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L'IDENTITÀ PERSONALE: NORBERT ELIAS

Se in alcune teorie il costrutto di identità si rivela semplice erede e surrogato del soggetto o della personalità, in altre diviene epifenomeno di una coscienza plurima orientata nei possibili vettori della temporalità, strutturandosi in taluni casi come ancoraggio argomentativo di una teoria. Nella clinica postmoderna il termine "identità" può essere letto in modalità antinomiche rispetto a quello di "personalità" e in un'accezione distinta e non sovrapponibile a quella di "soggetto" o "sé". Questa distinzione scava un solco che non solo divide teorie, ma genera, della prassi clinica, modelli operativi non commensurabili.

L'identità personale si configura quale costrutto polisemico collocato al confine tra diversi ambiti disciplinari. Essa appartiene ad un processo dialettico e non ad una costruzione lineare, si abbandona.

quindi ogni apparato a reificarne l'esistenza; con essa si individua un processo, piuttosto che un'entità dotata di caratteristiche di stabilità e permanenza. Tale costrutto, oltre ad escludere quello di personalità, assume nella tradizione postmoderna un ruolo sovraordinato, rappresentando il fulcro attorno al quale organizzare prassi di intervento e di ricerca. Norbert Elias considera i confini tra le discipline arbitrari e sottolinea l'importanza delle connessioni fra storia, sociologia e psicologia, mostrando i limiti di quegli studi che si muovono all'interno di una sola di queste discipline. Da tali premesse nasce la critica ad ogni posizione conducente alla polarizzazione fra società ed individuo. La relazione fra individuo e società è di tipo circolare, e all'interno di questo processo è possibile collocare l'identità personale, la quale non risulta una proprietà del soggetto o del mondo.ma è configurabile come l'emergente di un'interazione. Il costrutto d'identità, considerato come un "fatto sociale totale", ovvero un sistema in cui convergono istanze psicologiche, sociologiche, storiche, etiche ed antropologiche, configura gli interventi clinici in una dimensione pluralista e pragmatica. Il clinico, liberatosi dei vincoli imposti dai determinismi personologici o sociali, trova nell'identità personale il centro attorno al quale organizzare i propri interventi ed il criterio per leggere la legittimità della propria prassi operativa. LA RILEVANZA CLINICA Nella tradizione clinica postmoderna termini quali "disturbo schizotipico", "schizoide" o "narcisistico" di personalità mantengono esclusivamente un significato strumentale. Da un punto di vista scientifico, essi testimoniano la difficoltà del clinico di comprendere significati che la persona attribuisce alle proprie azioni.rendendo quindi più complessa l'attivazione di comportamenti efficaci per poter perturbare una certa configurazione identitaria. Da un punto di vista strumentale, tali etichette possono essere utili nel momento in cui la persona le utilizza per descriversi attribuendosi caratteristiche personali. Non essendo compito del clinico invalidare tali costrutti, egli li utilizza esclusivamente con fini strategici per mettere in crisi i resoconti della persona, muovendosi in coerenza con il sistema di significati dell'altro. In continuità con l'eredità pragmatica, l'utilizzo di un certo costrutto è sostenuto dagli obiettivi che esso permette di raggiungere; in un contesto clinico, termini come "personalità" o "identità" possiedono una propria legittimità solo in base alla loro funzionalità per generare forme di cambiamento nell'altro. Il clinico non più vincolato.dall'idea di una personalità immutabile può riconoscere sé stesso come un esperto di cambiamento, orientato alla costruzione di processi interattivi tesi a fare emergere una configurazione identitaria nella quale non possono più trovare spazio le dimensioni problematiche espresse dalla persona. CONCLUSIONI. LA PSICOLOGIA CLINICA DAL KLINÈ ALL'INTERAZIONE SEMIOTICA La conclusione di questo studio sullo sviluppo della psicologia clinica può trovare una sintesi nella definizione di un modello di intervento di tipo interattivo. Per meglio esporre tale modello è apparso opportuno presentare una veloce rassegna del modello operativo che caratterizza la clinica tradizionale, in modo da favorire una conoscenza per confronto. DALLE RICERCHE DI CURA DELLA CLINICA TRADIZIONALE ALLE STRATEGIE DI CAMBIAMENTO DELLA CLINICA POSTMODERNA A) IL MODELLO MEDICO E LA REIFICAZIONE DEL DISAGIO MENTALE NELLA PSICOLOGIA CLINICA TRADIZIONALE La prassi consolidata in

La psicologia clinica prevede come primo obiettivo la definizione di una diagnosi consistente nell'individuazione di indici che consentano allo psicologo di inquadrare il disagio provato da un paziente in una categoria nosografica di tipo descrittivo o eziologico. L'individuazione dei dati significativi avviene attraverso la raccolta anamnestica, il colloquio clinico e la somministrazione di test.

Stabilita la diagnosi, il clinico definisce una prognosi, e sulla base di questa compie una scelta operativa selezionando il tipo di intervento. Esso consiste nella restituzione di una diagnosi e, quando possibile, nella somministrazione di una terapia orientata alla guarigione o al ripristino di quadri organizzativi della personalità più funzionali e maggiormente adattivi.

La terapia può richiedere l'utilizzo farmacologico o basarsi su una prassi orientata alla cura organizzata da una teoria del funzionamento psicologico. Tale pratica si è originata, da una parte,

dal tentativo della psicologia di assumere uno statuto di maggiore scientificità, avvicinandosi alla prassi della medicina occidentale, e, dall'altra, dall'impiego da parte della medicina di categorie psicologiche in luogo di categorie biologiche, data la difficoltà della psicopatologia di rintracciare cause esclusivamente organiche ad alcune forme di disagio mentale. In questa prospettiva, la psicologia clinica utilizza una prassi operativa desunta e ricalcata su quella medica, stabilendo criteri rilevabili di normalità, psicopatologia e devianza, sovrapponibili a quelli di salute e malattia. L'assunzione di questa posizione consente una formalizzazione dei criteri di riferimento, la condivisione di un linguaggio, la certezza delle previsioni, la costruzione di protocolli d'intervento, la definizione di criteri e certezze normative, la legittimazione dei valori e il consolidamento sociale. Sebbene questi siano degli indubbi vantaggi per il clinico, lecriticità di una società complessa richiedono una riflessione sul proprio mandato sociale e sull'efficacia della propria prassi. Secondo la prassi tradizionale, di fronte a una persona che racconta con sofferenza di non riconoscersi nel genere biologicamente assegnato, il clinico procede alla raccolta delle informazioni che possano metterlo nella condizione di ipotizzare una diagnosi di disturbo d'identità di genere (DSM-IV). Ricondotte le problematiche di questa persona a tale categoria diagnostica, il clinico che segue una prassi medicalmente legittimata ne rintraccia l'eziologia attraverso l'uso di una teoria in grado di spiegarne le cause. A tal punto, configurando il fenomeno come malattia, il clinico opererà con l'obiettivo di guarire il paziente, andando a trattare i motivi che non hanno consentito una corretta identificazione con il proprio genere di appartenenza. La persona verrà considerata guarita quando il proprio esame

Di realtà sarà congruente a ciò che la natura e la comunità hanno decretato come corretto. L'intervento del clinico, benché formalmente perfetto, non tiene in considerazione nei suoi passaggi i vissuti espressi dalla persona, applicando un criterio non negoziato con l'altro, ma derivato da una forma di pensiero che esclude alla persona la possibilità di autolegittimarsi. Considerare la percezione della propria identità di genere come criterio attraverso cui stabilire l'esistenza di una malattia sembra quantomeno improprio: le persone transessuali non sono pericolose per sé stesse e per la comunità, non hanno compromesso le proprie capacità lavorative, hanno una modalità di costruzione della realtà che in nessun altro aspetto le rende diverse dagli altri membri della comunità; la loro appare solo una fra le tante condizioni umane.

B) IL MODELLO INTERATTIVO E IL DISAGIO MENTALE COME

METAFORANELLA CLINICA POSTMODERNA. LA VALENZA PLURALISTA E PRAGMATICA DEL MODELLO INTERATTIVO

In continuità con le premesse presenti nella tradizione postmoderna, è possibile articolare una differente modalità d'intervento che restituisca alla persona una dimensione attiva nella costruzione dei significati attribuibili alle proprie esperienze ed autorappresentazioni. Questa pratica conferisce una scarsa utilità al processo diagnostico e non configura i disagi presentati dalla persona in termini di malattia. Il clinico non ricerca le cause secondo una teoria pregressa, ma fa riferimento alle ragioni presentate dalla persona, le quali vanno a costruire la cornice di senso e gli obiettivi attraverso cui strutturare l'intervento. In tal modo si evita di alienare la persona dai significati che attribuisce al proprio disagio, riconoscendole una competenza rispetto ai propri contenuti e posizionando il clinico quale esperto nelle interazioni implicate nei processi.

Di fronte a una persona che non si riconosce nel proprio genere, il clinico concorda con lei il mandato di intervento, sulla base di obiettivi contingenti, negoziabili e non assoluti. Così facendo, la psicoterapia non si configura come cura orientata alla guarigione, ma come intervento limitato alla costruzione di un benessere le cui caratteristiche appartengono agli spazi interattivi venuti a generarsi fra gli attori sociali coinvolti.

CAPITOLO 2

LA PROSPETTIVA COSTRUTTIVISTA E INTERAZIONISTA

QUALE "OGGETTO" PER LA PSICOLOGIA CLINICA?

La differenza fondamentale tra clinica medica e psicologica sta nel fatto che nella prima, generalmente, sia il malato che il medico concordano nel ritenere oggetto di cura l'organismo malato e si affidano entrambi alle conoscenze ufficiali della medicina. In psicologia, invece, è molto più difficile definire debba essere oggetto di intervento, conciliare le mo

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Publisher
A.A. 2020-2021
68 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/08 Psicologia clinica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher davidepirrone di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia clinica dell'interazione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Padova o del prof Faccio Elena.