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Secondo lo psicologo clinico Julian Rotter, gli interni tendono a fare attribuzioni
interne, ritenendo che il nostro destino dipenda in gran parte da noi; le cose
accadono perché le facciamo accadere. Gli esterni tendono a fare attribuzioni
esterne, ritenendo che abbiamo poco controllo su ciò che ci accade; le cose
semplicemente accadono per caso, fortuna, oppure per le azioni di agenti esterni.
Per spiegare come le persone inferiscono che il comportamento di un individuo
corrisponde a una sua disposizione di fondo o tratto della personalità, Ned Jones
e i suoi colleghi svilupparono la teoria dell’inferenza corrispondente. Una
causa disposizionale è una causa stabile che rende il comportamento delle
persone prevedibile e aumenta la nostra sensazione di controllo sul mondo.
Forse la tendenza sistematica attribuzionale meglio conosciuta è l’errore
fondamentale di attribuzione. Consiste nella tendenza delle persone ad
attribuire il comportamento a stabili disposizioni della personalità, persino di
fronte a forti prove della presenza di cause esterne. È anche detta bias di
corrispondenza, in quanto è una tendenza sistematica (bias) che porta a
considerare il comportamento come corrispondente a disposizioni interne,
piuttosto che a situazioni esterne.
L’errore fondamentale di attribuzione avviene solitamente quando compiamo
un’attribuzione del comportamento altrui; è invece più probabile che
attribuiamo il nostro comportamento a fattori esterni. Questa asimmetria, per la
quale c’è un rilevante supporto empirico, è definita effetto attore-osservatore.
Una terza tendenza sistematica attribuzionale è l’effetto del falso consenso. Le
persone tendono a sopravvalutare la diffusione del proprio comportamento,
ritenendo che gli altri si comportino come loro. Il falso consenso nasce ed è
molto comune, perché di solito cerchiamo persone che siano simili a noi e perciò
non dovremmo sorprenderci di scoprire che le altre persone ci sono simili.
L’attribuzione è influenzata dal nostro desiderio di mantenere un’immagine
favorevole di noi stessi. Siamo molto abili a produrre tendenze sistematiche a
vantaggio del sé. Nel complesso, accreditiamo i nostri comportamenti positivi
come espressioni di ciò che siamo e delle nostre intenzioni o sforzi a fare cose
positive (tendenza sistematica all’autoaccrescimento), mentre giustifichiamo i
nostri comportamenti negativi sulla base di coercizione, vincoli normativi e altri
fattori situazionali esterni, che non riflettono chi siamo “davvero”. Le tendenze
sistematiche a vantaggio del sé sono anche regolate dal bisogno di credere che il
mondo sia un posto giusto nel quale controlliamo in parte il nostro destino. Con
la credenza in un mondo giusto, in cui le “cose brutte succedono ai cattivi”, “le
cose belle ai buoni”, e le persone hanno controllo su ciò che accade loro, ci
aggrappiamo a un’illusione di controllo. Le persone fanno spesso attribuzioni
disposizionali per il comportamento negativo degli outgroups, e attribuzioni
esterne per il comportamento positivo; Thomas Pettigrew definì questo
fenomeno un errore ultimo di attribuzione. Quando produciamo attribuzioni
del comportamento dell’ingroup realizziamo vere attribuzioni intergruppo
etnocentriche; una manifestazione collettiva di tendenze sistematiche a
vantaggio del sé, grazie alle quali il comportamento socialmente desiderabile
(positivo) messo in atto da membri dell’ingroup e quello socialmente
indesiderabile (negativo) messo in atto dai membri dell’outgroup sono attribuiti
a disposizioni interne, mentre il comportamento negativo dell’ingroup e quello
positivo dell’outgroup sono attribuiti a fattori esterni (situazionali).
La teoria delle rappresentazioni sociali di Moscovici descrive uno dei modi
con cui è possibile costruire e trasmettere la conoscenza a proposito delle cause
di qualcosa. Le rappresentazioni sociali sono interpretazioni sociali consensuali,
condivise tra i membri di un gruppo, ed emergono nella comunicazione
informale quotidiana. Trasformano in familiare e semplice quanto è sconosciuto
e complesso, fornendo un modello basato sul senso comune.
Sé, identità e società
La conoscenza di sé è costruita in modo molto simile e attraverso molti degli
stessi processi con cui costruiamo le rappresentazioni delle altre persone.
Tuttavia il risultato è molto più distinto. Le persone tendono ad avere idee chiare
su se stesse (schemi di sé) in merito ad alcune dimensioni, ma non su altre; sono
cioè schematiche su alcune caratteristiche, ma aschematiche su altre. Le persone
hanno schemi di sé relativi a dimensioni che ritengono importanti, rispetto alle
quali si collocano in maniera polarizzata e di cui sono certe che il contrario non
abbia valore. Gli schemi di sé suddivisi in modo rigido presentano degli
svantaggi; se alcuni schemi di sé sono molto negativi e altri molto positivi, gli
eventi possono procurare cambiamenti estremi di stato d’animo a seconda che
venga attivato uno schema di sé positivo o negativo. Di regola, sono preferibili
più schemi associati di sé. Uno dei classici modi per conoscere se stessi è
esaminare i propri pensieri e le proprie emozioni riguardo al mondo. Conoscere
ciò che si pensa e si prova in relazione al mondo, è un indizio molto utile per
capire che tipo di persona si è. Tuttavia quando questi indici interni sono deboli,
produciamo inferenze a proposito di noi stessi in base a ciò che facciamo, cioè a
partire dal nostro comportamento. Questa idea è alla base della teoria
dell’autopercezione di Daryl Bem. Bem sosteneva che compiamo attribuzioni
non soltanto circa il comportamento degli altri ma anche riguardo al nostro, e
che non esiste una differenza sostanziale tra le autoattribuzioni e le attribuzioni
nei confronti degli altri. Le autoattribuzioni hanno importanti implicazioni sulla
motivazione. La teoria afferma che, se qualcuno è indotto a eseguire un compito
sotto la spinta di grandi ricompense o pesanti punizioni, la prestazione che ne
deriva è attribuita a fattori esterni e perciò la motivazione è ridotta. In assenza di
fattori esterni a cui poter attribuire la prestazione, rintracceremo le sue cause
nella passione o nell’impegno; in questo modo il ruolo della motivazione
aumenta. Questo fenomeno ha preso il nome di effetto di sovragiustificazione.
Leon Festinger ha sviluppato la teoria del confronto sociale per descrivere
come le persone acquistano conoscenza di sé attraverso il confronto con gli altri.
Gli esseri umani hanno bisogno di avere fiducia nella validità delle proprie
percezioni, atteggiamenti, sentimenti e comportamenti, e poiché raramente
esiste una misura obiettiva di validità, basano le proprie cognizioni, emozioni e
comportamenti su quelli degli altri. In particolare cercano persone che siano
simili a sé, il che può esser interpretato come ancoraggio dei propri
atteggiamenti e del proprio concetto di sé ai gruppi cui sentono di appartenere.
Secondo Thomas Wills nel caso delle prestazioni cerchiamo di confrontarci con
persone che sono leggermente peggiori di noi; facciamo confronti sociali che
tendono verso il basso, i quali portano ad avere un concetto di sé positivo. I
confronti verso il basso si instaurano anche tra i gruppi. I gruppi cercano di
paragonarsi ad altri gruppi inferiori, per sentire che “noi” siamo meglio di “loro”.
In effetti, le relazioni intergruppo sono in larga parte una lotta per la superiorità
del proprio gruppo nei confronti di outgroups rilevanti. Ciò a sua volta influenza
il concetto che si ha di sé come membro di un gruppo ossia l’identità sociale.
Secondo la teoria della categorizzazione del sé, uno sviluppo della teoria
dell’identità sociale, il processo fondamentale vede le persone che si considerano
parte di un gruppo, categorizzarsi come membri del gruppo stesso e
interiorizzare in modo automatico nel giudizio su di sé gli attributi che
descrivono il gruppo. Se il gruppo è positivo, gli attributi sono positivi quindi
anche il sé è positivo.
Markus e Nurius hanno suggerito che abbiamo una serie di sé potenziali
(schemi orientati al futuro di ciò che vorremmo accadesse o di quello che
temiamo possa accadere). Un’altra prospettiva è offerta dalla teoria della
discrepanza del sé di Higgins. Secondo lo studioso possediamo 3 tipi di schema
di sé:
1) sé reale (come realmente siamo);
2) sé ideale (come vorremmo essere);
3) sé normativo (come pensiamo che dovremmo essere).
Gli ultimi 2 tipi sono “guide del sé” che mobilitano diversi tipi di comportamento
legati al sé. L’incapacità di colmare la discrepanza tra realtà e ideale può
deprimerci, mentre il fallimento nel colmare il divario tra realtà e norma può
renderci ansiosi. Gli psicologi sociali hanno identificato 3 classi motivazionali che
possono interagire tra loro per influenzare la costruzione del sé. Noi
perseguiamo:
l’autovalutazione, per confermare noi stessi;
• l’autoverifica, per essere coerenti;
• l’autoaccrescimento, per dare una buona impressione.
•
I sé si costruiscono, modificano e manifestano attraverso l’interazione con gli
altri. Poiché il sé che proiettiamo ha conseguenze per gli altri, cerchiamo di
controllarne la presentazione. La ricerca di Mark Snyder sulle differenze
individuali nell’automonitoraggio dimostra che attenti osservatori di se stessi
adottano tecniche di autopresentazione strategica, perché di solito modellano il
proprio comportamento in modo da trasmettere l’impressione che secondo loro
il pubblico o la situazione richiede; ridotti osservatori di se stessi adottano
invece strategie di autopresentazione espressiva, perché il loro comportamento
risponde meno alle richieste di un contesto che è mutevole.
Ned Jones e Thane Pittman hanno identificato 5 motivazioni strategiche nel
modo in cui tentiamo di presentare noi stessi:
1) Autopromozione, cerchiamo di persuadere gli altri della nostra competenza;
2) Accattivamento, cerchiamo di piacere agli altri;
3) Intimidazione, cerchiamo di far credere agli altri che siamo pericolosi;
4) Esemplificazione, cerchiamo di farci considerare dagli altri individui
moralmente rispettabili;
5) Supplica, cerchiamo di fare in modo che gli altri si impietosiscano di noi
considerandoci indifesi e bisognosi.
L’autopresentazione strategica si focalizza sulla manipolazione delle percezioni
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