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CRISI DELL'ESISTENZIALISMO DELL'AGGRESSIVITÀ E SOCCORSO DELL'AMBIENTE

A questo punto restano da sciogliere gli ultimi nodi: il problema dell'ambiente precedentemente menzionato e che fare delle macerie prodotte dal crollo del progetto di essenzializzazione dell'aggressività.

Inizio dal primo. L'ho accennato: quando il determinismo e il riduzionismo biologici incappano in palesi contraddizioni o si trovano davanti a ostacoli insormontabili chiamano in soccorso l'ambiente. Quando l'essenzialismo biodeterminista è in difficoltà nel predire la condotta umana, un primo modo per arginare il problema è quello di cucinare una torta bigusto: le cause dei comportamenti di una persona vengono divisi tra natura e cultura. Va da sé che trattandosi di una sola torta, aumentare una percentuale equivale ad abbassare l'altra. Alla base permane l'idea di un calcolo aritmetico tra quanta percentuale della causalità vada.

ascritta all'organismo-natura e quanta all'ambiente-cultura. E poiché il braccio di ferro tra biologia e apprendimento finirebbe con il diventare un duello infinito, ci si trova a dividere la posta in gioco; un po' di aggressività alla natura, un po' di aggressività alla cultura. Più interessante è invece analizzare in cosa consiste l'uso dell'ambiente in un'ottica che viene chiamata interazionista. A prima vista sembrerebbe sensato sostenere che natura e cultura concorrono interagendo nella determinazione dell'aggressività. Spesso però, fatta questa asserzione, si va oltre, senza soffermarsi sul "come" si concretizzerebbe tale interazione. E a ben guardare, il modello interazionista continua a postulare l'esistenza di due entità distinte e separate: natura e cultura. In realtà, siamo di fronte a un interazionismo di facciata che cela un determinismo genetico. L'organismo è visto come unil comportamento aggressivo sia il risultato di una combinazione complessa di fattori genetici, ambientali e psicologici. Questi modelli suggeriscono che l'aggressività sia influenzata da una predisposizione genetica, ma che la sua manifestazione dipenda anche dalle esperienze e dalle interazioni con l'ambiente circostante. Inoltre, l'aggressività può essere modulata e regolata da fattori psicologici e dalle istituzioni sociali. Ad esempio, l'apprendimento di strategie di gestione dell'aggressività e l'adozione di norme sociali che promuovono comportamenti non aggressivi possono contribuire a ridurre l'incidenza e l'intensità dell'aggressività. In conclusione, sebbene l'aggressività possa avere una base innata, la sua manifestazione e la sua rilevanza dipendono da una complessa interazione tra geni, ambiente e fattori psicologici.l'organismo possa svilupparsi offrendo le proposte genetiche all'ambiente, il quale a sua volta determina quali di tali proposte saranno accettate (adattamento). In pratica permane l'idea di una separazione e di un rapporto asimmetrico tra organismo e ambiente. Qualunque declinazione si voglia dare a questa visione interazionista tra organismo e ambiente, da un punto di vista scientifico è sbagliata. Né l'organismo, né l'ambiente sono sistemi chiusi, bensì sono in reciproco rapporto aperto. Inoltre, gli organismi trasformano il proprio ambiente, per cui non sono semplicemente un esito (degli adattati) ma pure la causa dei loro ambienti (dei costruttori). Quindi meglio se al posto di interazione si parlasse di compenetrazione. In qualsiasi momento del suo sviluppo, la mente di un essere umano è sempre impegnata in un processo di ricostruzione dell'ambiente. Appare a tutti scontato che il modo di reagire alla realtà incontrata.

dipende dall'interpretazione di questa realtà. Possiamo scorgere tracce di ostilità nelle persone indipendentemente da quello che fanno e dalla loro stessa autopercezione. Inoltre, la risposta a un simile ambiente vissuto alla stregua di una minaccia ricrea la realtà sociale attorno a noi. Continuando a vedere l'altro quale fonte di ostilità, agiremo come se fosse veramente ostile, così effettivamente lo diventa. Pertanto, non basta prendere in considerazione come un individuo biologico si sviluppa psicologicamente all'interno di determinati ambienti, serve anche comprendere come un individuo in sviluppo interagisce con i mondi soggettivi e oggettivi per ricostruire i propri ambienti.

L'AGGRESSIVITÀ NON È UN FENOMENO NATURALE

Tutt'oggi si continua a considerare l'aggressività un "dato naturale", qualcosa che permane immutato nel tempo. L'aggressività è stata definita una "parola-valigia",

perché al suo interno è stato messo di tutto e viene utilizzata per spiegare ogni sorta di condotta in cui individui e gruppi perseguono i propri interessi gli uni contro gli altri. Siamo abituati a pensare a una classe di schemi comportamentali, seppur diversi nelle loro manifestazioni, accomunati da un'unica base esplicativa. Non c'è però nessuna unica fonte (pulsionale, istintiva, cerebrale, genetica) per tutte quelle azioni che comunemente chiamiamo "aggressive". Il termine "aggressività" è quindi una costruzione culturale. Sulla scorta di quanto analizzato è evidente che non posso continuare a muovermi all'interno dell'errata concezione di una maligna natura umana. Così come sarebbe sterile insistere nel voler spiegare, per esempio, lo stupro, l'omicidio e l'infanticidio sulla base del medesimo imperativo biologico. Si tratta di eventi distinti, e non c'è alcun istinto.

Il gene che possa accomunarli, tenendo pure presente che non ci sono né istinti né geni per gli eventi. Nello stesso tempo, bisogna evitare di pervenire a un becero ambientalismo dove tutto sarebbe governato da forze esterne annichilenti i singoli. Serve una prospettiva che preservi le ricche e compenetranti interazioni tra organismo e ambiente.

Facendo i conti con le tante ambivalenze che fondano la nozione di violenza è possibile assumere contemporaneamente azione e contesto, individuo e società, biologia e cultura. Infatti, la violenza si presenta come una relazione e non come una cosa. Parlare di relazione vuol dire muoversi lungo i crinali di tensioni tra individui, gruppi e nazioni. E quando si chiama in causa la nozione di violenza, ciò avviene perché lo scopo dell'agente è socialmente condannabile o perlomeno problematico, poiché consiste, a seconda delle circostanze, di uno scopo di possesso, vendetta, prevaricazione.

così via. E, oggigiorno, si parla di violenza non solo nel frangente in cui s'infligge una lesione o si pratica con la forza una costrizione alla libertà soggettiva, ma anche quando con strumenti qualsiasi vengono inferti danni e sofferenze di ogni tipo, perfino morali.

CAPITOLO 2

FROM PEACE TO WAR AND BACK AGAIN

LA GUERRA COME SCATENAMENTO DI PASSIONI UMANE DISTRUTTIVE

Benché sia chiaro a tutti che le forme assunte dalla violenza collettiva sono, di volta in volta, mutevoli, le cause individuate appaiono le stesse, perché basate sulla natura umana. Un serbatoio ribollente in cui è sempre vivo e rigoglioso l'impulso a calpestare le norme, dotato di un'insolenza esuberante e di un furore malevolo pronto a sopraffare ogni giusto precetto, restio a sottostare a qualsiasi autorità che tentasse di affermare il proprio potere. Appoggiato su questa diagnosi, il racconto della guerra civile di Corcira sarà destinato a diventare il

paradigma dell'orrore cui va incontro l'organizzazione sociale alloscatenarsi incontrollato della "natura umana": una natura bestiale, pronta a esplodere in tutta la sua distruttiva ferocia quando non sia più tenuta a freno dal potere inibitore delle leggi. E una simile rappresentazione dell'innata malvagità umana si regge sulla nota opposizione tra natura e cultura. Come ben evidenziato dall'antropologo Marshall Sahlins si arriva all'antropologia tucididea, la cui descrizione dello "stato di natura" è matrice delle ulteriori teorizzazioni di assetti societari dove la mancata sottomissione della natura umana a un potere esterno consegna la collettività dei suoi membri al caos e a ogni efferatezza. Se nell'antica Grecia Tucidide evocava lo spettro di un perenne ritorno alla guerra se non si fosse convertita la natura umana, con Freud siamo arrivati all'amara constatazione che una simile natura nonpuò essere trasformata ma solo disciplinata. Per domare questa bestia è allora necessaria una società che sovrasti gli individui, intesa come un insieme di forze che ne controlli le pulsioni devastanti e gli impulsi anarchici. L'alveo scientifico della teoria pulsionale freudiana non deve certo farci dimenticare che altre influenti correnti hanno sospinto il nostro pensiero intorno alla distruttività umana verso un tale approdo. Per farne solo un cenno, nella visione religiosa cattolica dell'essere umano è saldamente radicata la convinzione di una depravazione innata e della relativa lotta che i singoli devono intraprendere nel corso dell'esistenza per trascendere il peccato originale. E la filosofia kantiana, rielaborando il concetto di peccato originale in quello di male radicale, punta a dimostrare che la malvagità naturale non è un dogma religioso ma un dato di fatto che la ragione deve riconoscere per poterlo combattere. Sullascatenare guerre e conflitti. Questo perché, secondo Freud, l'aggressività umana non può essere completamente eliminata, ma può essere canalizzata e regolata attraverso l'autorità dello Stato. Tuttavia, nonostante la presenza di norme e regole, gli Stati stessi possono essere soggetti a tensioni e conflitti che possono sfociare in azioni violente. In conclusione, sia per Kant che per Freud, la pace non è un dato di fatto, ma un obiettivo da perseguire attivamente. La diplomazia, il rispetto delle norme e l'autorità dello Stato sono strumenti fondamentali per controllare l'aggressività umana e promuovere una convivenza pacifica. Tuttavia, la storia ci dimostra che la pace è un traguardo difficile da raggiungere e che richiede un impegno costante da parte di tutti.
Dettagli
Publisher
A.A. 2020-2021
48 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/08 Psicologia clinica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher davidepirrone di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia della violenza e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Padova o del prof Zamperini Adriano.