Anteprima
Vedrai una selezione di 6 pagine su 21
Riassunto esame psicologia sociale, prof.ssa Rollero, libro consigliato Psicologia sociale, Hogg Pag. 1 Riassunto esame psicologia sociale, prof.ssa Rollero, libro consigliato Psicologia sociale, Hogg Pag. 2
Anteprima di 6 pagg. su 21.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame psicologia sociale, prof.ssa Rollero, libro consigliato Psicologia sociale, Hogg Pag. 6
Anteprima di 6 pagg. su 21.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame psicologia sociale, prof.ssa Rollero, libro consigliato Psicologia sociale, Hogg Pag. 11
Anteprima di 6 pagg. su 21.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame psicologia sociale, prof.ssa Rollero, libro consigliato Psicologia sociale, Hogg Pag. 16
Anteprima di 6 pagg. su 21.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame psicologia sociale, prof.ssa Rollero, libro consigliato Psicologia sociale, Hogg Pag. 21
1 su 21
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

Secondo lo psicologo clinico Julian Rotter, gli interni tendono a fare attribuzioni

interne, ritenendo che il nostro destino dipenda in gran parte da noi; le cose

accadono perché le facciamo accadere. Gli esterni tendono a fare attribuzioni

esterne, ritenendo che abbiamo poco controllo su ciò che ci accade; le cose

semplicemente accadono per caso, fortuna, oppure per le azioni di agenti esterni.

Per spiegare come le persone inferiscono che il comportamento di un individuo

corrisponde a una sua disposizione di fondo o tratto della personalità, Ned Jones

e i suoi colleghi svilupparono la teoria dell’inferenza corrispondente. Una

causa disposizionale è una causa stabile che rende il comportamento delle

persone prevedibile e aumenta la nostra sensazione di controllo sul mondo.

Forse la tendenza sistematica attribuzionale meglio conosciuta è l’errore

fondamentale di attribuzione. Consiste nella tendenza delle persone ad

attribuire il comportamento a stabili disposizioni della personalità, persino di

fronte a forti prove della presenza di cause esterne. È anche detta bias di

corrispondenza, in quanto è una tendenza sistematica (bias) che porta a

considerare il comportamento come corrispondente a disposizioni interne,

piuttosto che a situazioni esterne.

L’errore fondamentale di attribuzione avviene solitamente quando compiamo

un’attribuzione del comportamento altrui; è invece più probabile che

attribuiamo il nostro comportamento a fattori esterni. Questa asimmetria, per la

quale c’è un rilevante supporto empirico, è definita effetto attore-osservatore.

Una terza tendenza sistematica attribuzionale è l’effetto del falso consenso. Le

persone tendono a sopravvalutare la diffusione del proprio comportamento,

ritenendo che gli altri si comportino come loro. Il falso consenso nasce ed è

molto comune, perché di solito cerchiamo persone che siano simili a noi e perciò

non dovremmo sorprenderci di scoprire che le altre persone ci sono simili.

L’attribuzione è influenzata dal nostro desiderio di mantenere un’immagine

favorevole di noi stessi. Siamo molto abili a produrre tendenze sistematiche a

vantaggio del sé. Nel complesso, accreditiamo i nostri comportamenti positivi

come espressioni di ciò che siamo e delle nostre intenzioni o sforzi a fare cose

positive (tendenza sistematica all’autoaccrescimento), mentre giustifichiamo i

nostri comportamenti negativi sulla base di coercizione, vincoli normativi e altri

fattori situazionali esterni, che non riflettono chi siamo “davvero”. Le tendenze

sistematiche a vantaggio del sé sono anche regolate dal bisogno di credere che il

mondo sia un posto giusto nel quale controlliamo in parte il nostro destino. Con

la credenza in un mondo giusto, in cui le “cose brutte succedono ai cattivi”, “le

cose belle ai buoni”, e le persone hanno controllo su ciò che accade loro, ci

aggrappiamo a un’illusione di controllo. Le persone fanno spesso attribuzioni

disposizionali per il comportamento negativo degli outgroups, e attribuzioni

esterne per il comportamento positivo; Thomas Pettigrew definì questo

fenomeno un errore ultimo di attribuzione. Quando produciamo attribuzioni

del comportamento dell’ingroup realizziamo vere attribuzioni intergruppo

etnocentriche; una manifestazione collettiva di tendenze sistematiche a

vantaggio del sé, grazie alle quali il comportamento socialmente desiderabile

(positivo) messo in atto da membri dell’ingroup e quello socialmente

indesiderabile (negativo) messo in atto dai membri dell’outgroup sono attribuiti

a disposizioni interne, mentre il comportamento negativo dell’ingroup e quello

positivo dell’outgroup sono attribuiti a fattori esterni (situazionali).

La teoria delle rappresentazioni sociali di Moscovici descrive uno dei modi

con cui è possibile costruire e trasmettere la conoscenza a proposito delle cause

di qualcosa. Le rappresentazioni sociali sono interpretazioni sociali consensuali,

condivise tra i membri di un gruppo, ed emergono nella comunicazione

informale quotidiana. Trasformano in familiare e semplice quanto è sconosciuto

e complesso, fornendo un modello basato sul senso comune.

Sé, identità e società

La conoscenza di sé è costruita in modo molto simile e attraverso molti degli

stessi processi con cui costruiamo le rappresentazioni delle altre persone.

Tuttavia il risultato è molto più distinto. Le persone tendono ad avere idee chiare

su se stesse (schemi di sé) in merito ad alcune dimensioni, ma non su altre; sono

cioè schematiche su alcune caratteristiche, ma aschematiche su altre. Le persone

hanno schemi di sé relativi a dimensioni che ritengono importanti, rispetto alle

quali si collocano in maniera polarizzata e di cui sono certe che il contrario non

abbia valore. Gli schemi di sé suddivisi in modo rigido presentano degli

svantaggi; se alcuni schemi di sé sono molto negativi e altri molto positivi, gli

eventi possono procurare cambiamenti estremi di stato d’animo a seconda che

venga attivato uno schema di sé positivo o negativo. Di regola, sono preferibili

più schemi associati di sé. Uno dei classici modi per conoscere se stessi è

esaminare i propri pensieri e le proprie emozioni riguardo al mondo. Conoscere

ciò che si pensa e si prova in relazione al mondo, è un indizio molto utile per

capire che tipo di persona si è. Tuttavia quando questi indici interni sono deboli,

produciamo inferenze a proposito di noi stessi in base a ciò che facciamo, cioè a

partire dal nostro comportamento. Questa idea è alla base della teoria

dell’autopercezione di Daryl Bem. Bem sosteneva che compiamo attribuzioni

non soltanto circa il comportamento degli altri ma anche riguardo al nostro, e

che non esiste una differenza sostanziale tra le autoattribuzioni e le attribuzioni

nei confronti degli altri. Le autoattribuzioni hanno importanti implicazioni sulla

motivazione. La teoria afferma che, se qualcuno è indotto a eseguire un compito

sotto la spinta di grandi ricompense o pesanti punizioni, la prestazione che ne

deriva è attribuita a fattori esterni e perciò la motivazione è ridotta. In assenza di

fattori esterni a cui poter attribuire la prestazione, rintracceremo le sue cause

nella passione o nell’impegno; in questo modo il ruolo della motivazione

aumenta. Questo fenomeno ha preso il nome di effetto di sovragiustificazione.

Leon Festinger ha sviluppato la teoria del confronto sociale per descrivere

come le persone acquistano conoscenza di sé attraverso il confronto con gli altri.

Gli esseri umani hanno bisogno di avere fiducia nella validità delle proprie

percezioni, atteggiamenti, sentimenti e comportamenti, e poiché raramente

esiste una misura obiettiva di validità, basano le proprie cognizioni, emozioni e

comportamenti su quelli degli altri. In particolare cercano persone che siano

simili a sé, il che può esser interpretato come ancoraggio dei propri

atteggiamenti e del proprio concetto di sé ai gruppi cui sentono di appartenere.

Secondo Thomas Wills nel caso delle prestazioni cerchiamo di confrontarci con

persone che sono leggermente peggiori di noi; facciamo confronti sociali che

tendono verso il basso, i quali portano ad avere un concetto di sé positivo. I

confronti verso il basso si instaurano anche tra i gruppi. I gruppi cercano di

paragonarsi ad altri gruppi inferiori, per sentire che “noi” siamo meglio di “loro”.

In effetti, le relazioni intergruppo sono in larga parte una lotta per la superiorità

del proprio gruppo nei confronti di outgroups rilevanti. Ciò a sua volta influenza

il concetto che si ha di sé come membro di un gruppo ossia l’identità sociale.

Secondo la teoria della categorizzazione del sé, uno sviluppo della teoria

dell’identità sociale, il processo fondamentale vede le persone che si considerano

parte di un gruppo, categorizzarsi come membri del gruppo stesso e

interiorizzare in modo automatico nel giudizio su di sé gli attributi che

descrivono il gruppo. Se il gruppo è positivo, gli attributi sono positivi quindi

anche il sé è positivo.

Markus e Nurius hanno suggerito che abbiamo una serie di sé potenziali

(schemi orientati al futuro di ciò che vorremmo accadesse o di quello che

temiamo possa accadere). Un’altra prospettiva è offerta dalla teoria della

discrepanza del sé di Higgins. Secondo lo studioso possediamo 3 tipi di schema

di sé:

1) sé reale (come realmente siamo);

2) sé ideale (come vorremmo essere);

3) sé normativo (come pensiamo che dovremmo essere).

Gli ultimi 2 tipi sono “guide del sé” che mobilitano diversi tipi di comportamento

legati al sé. L’incapacità di colmare la discrepanza tra realtà e ideale può

deprimerci, mentre il fallimento nel colmare il divario tra realtà e norma può

renderci ansiosi. Gli psicologi sociali hanno identificato 3 classi motivazionali che

possono interagire tra loro per influenzare la costruzione del sé. Noi

perseguiamo:

l’autovalutazione, per confermare noi stessi;

• l’autoverifica, per essere coerenti;

• l’autoaccrescimento, per dare una buona impressione.

I sé si costruiscono, modificano e manifestano attraverso l’interazione con gli

altri. Poiché il sé che proiettiamo ha conseguenze per gli altri, cerchiamo di

controllarne la presentazione. La ricerca di Mark Snyder sulle differenze

individuali nell’automonitoraggio dimostra che attenti osservatori di se stessi

adottano tecniche di autopresentazione strategica, perché di solito modellano il

proprio comportamento in modo da trasmettere l’impressione che secondo loro

il pubblico o la situazione richiede; ridotti osservatori di se stessi adottano

invece strategie di autopresentazione espressiva, perché il loro comportamento

risponde meno alle richieste di un contesto che è mutevole.

Ned Jones e Thane Pittman hanno identificato 5 motivazioni strategiche nel

modo in cui tentiamo di presentare noi stessi:

1) Autopromozione, cerchiamo di persuadere gli altri della nostra competenza;

2) Accattivamento, cerchiamo di piacere agli altri;

3) Intimidazione, cerchiamo di far credere agli altri che siamo pericolosi;

4) Esemplificazione, cerchiamo di farci considerare dagli altri individui

moralmente rispettabili;

5) Supplica, cerchiamo di fare in modo che gli altri si impietosiscano di noi

considerandoci indifesi e bisognosi.

L’autopresentazione strategica si focalizza sulla manipolazione delle percezioni

ch

Dettagli
A.A. 2018-2019
21 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/05 Psicologia sociale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher rossella_medal di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia sociale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Rollero Chiara.