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MODULO 5. SVILUPPI DELLA TEORICA DELL’ATTACCAMENTO E SISTEMI
MOTIVAZIONALI
5.1. P. Fonagy e M. Target: sviluppi della teoria dell'attaccamento
capacità riflessiva
Il concetto di è stato introdotto da Peter Fonagy e Mary Target
(Fonagy, Target, 1991) per indicare “quella funzione mentale che organizza
l’esperienza del nostro e dell’altrui comportamento in termini di costrutti di stati
mentali”. Tale funzione comprende sia componenti autoriflessive sia componenti
interpersonali e fornisce la capacità di distinguere la realtà interna da quella esterna,
la finzione dai modi “reali” di funzionamento, i processi mentali ed emotivi
intrapersonali dalle comunicazioni interpersonali. Secondo Fonagy e Target (1993), la
processo
capacità riflessiva non è innata ma viene costruita attraverso un
intersoggettivo tra bambino piccolo e caregiver. In questo senso gli autori hanno
distinto due aspetti fondamentali del Sé: un “Sé pre-riflessivo o fisico”, che sperimenta
la vita in maniera diretta, non mediata, e un “Sé riflessivo o psicologico”, osservatore
interno della vita psichica, che vede se stesso ed il mondo alla luce di sentimenti,
credenze, desideri ed intenzioni, e che riflette sull’esperienza in termini psichici. Il Sé
pre-riflessivo è probabilmente presente in una forma primitiva sin dalla nascita e si
sviluppa completamente intorno ai sei mesi; il Sé riflessivo si sviluppa, invece, molto
più gradualmente durante i primi anni di vita, attraverso l’interazione significativa con
il mondo adulto. Fonagy ritiene, infatti, che lo sviluppo del Sé psicologico -e dunque
della funzione riflessiva- sia legato all’esperienza che il bambino fa nel percepire i
propri stati mentali come “capiti e pensati”: la comprensione che il caregiver ha della
mente del figlio incoraggerebbe quest’ultimo a servirsi della mente del genitore per
potere esplorare e comprendere la natura meramente rappresentazionale dei propri
stati mentali e sviluppare così quelle capacità metacognitive che lo renderanno in
grado di differenziare ciò che è apparente da ciò che è reale. L’acquisizione della
sistema intersoggettivo “sicuro”:
funzione riflessiva richiede, dunque, un perché il
bambino possa sviluppare un’adeguata funzione riflessiva, il caregiver deve essere
capace di cogliere e significare i suoi stati mentali, di riconoscerlo come un essere
mentale dotato di intenzioni, sentimenti, desideri, e di conferire intenzionalità al suo
comportamento. Proponendo una lettura evolutiva della funzione riflessiva, Fonagy e
Target (1997) sostengono che “la mentalizzazione avviene attraverso l’esperienza che
il bambino fa di quanto i propri stati mentali siano stati capiti e pensati grazie a
interazioni cariche di affetto con il genitore. Al contrario, un sistema relazione
abusante, incurante, priva il bambino di un qualsivoglia contenimento emotivo, e
dunque gli nega quella base emotivo-cognitivo necessaria per la costruzione e lo
sviluppo di un più profondo senso del sé (Fonagy, Target, 1991). L’assenza o la
distorsione delle funzioni di rispecchiamento può, infatti, generare un mondo
psicologico nel quale le esperienze interiori sono scarsamente rappresentate,
determinando un disperato bisogno di modalità alternative di contenimento
dell’esperienza psicologica. Lo sviluppo delle capacità riflessiva è, dunque,
strettamente legato agli stili di attaccamento, e risulta fondamentale per lo sviluppo
del Sè e della regolazione affettiva.
Attaccamento e regolazione emotiva: l’influenza dell’attaccamento sui meccanismi di
regolazione dello stress
La condivisione e il rispecchiamento di emozioni -in particolare di quelle positive-, e
l’esperienza di sicurezza con la madre, hanno, infatti, un’influenza importante nello
sviluppo affettivo del bambino e nella sua capacità di regolare gli affetti. La
regolazione emotiva è un processo attivo che coinvolge la dimensione neurofisiologica,
comportamentale e cognitivo-esperienziale. Il bambino deve imparare a dare un
significato psicologico ai suoi accadimenti somatici. L’emozione, nelle primissime fasi
di vita, è, infatti, vissuta solo a livello somatico. È utile in tal senso fare una distinzione
tra due termini di lingua inglese: emotions e feelings. Emotions -letteralmente
emozioni- sono fenomeni biologici innati, geneticamente programmati, mediati dai
sistemi subcorticali e limbici, e basati su segnali non verbali (dominio neurofisiologico
e comportamentale). Feelings -letteralmente sentimenti- sono invece fenomeni
psicologici individuali molto più complessi perché implicano l’elaborazione cognitiva e
il vissuto soggettivo mediato dalle funzioni neocorticali (dominio cognitivo-
esperienziale); costituiscono la componente psicologica dell’affetto e risentono molto
delle influenze esterne (Taylor, 2004).
Per regolazione affettiva non si intende semplicemente il controllo delle emozioni, ma
la capacità di tollerare affetti negativi intensi e prolungati bilanciandoli con affetti di
tono positivo in modo autonomo, ossia senza ricorrere a oggetti esterni o acting
comportamentali.
Evidenze empiriche mostrano che lo sviluppo di tale funzione è strettamente connesso
al legame di attaccamento, poiché dipende dall’introiezione della funzione regolativa
in origine svolta dal caregiver. La relazione madre-bambino è, quindi, intesa come un
sistema interattivo che organizza e regola il comportamento e la fisiologia del bambino
sull’asse ipotalamo-ipofisi-surrene
fin dalla nascita. Gli studi forniscono, a proposito,
alcune delle più importanti prove delle implicazioni per la salute del primo
attaccamento tra bambino e caregiver. Come noto, l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene
(HPA) svolge un ruolo fondamentale nel regolare le risposte comportamentali,
emotive, autonome ed endocrine allo stress, in quanto collega il sistema nervoso al
sistema endocrino, permettendo al primo di svolgere azioni di regolazione sul secondo.
Ricordiamo che Una volta che le richieste ambientali (stressor) sono elaborate nel
sistema nervoso centrale dai centri neurocorticali e limbici, l’ipotalamo rilascia
corticotropina e (CRF) e vasopressina nell’ipofisi anteriore, stimolando la sintesi e il
rilascio di adrenocorticotropina (ACTH). Questo innesca a sua volta l’immediato rilascio
di catecolamine (epinefrina e norepinefrina) e il successivo rilascio di glucocorticoidi
surrenali (in particolare cortisolo). Le catecolamine e i glucocorticoidi operano
contemporaneamente per aumentare il livello di glucosio nel sangue e influenzare il
tipo specifico, la dimensione e la durata della risposta immunitaria alle richieste
ambientali. Nello stesso tempo l’aumento del livello di glucocorticoidi svolge un’azione
retroattiva inibendo la sintesi e il rilascio di CRF, contribuendo ad abbassare
l’attivazione, in relazione allo stress, dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), non
sindrome
appena sia stata organizzata un’adeguata risposta neuroendocrina. La
generale di adattamento -GAS- (Seley, 1936) prevede, infatti, tre diversi stadi ben
definiti (fase di allarme; fase di resistenza; fase di esaurimento). Se questa reazione si
prolunga si produce danni organici irreversibili, conseguenti a gravi scompensi
metabolici. Come evidenziato da Sapolsky (1996), l’eccessiva secrezione di cortisolo
combinata a un’esagerata reattività dell’HPA è associata a una degenerazione neurale
dell’ippocampo, con dirette implicazioni sulla memoria, sull’attenzione e sulle capacità
cognitive già all’età di dodici mesi (Gunnar, 1998). L’iperattività dell’HPA è, inoltre,
associata a un disturbato funzionamento del sistema immunitario (Coe, Rosenberg,
Levine, 1998), a deterioramento della memoria e dei processi attentivi (Lupien, 1994)
ed aumentato rischio di sviluppare disturbi e patologie diverse, come diabete,
ipertensione e cancro (Stellar, McEwen, 1993). Le differenze interindividuali
nell’attività dell’HPA sono in parte ereditarie (Wuest, Federenko, Hellhammer,
Kirschbaum, 2000), ma sono a che influenzate dalle prime esperienze di stress e di
accudimento.
I legami di attaccamento come strategie di regolazione emotiva
Il bambino non è immediatamente capace di regolare la propria vita affettiva, dandole
un significato psicologico (Taylor, 1987). Il neonato, inteso come Sé precoce e non
ancora sufficientemente strutturato, vive le proprie sensazioni interne come un
tutt’uno con quelle provenienti dall’esterno, e comunica i propri stati emotivi solo
attraverso movimenti corporei. Nel corso dello sviluppo psicobiologico, impara a
differenziare le sensazioni interne da quelle esterne, e a modulare le unità di
espressione affettiva. La maturità, in senso evolutivo, viene raggiunta quando è in
grado di comprendere la complessità e l’ambivalenza degli affetti, non solo all’interno
del proprio sé ma anche negli altri. Questo processo interno non avviene però per una
spinta innata, ma è modulato -e quindi anche facilitato o impedito- nel contesto della
relazione primaria con la figura materna. Non esiste, infatti, secondo Sroufe
un’originaria capacità di autoregolazione emotiva nel bambino, se non a livello
potenziale. Secondo tale prospettiva, le prime forme di regolazione emotiva nascono
,
nell’ambito della relazione diadica con il caregiver che appunto funge, soprattutto
durante il primo anno di vita, da regolatore delle emozioni infantili. Dopo una prima
fase (0-2 mesi) in cui la regolazione della tensione avviene in modo fisiologico
nell’ambito dell’accudimento, Sroufe identifica una seconda fase della “regolazione
guidata” (3-6 mesi di vita) nel corso della quale il caregiver svolge un ruolo
fondamentale, aiutando con suoi interventi specifici il bambino a modulare la sua
tensione a fronte di emozioni intense sia negative che positive. La fase che segue,
definita da Sroufe della “regolazione diadica”, coincide con il secondo semestre di vita
e con il consolidarsi di specifici legami di attaccamento. In questa fase il bambino
diventa in grado di richiedere intenzionalmente all’adulto interventi regolatori e al
contempo inizia a formarsi schemi cognitivo-affettivi di tali esperienze che faranno da
guida nelle sue successive relazioni (i modelli operativi interni). Il legame di
attaccamento emergente nel corso del primo e del secondo anno di vita costituisce
per Sroufe l’apice della regolazione emozionale diadica raggiunta (Sroufe, 1995). A
partire dalla fine del secondo anno