comprende sia la messa in comune tra ricercatori e
terapeuti della cornice epistemologica e metodologica, sia l’individuazione di strumenti reputati
come coerenti rispettivamente dai terapeuti e dai ricercatori rispetto alla medesima cornice e
agli obiettivi di ricerca.
Cap.6: L’indagine sul processo della terapia psicoanalitica: per uno studio critico dei
metodi di ricerca
La ricerca empirica nella clinica psicoanalitica: cenni storici
Nella storia della ricerca clinica in psicoanalisi occorre, anzitutto, distinguere 2 obiettivi
principali tra loro interconnessi: la verifica empirica delle ipotesi psicoanalitiche che fondano
una teoria generale del funzionamento psichico, dello sviluppo e della psicopatologia, e la
validazione dell’efficacia della psicoanalisi come metodo di cura psicologica. Il primo obiettivo
ha assunto nel tempo una sempre maggiore complessità grazie al riconoscimento della
molteplicità dei modelli teorici che concorrono a sostenere l’approccio psicoterapeutico, nonché
della difficoltà di individuare connessioni dirette fra la teoria generale e i postulati della teoria
clinica, e appare oggi piuttosto spostato sulla ricerca di convalide extra-cliniche nella aree
limitrofe delle ricerca empirica (quali psicologia dello sviluppo, epidemiologia, ecc.). Il secondo
obiettivo è stato in qualche modo perseguitato dalla disciplina attraverso lo sviluppo del
dibattito sulla teoria delle tecnica psicoanalitica, nel tentativo di rispondere ad una serie di
quesiti: quali obiettivi si propone la psicoterapia psicoanalitica? Quali fattori correlano con
quegli obiettivi? Quali caratteristiche tecniche del lavoro analitico producono più facilmente e
più coerentemente quei determinati fattori terapeutici? Un impulso sociale alle ricerche sui
risultati delle psicoterapie vanne dato fra gli anni 50-60 dell’OMS, che seppur rivolte a
dimostrare l’utilità dell’integrazione di un approccio psicodinamico con l’intervento psichiatrico
tradizionale, appaiono oggi significativi precursori degli sul processo poiché tentarono le prime
operazionalizzazioni della diagnosi psicodinamica. Tra gli anni 80-90, gli studi comparati,
hanno dimostrato l’efficacia della psicoterapia psicodinamica accanto ad altre forme di
psicoterapia ma non ne hanno attestato la presunta superiorità.
Alcuni problemi metodologi della ricerca sul processo
Il requisito fondamentale perché una ricerca sul processo sia utilizzabile anche in termini di
validazione della psicoterapia è stato espresso dai ricercatori dell’Università di Vanderbilt nei
termini del “principio di congruenza P-T-O”, la cui definizione è: “l’intellegibilità di una ricerca
sulla psicoterapia è una funzione della similarità, dell’isomorfismo e della congruenza tra il
modo in cui concettualizziamo e misuriamo il problema clinico (P), i processi del cambiamento
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terapeutico (T) e il risultato clinico (O). Sulla base di ciò un’impostazione metodologicamente
corretta della ricerca sul processo richiede: la formulazione del caso ossia la definizione del
problema clinico in termini di disadattamento o di malfunzionamento del paziente, la
formulazione di un modello di cambiamento in termini di prognosi o aspettative rispetto agli
esiti della psicoterapia, la formulazione di ipotesi teoriche che spieghino il funzionamento della
terapia. I modelli di ricerca finora elaborati hanno centrato l’attenzione sui primi 2 passaggi,
privilegiando l’indagine di una definizione “tematica” del problema del paziente, oppure
l’indagine delle strutture comunicative e delle loro variazioni, o infine un tentativo di combinare
le 2 modalità d’indagine. Per quanto riguarda il terzo passaggio che richiede uno studio micro-
analitico delle interazioni verbali e non-verbali tra paziente e analista, non si dispone ancora di
una metodologia appropriata. In termini psicodinamici, la ricerca sul processo esige
un’osservazione sistematica della situazione analitica e l’operazionalizzazione di concetti clinici
quali in transfert, il controtransfert, l’interpretazione e le narrative del paziente. Il problema
metodologico centrale appare quello di conciliare il rigore necessario al ricercatore per
organizzare una ricerca sistematica che consenta una corretta quantificazione dei dati con la
fluidità delle osservazioni nella situazione analitica. A ciò si aggiungono i problemi relativi alla
natura dei dati osservabili nella psicoterapia dinamica, che per la maggior parte sono definibili
come narrative o resoconti verbali: le narrative non esprimono direttamente ciò che le persone
fanno o il modo in cui si rapportano agli altri, sono sensibili al contesto e vengono
continuamente negoziate con l’interlocutore.
Una ricerca empirica in corso
Questa ricerca sta esplorando la possibilità di integrare l’uso del CCRT con la misurazione
dell’attività referenziale, nella direzione di un’elaborazione metodologica che consenta di
monitorare lo sviluppo del processo lungo dimensioni differenti: i contenuti tematici delle
narrative del paziente e le variazioni nello stile comunicativo come fluttuazioni nelle
connessioni referenziali. Il campione è composto da un totale di 39 sedute audio- registrate e
trascritte, provenienti dalla fase iniziale della psicoterapia di 14 pazienti, di cui 7 casi
presentavano disturbi di personalità, 2 disturbi di adattamento, 2 disturbi del comportamento
sessuale, 2 agorafobia, 1 disturbo d’ansia. Per 11 pazienti sono state considerate le prime 3
sedute, con l’obiettivo di utilizzare il CCRT per una formulazione diagnostica del caso in
termini di modello relazionale prevalente; negli altri 3 casi il CCRT è stato determinato solo su
2 sedute, la terza e la quinta, secondo le indicazioni di Luborsky. I primi risultati di questa
ricerca tendono a confermare sia una soddisfacente attendibilità del metodo come strumento di
ricerca empirica, sia la possibilità di utilizzare il CCRT come guida alla formulazione clinica dei
problemi presentati dai pazienti psicoterapia.
Cap.7: Il metodo di ricerca del laboratorio di Milano e Padova
Dopo 3 anni di lavoro, il laboratorio di Milano e Padova presenta alcune conclusioni
concernenti la loro ricerca metodologica sull’analisi linguistica del testo di sedute di
psicoterapia. L’analisi linguistica del testo prevede 4 stadi:
Scelta di elementi del testo secondo una teoria o un’ipotesi;
1. Raccolta dei dati: somma di elementi rilevabili oggettivamente, somma di elementi sui quali
2. concordano giudici indipendenti;
Analisi dei dati;
3. Dimostrazione o confutazione della teoria o ipotesi.
4. 9
La ricerca può essere longitudinale o trasversale, ossia si possono confrontare elementi nella stessa
seduta oppure verificare l’evolversi dei dati d’interesse. Prendendo in considerazione le ricerche già
fatte, il laboratorio farà riferimento alla classica distinzione tra analisi formale grammaticale e dei
sostantivi; sono state effettuate diversi tipi di ricerca: outcome research; process research;
dinamiche di gruppo.
Analisi formale
Dal 1995 il gruppo di Milano e Padova ha considerato i makers “PPV, PPT, RDI” come misure
preliminari da applicare a qualsiasi testo. Il loro utilizzo consente di confrontare la produzione
verbale di:
Terapeuti/sottogruppo 1/sottogruppo 2 che partecipano ad una supervisione
- Marito e moglie in una terapia familiare
- Il terapeuta vs la famiglia
- Il terapeuta vs il gruppo di genitori psicotici
- Membro del gruppo/membro del gruppo/terapeuta
- Terapeuta vs gruppo psicotici
- Terapeuta vs gruppo gestanti
- Sottogruppo puerpere vs gruppo partorienti
- Terapeuta vs gruppo giovani delinquenti
- Maschi vs femmine in 11 role-playing
-
Questi makers sono utili per studiare le dinamiche di gruppo relativi allo spazio/potere di singoli
membri o sottogruppi. Inoltre, insieme ad altri indici, essi aiutano a definire lo stile terapeutico
sul versante direttività/non direttività. Insieme allo stile del terapeuta, la Risposta del Gruppo è
un elemento fondamentale della process research che applicato assieme al maker Percentuale di
Interventi del Terapeuta per Tipo, dà una misura abbastanza attendibile dell’efficacia di un certo
stile terapeutico. La Direzione del Discorso è un indicatore che evidenzia “chi si rivolge a chi”,
il cui studio appare come un modo oggettivo per costruire un sociogramma del gruppo e rilevare
le dinamiche del gruppo. I silenzi possono essere di 3 tipi: stare zitti, esprimere reticenza,
cessare di parlare, e all’interno di un gruppo indicano una difficoltà o una forte emozione. Le
risate possono esprimere il desiderio del gruppo di allentare la tensione, o segno d’intesa o
indice di una fase più leggera e ludica del gruppo. L’incoerenza sintattica sembra un modo per
attirare l’attenzione, sottolineando una frase. La ridondanza delle parole indica il desiderio del
locutore di esprimere dei concetti specifici su cui vuole essere ascoltato. Anche i marcatori
pragmatici, proposti dalla linguistica, acquistano maggiore interesse se ridondanti o inattesi.
Ginaldi evidenzia come la congiunzione avversativa “ma” è più volte utilizzata dal terapeuta per
introdurre un nuovo argomento e portare il gruppo verso un cambiamento tematico; le molte
frasi che iniziano con un “ma” indicano il desiderio, da parte dei membri del gruppo, sia di
mettere in discussione la libertà di un partecipante, sia di differenziarsi dai vincoli di un altro
partecipante. Le fasi del gruppo scandite dal marcatore “anch’io” indicano l’emergere della
gruppalità. Il “no” può essere usato sia per negare sia per ottenere consenso. Il dialetto viene
usato per esprime contenuti affettivi particolarmente importanti, per creare vicinanza, o per
differenziarsi da chi non sa parlarlo.
Analisi grammaticale
L’analisi grammaticale si focalizza sulle strutture portanti della frase: il soggetto e il verbo.
Nelle relazioni duali (terapeuta-paziente), lo psicoanalista privilegia l’uso dell’io rispetto a tutti
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