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DELL’ADOZIONE

1. ATTACCAMENTO E REGOLAZIONE DELLE EMOZIONI

Il bambino sin dai primi mesi di vita è competente e altamente motivato

all’utilizzo di un vasto repertorio di capacità per entrare in relazione con

l’altro in un contesto di compartecipazione emotiva. L’interazione che

precocemente viene a stabilirsi con le figure di accadimento principali si

basa sulla condivisione di emozioni, con cui il bambino pre-verbale regola

l’interazione e all’interno della quale sperimenta e apprende ulteriori

strategie attraverso cui modulare le emozioni. Tradizionalmente, una ia

con cui si è cercato di categorizzare evolutivamente tali modalità è la

distinzione tra strategie intrinseche ed estrinseche. Le prime fanno

riferimento a fattori associati al bambino, a tratti dunque di natura

temperamentale e biologica, predisposizioni presenti dalla nascita che

progressivamente evolvono verso un repertorio più complesso e articolato.

Le componenti intrinseche, pur essendo importanti per lo sviluppo delle

competenze emotive e regolatorie successive, si presentano esse stesse

all’interno di un contesto sociale e relazionale, la determinante estrinseca,

che inevitabilmente agisce su di esse promuovendone o ostacolandone lo

sviluppo. Tra le determinanti estrinseche attraverso cui il bambino

apprende come regolare l’emozione, l’attaccamento rappresenta una

variabile essenziale. La teoria dell’attaccamento costituisce un riferimento

teorico importante da cui comprendere lo sviluppo affettivo e relazionale e

il consolidarsi delle modalità di regolazione delle emozioni; essa ci

informa di come le emozioni sono state negoziate nella relazione precoce

con le figure di accadimento fin dai primissimi mesi di vita e di come

vengono poi regolate, gestite e utilizzate nei successivi rapporti

affettivamente significativi.

2. ADOZIONE E SVILUPPO DELLA REGOLAZIONE DELLE

EMOZIONI

Recenti evidenze empiriche e osservative ribadiscono il ruolo di soggetto

attivo e partecipe al bambino ancora pre-verbale, sottolineando come tali

competenze possano avere un pieno sviluppo e si rivelino comunque in

stretta dipendenza rispetto al ruolo e alla modalità emotivo-relazionale

assunta dal genitore durante l’interazione. Lo stesso comportamento di

attaccamento costituisce una strategia messa attivamente in atto dal

bambino per garantire il mantenimento del legame con il caregiver di

riferimento. Ricerche recenti documentano una sostanziale differenza tra le

percentuali di disorganizzazione negli adottati a confronto con gli

istituzionalizzati. L’affidamento a una nuova famiglia può consentire la

riorganizzazione di modelli interni sviluppati precedentemente in

condizioni di disagio e deprivazione, dando vita a nuove forme di

competenza emotiva. Restano tuttavia da approfondire quali siano le

variabili associale a tale cambiamento nei casi in cui questo si presenta. La

durata delle esperienze di deprivazione di cure e affetto vissute dai

bambini precedentemente al loro ingresso in famiglia non sembra essere

una risposta; non vi è infatti relazione tra l’età in cui il bambino è stato

adottato e la presenza/assenza di disorganizzazione d’attaccamento, mentre

sembra che a svolgere un ruolo protettivo possa essere lo stato della mente

genitoriale rispetto all’attaccamento e le competenze a esso associate di

gestire e regolare l’emotività all’interno del rapporto familiare. In base a

ricerche recenti, l’adozione sembra promuovere lo sviluppo del bambino e

di offrirgli la possibilità di ristrutturare modelli operativi disadattivi e

disfunzionali. CAPITOLO 9

COMPORTAMENTI A RISCHIO IN ETA’ PRESCOLARE: IL

RUOLO DELLA COMPRENSIONE DELLE EMOZIONI E

DELLA DISPOSIZIONE ALL’EMPATIA NELLE CONDOTTE

OSTILI E PRO-SOCIALI

1. IL PARI COME ALTRO SIGNIFICATIVO

Fino a qualche decennio fa, le interazioni tra coetanei erano poco

considerate, in quanto ritenute non positive per lo sviluppo del bambino. Il

recente fiorire di studi empirici su che cosa succede tra bambini, su come

essi si comportano e comunicano nel gruppo, si rappresentano l’un l’altro,

si legano e/o si scontrano tra loro, si è declinato secondo due filoni di

indagine distinti e complementari, focalizzati, rispettivamente, sulle

relazioni amicali e sulle relazioni ostili.

2. LA COMPRENSIONE DELLE EMOZIONI

Già alla fine del primo anno di vita il bambino è in grado di comprendere e

utilizzare l’emozione espressa dalla madre per orientare il proprio

comportamento (social referencing); nel corso del secondo anno si

sviluppano rapidamente anche i comportamenti empatici, sottesi da

processi di risonanza emotiva, grazie ai quali il bambino può sia sentire e

provare le emozioni degli altri sia iniziare a compiere tentativi per

confortare o ferire gli altri. I bambini abili nel riconoscere e comprendere

segnali emotivi nelle interazioni sociali generalmente sviluppano relazioni

interpersonali positive, sono in grado di rispondere adeguatamente allo

stress emotivo degli altri, sono più popolari tra i pari.

3. COMPETENZA EMOTIVA E BULLISMO

Gli episodi di bullismo si riferiscono a un insieme di comportamenti

intenzionalmente ostili e ripetuti attuati da un individuo più forte (bullo)

contro un individuo più debole (vittima) in presenza di altre persone

(astanti). I lavori pionieristici hanno rilevato 4 diversi ruoli tra gli astatnti:

aiutante (partecipa attivamente aiutando il bullo), sostenitore (tifa per il

bullo e lo incita senza intervenire), difensore (cerca attivamente di

contrastare le prepotenze e/o di consolare la vittima), esterno (si tiene in

disparte). Tale tipologia di comportamenti nelle situazioni di bullismo è

stata ulteriormente sviluppata con due ruoli: consolatore (sostiene la

vittima senza intervenire direttamente per impedire le prepotenze) e

mediatore (si pone in maniera equidistante tra bullo e vittima cercando di

pacificarlo). Studi recenti hanno sviluppato un nuovo modello, la cui

struttura si articola in 4 macro-ruoli: ruoli ostili (bullo, aiutante,

sostenitore), ruoli prosociali (difensore, consolatore e mediatore), vittima

ed esterno. I ruoli ostili o prosociali sono risultati associati con le

competenze socio-emotive: buoni livelli di empatia correlano direttamente

con i ruoli altruistici e inversamente con i ruoli aggressivi.

CAPITOLO 10

CONTESTO FAMILIARE E COMPETENZA EMOTIVA IN

ETA’ PRESCOLARE IN SITUAZIONI DI

MALTRATTAMENTO PSICOLOGICO

1. INTRODUZIONE

A partire dal riconoscimento della funzione adattiva della competenza

emotiva, in questi ultimi anni, si è andato definendo sempre meglio il

costrutto di “socializzazione emotiva familiare”, intesa come l’insieme

delle modalità e delle strategie implicite ed esplicite attraverso le quali una

famiglia può influenzare la conoscenza, l’espressione e la regolazione

delle emozioni dei bambini nei differenti contesti. In questa prospettiva

sono stati condotti di recente alcuni studi volti a indagare, attraverso

differenti metodologie, l’impatto che un contesto maltrattante può avere

sulla costruzione e sullo sviluppo della competenza emotiva dei bambini.

In particolare, in queste ricerche si rintraccia un duplice fuoco di

attenzione: la competenza emotiva del bambino e i processi di

socializzazione emotiva messi in atto dalle figure genitoriali. Una disamina

della letteratura evidenzia come gli studi che si sono focalizzati sulla

competenza emotiva dei bambini contribuiscano a delineare un quadro di

risultati per nulla esaustivo.

2. RICERCA

Il quadro dei dati emersi appare molto articolato, rispetto alla conoscenza

che i bambini rivelano sulle emozioni; il dato emergente è quello relativo

al fatto che non si evidenzia una assoluta e generalizzata inferiorità dei

bambini vissuti in contesti maltrattanti rispetto agli altri nelle varie

componenti della competenza emotiva. Piuttosto, ciò che è possibile

evincere dai dati è che esiste un andamento diversificato delle differenze

tra i due gruppi a seconda dell’emozione e della specifica componente

considerata. I dati fanno pensare che i bambini cresciuti in condizioni di

maltrattamento psicologico, e quindi sottoposti spesso a situazioni di

tristezza, rabbia, paura, abbiano imparato per ragioni adattive a

decodificare i segnali di queste emozioni sul volto degli altri. Le

espressioni di felicità e neutra risultano invece per questi bambini più

difficilmente decodificabili e facilmente confuse l’una con l’altra.

CAPITOLO 11

I DISTURBI ALIMENTARI COME DISTURBI DELLA

REGOLAZIONE AFFETTIVA: UN CONTRIBUTO DI

RICERCA

1. INTRODUZIONE

L’alimentazione rappresenta un organizzatore psicobiologico

fondamentale. Sin dalla nascita, il nutrimento costituisce

contemporaneamente la realizzazione di una necessità biologica e un luogo

peculiare per l’interiorizzazione dell’esperienza intersoggettiva. Lo

scambio relazionale con la madre durante l’allattamento si caratterizza

infatti per la qualità dei processi di rispecchiamento, mutualità e

contenimento che l’attraversano, andando a definire un nucleo centrale

nella strutturazione del senso di sé e nello sviluppo dei sistemi di

conoscenza del bambino. Attraverso la relazione passa il cibo, e attraverso

il cibo passa la relazione: la capacità del genitore di mantenere un

atteggiamento provvidente e responsivo durante il nutrimento non può che

favorire il benessere fisico e la salute psicologica.

2. REGOLAZIONE AFFETTIVA, ATTACCAMENTI TRAUMATICI E

DISTURBI ALIMENTARI

I disturbi alimentari sono una classe diagnostica caratterizzata dalla

presenza di significative alterazioni nei pattern comportamentali e negli

atteggiamenti psicologici connessi all’assunzione di cibo. All’interno del

sistema di classificazione dei disturbi psichiatrici attualmente più diffuso,

il DSM-IV-TR, la sezione relativa ai disturbi alimentari comprende due

categorie diagnostiche specifiche, l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa.

Da un punto di vista teorico, le distinzioni diagnostiche proposte dal DSM

non devono far perdere di vista la caratteristica saliente comune ai disturbi

alimentari, ovvero il rapporto distorto col cibo. Tale caratteristica, almeno

nell’anoressia e nella bulimia, è connessa a un disturbo dell’immagine

corporea a una paura d’ingrassare opprimente e intollerabile. Su un piano

neurobiologico, nei pazienti con disturbi alimentari è stata osservata la

presenza di vulnerabilità che coinvolgono in particolare un’alterazione

nella modulazione funzionale dei neurotrasmettitori serotoninergici;

inoltre, si è

Dettagli
Publisher
A.A. 2016-2017
29 pagine
2 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/04 Psicologia dello sviluppo e psicologia dell'educazione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher emazan18 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia scolastica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Messina o del prof Filipello Pina.