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La perdita della vista

Una paziente dice: "Mio padre ha avuto una trombosi di una vena della retina, per cui ha perso parte della vista. E pensare che vuole guidare, come se ciò non fosse accaduto."

Di cosa parla la paziente? Naturalmente di un fatto reale esterno e di personaggi reali esterni. Ma possiamo pensare, capovolgendo il vertice di ascolto, che la paziente, utilizzando un "narrema" tra i tanti possibili, mi segnali che c'è qualcosa che ha occluso la mia capacità di vedere e che, ciò nonostante, io pretenda di continuare a guidare l'analisi. Non interpreto tutto questo, ma, alla prima occasione, reimmetto in circolazione "ciò che non avevo nel visto", la paziente lavora molto su questo che io porto come interpretazione del transfert (e non transfert). Più volte mi è stato segnalato che non è facile capire da quale vertice io "pensi" i personaggi della seduta: li colgo da vertici multipli.

personaggi reali, personaggi oggetti-interni, personaggi "nodi-sincretici" di fatti emotivi del campo analitico. quest'ultima lettura, che è quella per me prevalente dell'ascolto, ribalta il vertice consueto, in quanto penso che tale comunicazione attenga al campo e sia un modo di narrare le emozioni del campo, ovvero che sia un derivato narrativo degli elementi α formati dalla paziente. Se le protoemozioni della paziente sono quelle di "buio", "disorientamento", "paura", queste protoemozioni potrebbero avere avviato una sequenza di elementi α del tipo: - Notte con nebbia - Bambino solo nel bosco - Alpinista senza corde Sequenza che potrebbe dar luogo a un'infinita possibilità di derivati narrativi tratti del mondo esterno, dalle fantasie, dai ricordi di infanzia, dal sogno, dall'anedottica ecc., in una delle modalità seguenti: - racconto d'infanzia - racconto di un sogno - racconto di un evento

esterno;- racconto sessuale.derivati narrativi possibiliCioè, i sono infiniti rispetto la serie dielementi α che formano il pensiero onirico della veglia in continuaformazione. L’analista deve essere un virtuoso del capovolgimento e delladecostruzione/costruzione di vertici e cogliere il racconto del paziente:- in quanto tale;- in quanto transfert;- in quanto fantasmatizzazione;- in quanto “derivato narrativo” dell’esperienza emotiva checontinuamente forma elementi α in seduta.

NARRAZIONIIntendo sottolineare con la seguente vignetta clinica come sia possibileavere uno scambio trasformativo senza cesure interpretative forti, inuna modalità quasi dialogica-discorsiva.

A) MAURO E IL BANDITOI genitori di Mauro, un ragazzo di 13 anni, mi chiedono una consultazione per iproblemi del figlio. Loro mi descrivono la preoccupazione per il rendimentoscolastico di Mauro, stentatamente sufficiente; sono preoccupati per ladecisione da prendere sul tipo

di scuola per l'anno successivo. Lui vorrebbe fare il liceo e loro temono che possa non farcela e vorrebbero indirizzarlo verso un istituto professionale. Gli chiedo se condivide le preoccupazioni dei genitori e mi risponde che lui pensa di potercela fare, anche se la sufficienza è sempre risicata. A questo punto, nonostante i miei tentativi di sviluppare il discorso, Mauro sembra essersi inceppato, gli chiedo allora se vuole utilizzare i fogli che sono sul tavolo e di buon grado si mette a disegnare. Commenta il disegno lui stesso dicendo: "Mi viene in mente che siamo venuti in macchina" e prosegue dicendo che questa notte ha fatto un sogno: "Andavamo con la macchina nella casa di montagna, dove a me piace andare, ma giunti lì ci accorgiamo di aver dimenticato le chiavi, era allora necessario tornare indietro a prendere le chiavi e tornare un'altra volta". Gli chiedo se teme che il tempo per parlarci possa essere troppo poco per consentirci di trovare

Il bandolo del problema è se, forse, pensa che sarebbe opportuno tornare un'altra volta. Raccoglie la proposta dicendo che gli piacerebbe proprio tornare ancora. Acconsento a questo programma aggiungendo che possiamo utilizzare il tempo che abbiamo per raccontarci qualcosa che gli possa venire in mente. "Si, sto pensando a un sogno che facevo da bambino. Era la storia di un ragazzo che si affeziona molto a un lupo, che poi dopo quando doveva trasferirsi con la famiglia in città era costretto a lasciarlo e questo gli causava molta pena e soprattutto un senso di solitudine".

Ecco una prima chiave che inaspettatamente compare, se si riesce a trovare il modo di fertilizzare il campo, togliendo i sassi (le angosce che bloccano la comunicazione) e lasciando che possa emergere qualcosa. Mauro era preoccupato che il tempo non bastasse, e soprattutto non era sicuro di avere gli strumenti per entrare in comunicazione aprendo la porta "della casa", ma poi trova questa

chiave e gemma la storia del lupo: ovvero delle proprie partipù selvatiche, che sono state, per quieto vivere, lasciate nel bosco, ciò gliconsente sì un discreto adattamento, ma lo lascia privo degli aspetti più vitali e creativi di sé.

IL PAZIENTE E LA MENTE DELL'ANALISTA

È chiaro che i casi clinici che presenterò potrebbero essere considerati, sotto altri punti di vista, legati alle fantasmatizzazioni e alla storia del paziente.

Propongo una prospettiva di lettura in cui le comunicazioni del paziente vengano considerate come segnali nel campo. Le altre prospettive di lettura sono ugualmente presenti e interagiscono con il punto di vista da me scelto. Tutta l'arte dello psicoanalista consiste nel saper focalizzare un angolo o l'altro, a seconda dei bisogni del momento, come nella litografia di Relatività, Escher, in cui si vedono diverse scale e percorsi possibili, con i luoghi della storia infantile, quelli del mondo.

interno e del campo transgenerazionale, e quelli della relazione attuale del campo attuale.

A) IL POSTO UMIDO E FREDDO

Quando inizia la seduta con Francesco, l'ultima della giornata, di una giornata difficile, mi sento come un pannolino per bambini già tutto inzuppato. Inizia quella che mi sembra una buona seduta, con l'elaborazione di un necessario cambio di setting, relativo alla quarta seduta della settimana. Alla seduta successiva il paziente esordisce raccontando di aver posteggiato la macchina nell'atrio, in un posto diverso dal solito, perché il solito posto era occupato, e l'ha messa in un posto freddo, umido, più buio, senza sole. Il figlio, di pochi anni, ha fatto una scenata perché voleva il solito posto al sole, con davanti i prati, ma il paziente gli ha detto che non c'era altra possibilità. L'ha poi rimproverato perché era scappato via e in seguito hanno fatto la pace. Dopo averlo seguito nel suo racconto

gli propongo che il cambio di setting apparentemente accettato, in realtà gli ha causato disorientamento e tristezza. Cioè ha formato, subito dopo la mia interpretazione, una serie di elementi α, di cui la comunicazione è il derivato narrativo. A questo punto capisco che devo guardare da un'altra parte e ripensare alla seduta del giorno prima, in cui ero "inzuppato", "umido" e la sua parte più "piccola" è fuggita via da un clima che sentiva inospitale. Avevo preferito fare un'interpretazione sul setting piuttosto che riconoscere la qualità "umida" e "fredda" del mio assetto mentale; ma il paziente è pronto, se ascoltato, a rimetterci nel giusto percorso affettivo. Se volessimo fare un'esercitazione, potremmo immaginare che il mio sentirmi inzuppato e stanco abbia generato nel paziente i seguenti elementi α: bosco umido - bambino triste. Il giorno dopo hatrovato un "aggancio narrativo" nel racconto del posteggio e del figlio. Dopo la mia interpretazione sul setting, immaginiamo che abbia prodotto i seguenti elementi α: "buio" cui fa seguito il derivato narrativo, "stanza esposta a nord" e così via. La sequenza di elementi α, naturalmente, costituisce il pensiero onirico della veglia, non conoscibile se non attraverso i suoi derivati, in questo caso, narrativi. È logico che l'elemento α attinge anche dal mondo interno e dalla storia, ma tra tutti viene alla mente l'elemento significativo rispetto all'istante relazionale, così come il racconto è qualcosa attinto al mondo esterno ma si aggancia anche all'elemento α in modo da renderlo comunicabile. Non vorrei solamente avere una visione "pacificante", in cui la rêverie invertita dell'analista è sempre la conseguenza dell'identificazione proiettiva del

paziente o dell'evacuazione, attraverso di lui degliaprès-coupelementi β. Mi piacerebbe postulare che, al di là dell'uso in chepossiamo fare di tutto quanto concerne il campo analitico come rinvio al mondointerno e alla storia del paziente, ci può essere una rêverie invertitadell'analista, che il paziente è capace di segnalare e spesso di "curare". Il fattoche questi momenti di rêverie invertita possono essere utili perriuscire, in seguito, a "riattivare" delle esperienze traumatiche delpaziente non significa che si debba rinunciare alla possibilità di approfondirelo studio dei momenti in cui il pensiero dell'analista, per delle ragioni che nonhanno niente a che vedere con il paziente, può essere in (-K), in (PS), o dareluogo a una rêverie invertita.Vorrei concludere proponendo di riflettere come vi è dunque un luogo dellaformazione dell'immagine

(l'elemento α) e di quella funzione che la crea (funzione α) con tutta la preziosità di questo livello. Ma dobbiamo postulare anche l'esistenza di un secondo livello, quello che Bion chiama "apparato per pensare i pensieri" costituito dall'oscillazione PS↔D con angosce edifese correlate, dal rapporto in continua evoluzione trasformativa tra ♀ e ♂, e, aggiungerei io, tra "capacità negative" (sospensione di significato) e "fatto prescelto" (donazione di senso). Questi ultimi sono il luogo dove le immagini vengono tessute in storie e in "storia". È chiaro come la mente dell'analista in questi processi non possa che essere una variabile del campo: a) perché ogni giorno funziona in maniera differente, perché la funzione α dell'analista e il suo "apparato per pensare i pensieri" non si trovano ac
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Publisher
A.A. 2020-2021
39 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/08 Psicologia clinica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher davidepirrone di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diagnosi psicoanalitica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Padova o del prof Marogna Cristina.