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3. LA COMUNICAZIONE NON VERBALE
Il linguaggio si presenta come un’ulteriore possibilità che va ad aggiungersi alle forma non
verbali, nell’essere umano la comunicazione non verbale è indispensabile per esprimere
emozioni e sentimenti.
È certamente Charles Darwin il primo ad esprimere un reale interesse per la
comunicazione non verbale, afferma che le espressioni facciali delle emozioni, che
individua sia nell’uomo che negli animali, abbiano una valenza adattiva e siano esito
dell’evoluzione e ritiene che i pattern comportamentali, caratterizzanti le diverse emozioni,
sono riconducibili non solo ad aspetti fisiologici, ma anche relazionali, connessi alle
dinamiche sociali, la sua tesi evidenzia l’universalità delle emozioni di base (e delle
relative espressioni facciali).
La prospettiva culturalista antropologica si è occupata principalmente della comunicazione
non verbale, interpretando le diversità secondo un’ottica culturale, osservabili nelle diverse
etnie.
Uno dei primi studi svolti è stato quello cross-culturale di David Efron, che ha analizzato
le differenze nell’uso della comunicazione non verbale tra gli appartenenti alle comunità di
Italiani e di Ebrei immigrati in America.
Scopo della ricerca era dimostrare l’ipotesi secondo la quale questi gesticolassero di più
rispetto ai Nordamericani, i risultati mostrarono che i comportamenti non verbali fossero
condizionate in larga parte da fattori culturali e non biologici.
Bonaiuto e Maricchiolo, concordano nel riconoscere alla comunicazione non verbale una
funzione determinante nell’orientare le interazioni sociali e interpersonali.
Nella comunicazione non verbale rientrano anche quegli aspetti vocali, indipendenti dal
linguaggio effettivo, come ad esempio: il tono, l’intensità, il ritmo, il volume, le esitazioni e i
silenzi.
Anolli propone la distinzione tra i segnali vocali verbali (paralinguistici) e quelli vocali non
verbali (extralinguistici).
I segnali vocali verbali hanno un carattere momentaneo e sono connessi sia
all’esposizione linguistica, sia all’ambiente circostante e sono determinati da tre fattori:
- Il tono, costituito dalla frequenza della voce
- L’intensità, che si riferisce al volume con il quale si pronunciano le frasi
- Il tempo, dato dalla velocità di successione delle sillabe o dalla durata delle pause
inserite nel discorso
Nell’ambito dell’interazione comunicativa, le pause assumono una valenza non verbale di
tipo strategico:
- Le pause piene, dette anche non silenti sono funzionali ad organizzare il discorso
- Le pause vuote, dette anche silenti sono parte integrante di molte interazioni sociali
e possono influenzare la comunicazione
A questo proposito Watzlawick, con il primo assioma, non si può non comunicare,
sottolinea come anche il silenzio possa assumere un importante valore comunicativo nella
relazione interpersonale.
Lo studio dell’insieme dei movimenti corporei implicati nella comunicazione è denominato
cinesica, anche se per la comunicazione non verbale può essere usata qualsiasi parte del
corpo, gli studiosi si sono concentrati sui movimenti del volto (mimica facciale), degli occhi
(lo sguardo), delle mani e delle braccia (i gesti).
Il volto, con le espressioni che può assumere, rappresenta il canale principale attraverso il
quale gli individui rivelano la propria esperienza soggettiva e manifestano gli stati emotivi.
Lo studio scientifico del volto e delle espressioni facciali delle emozioni è iniziato con
Charles Darwin.
Paul Ekman, consapevole che il viso sia la parte più espressiva del corpo umano, capace
di esprimere tutta la gamma di emozioni, è divenuto uno dei maggiori studiosi del
riconoscimento delle espressioni facciali coinvolte nelle emozioni.
Per verificare la sua ipotesi sull’universalità delle espressioni emotive ha svolto numerose
ricerche in varie popolazioni, la procedura sperimentale utilizzata prevedeva che a
persone appartenenti a culture che non avevano avuto alcun tipo di contatto con
popolazioni bianche, venivano mostrate foto di adulti e bambini in cui erano ritratte le
espressioni facciali delle emozioni di base: rabbia, paura, disgusti/disprezzo, gioia,
sorpresa e tristezza, la valutazione degli individui appartenenti a popolazioni primitive, da
parte di studenti americani è risultata simile a quella data dagli appartenenti alle tribù
stesse.
Ekman e Friesen postulano, quindi, l’esistenza di particolari programmi neuromuscolari
che amministrerebbero i movimenti facciali convolti nelle emozioni, questo dimostrerebbe
l’universalità delle espressioni facciali e costituisce il fondamento della teoria
neuroculturale, secondo la quale, il programma del viso è lo stesso per tutte le persone, in
tutte le culture e quindi ognuno esprime le emozioni allo stesso modo in contesti non
sociali, tuttavia in contesti sociali, la gente può utilizzare processi cognitivi di elaborazione
per tentare di modificare l’espressione spontanea delle emozioni.
Queste strategie vengono definite da Ekman le regole di esibizione e sono influenzate
dalle convenzioni culturali, distingue cinque possibili modalità, attraverso le quali le regole
di esibizione possono influenzare il comportamento facciale connesso alle emozioni:
- L’ inibizione, non esprimere nessuna emozione, in realtà se ne sta provando una
- L’intensificazione, cercare di enfatizzare un’emozione
- L’attenuazione, soffocare un’emozione, far credere che sia meno intensa
- Il mascheramento, mostrare un emozione diversa da quella provata
Secondo Ekman, questa manipolazione volontaria di tipo cognitivo, non può comunque
inibire o alterare le emozioni realmente provate, le quali emergono inconsapevolmente
sotto forma di microespressioni.
Si deve a Ekman e Friesen la messa a punto di uno strumento, il FACS, Facial Action
Coding System, deputato al riconoscimento delle emozioni altrui, questo strumento
codifica le componenti anatomiche coinvolte nelle espressioni facciali e permette di
osservare tutti i movimenti implicati.
Tra le molteplici configurazioni espressive che il volto umano può assumere, il sorriso
rappresenta l’espressione con valenza comunicativa più esplicita e interpretabile, in
generale il sorriso, nella comunicazione non verbale, svolge l’importate compito di
promuovere, agevolare e preservare le interazioni relazionali all’interno del gruppo.
Anche lo sguardo svolge un ruolo importante nelle dinamiche relazionali, nel corso della
conversazione lo sguardo e le sue informazioni trasmettono alcune informazioni
fondamentali, è anche un mezzo per veicolare l’immagine di se che si vuole proporre, una
componente rilevante è legata alla dilatazione delle pupille, Hess ha dimostrato che questi
cambiamenti possono essere determinati anche dal grado di attivazione neurofisiologica
(arousal) , altri studi hanno evidenziato che le pupille si dilatano anche in situazioni in cui
vi è un’attivazione di tipo sessuale.
I gesti spontanei che le persone producono mentre parlano sono stati oggetto di numerosi
studi.
Ekman e Friesen distinguono cinque tipologie di gesti:
- I gesti emblematici, azioni messe in atto volontariamente che hanno un significato
specifico.
- I gesti illustratori, accompagnano e scandiscono il discorso mentre viene
pronunciato.
- I gesti regolatori, movimenti oculari, cenni della testa, alcune posture.
- I gesti di adattamento, tutti quei movimenti inconsapevoli volti a soddisfare i propri
bisogni o aumentare il livello di benessere e che non sono finalizzati a trasmettere
un messaggio specifico, se ne distinguono tre tipi: autoadattori (rivolti a se stessi)
eteroadattatori (rivolti all’interlocutore) i gesti rivolti verso oggetti (giocare con
l’anello)
- I gesti che esprimono le emozioni, rappresentati in gran parte dalla mimica facciale,
ma anche dai movimenti delle mani e del corpo, hanno la capacità di trasmettere
emozioni e stati d’animo.
La prossemica è quella branca della psicologia che indaga gli aspetti non verbali relativi al
modo in cui gli individui collocano il loro corpo nello spazio, il primo ad occuparsi di questo
è stato l’antropologo Hall, che ha gettato le basi per lo studio nell’ambito umano dello
spazio fisico, associandolo al concetto di territorio.
Anche l’uomo ha la sua territorialità: il territorio rappresenta quella parte dell’ambiente che
viene percepita come propria e che nella interazione comunicativa non verbale assume
una valenza psicologica.
Hall differenzia la zona privata dell’individuo, rappresentata dal territorio domestico, da
quella condivisa con il gruppo, che è definita territorio pubblico, ha inoltre considerato lo
spazio fisico che divide due individui come un indicatore della lontananza comunicativa fra
le persone e come indice psicosociale.
Le tipologie di distanza interpersonale che Hall ha descritto sono quattro:
- La distanza intima (da 0 a 50cm), tipica dei rapporti stretti e intimi
- La distanza personale (da 50 a 120cm), caratteristica delle relazioni amicali
- La distanza sociale (da 1 a 3,5-4 mt), propria delle relazioni formali
- La distanza pubblica (oltre i 4 mt), tipica delle circostanze pubbliche
L’aptica riguarda le azioni di contatto fisico verso le altre persone, la ricerca del contatto
fisico costituisce un’esigenza innata, legata non solo alla soddisfazione dei bisogni
fisiologici, ma anche emotivi.
È possibile stabilire un contatto fisico con un’altra persona in modi diversi, ciascuna
modalità esprime un gradi diverso di intimità, esistono poi alcune zone del corpo
considerate non vulnerabili che possono essere toccate anche da persone che non si
conoscono intimamente, altre invece vulnerabili, il cui accesso è riservato solo a persone
intime o a specialisti.
Al contatto corporeo sono associate anche le relazioni di potere, chi detiene il potere o la
leadership, può prendere più spesso l’iniziativa di toccare i suoi sottoposti.
La cronemica, si occupa di approfondire le caratteristiche del tempo in quanto elemento
sociale e di come viene percepito dai singoli individui nelle dinamiche interpersonali
quotidiane.
L’appartenenza ad una specifica cultura determina effetti diretti sul ritmo in cui gli individui
interagiscono tra loro.
Nell’ambito della comunicazione non verbale la cronemica approfondisce i processi relativi
alla percezione, all’organizzazione e all’uso del tempo soggettivo e analizza all’interno
degli scambi comunicativi pause, ritmo e alternanza dei turni.
La comunicazione non verbale assume un ruolo particolare nella valutazione dell’inganno,
diversi studi hanno dimostrato come la tendenza a mentire