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Riassunto esame Psicologia Dinamica, prof. Attimonelli. libri consigliati Manuale di psicologia dinamica, Il Mulino, 1999, Lis, Stella, Zavattini, McWilliams; Il caso clinico. Dal colloquio alla diagnosi, Cortina Editore Pag. 1 Riassunto esame Psicologia Dinamica, prof. Attimonelli. libri consigliati Manuale di psicologia dinamica, Il Mulino, 1999, Lis, Stella, Zavattini, McWilliams; Il caso clinico. Dal colloquio alla diagnosi, Cortina Editore Pag. 2
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MODULO 5. SVILUPPI DELLA TEORICA DELL’ATTACCAMENTO E SISTEMI

MOTIVAZIONALI

5.1. P. Fonagy e M. Target: sviluppi della teoria dell'attaccamento

capacità riflessiva

Il concetto di è stato introdotto da Peter Fonagy e Mary Target

(Fonagy, Target, 1991) per indicare “quella funzione mentale che organizza

l’esperienza del nostro e dell’altrui comportamento in termini di costrutti di stati

mentali”. Tale funzione comprende sia componenti autoriflessive sia componenti

interpersonali e fornisce la capacità di distinguere la realtà interna da quella esterna,

la finzione dai modi “reali” di funzionamento, i processi mentali ed emotivi

intrapersonali dalle comunicazioni interpersonali. Secondo Fonagy e Target (1993), la

processo

capacità riflessiva non è innata ma viene costruita attraverso un

intersoggettivo tra bambino piccolo e caregiver. In questo senso gli autori hanno

distinto due aspetti fondamentali del Sé: un “Sé pre-riflessivo o fisico”, che sperimenta

la vita in maniera diretta, non mediata, e un “Sé riflessivo o psicologico”, osservatore

interno della vita psichica, che vede se stesso ed il mondo alla luce di sentimenti,

credenze, desideri ed intenzioni, e che riflette sull’esperienza in termini psichici. Il Sé

pre-riflessivo è probabilmente presente in una forma primitiva sin dalla nascita e si

sviluppa completamente intorno ai sei mesi; il Sé riflessivo si sviluppa, invece, molto

più gradualmente durante i primi anni di vita, attraverso l’interazione significativa con

il mondo adulto. Fonagy ritiene, infatti, che lo sviluppo del Sé psicologico -e dunque

della funzione riflessiva- sia legato all’esperienza che il bambino fa nel percepire i

propri stati mentali come “capiti e pensati”: la comprensione che il caregiver ha della

mente del figlio incoraggerebbe quest’ultimo a servirsi della mente del genitore per

potere esplorare e comprendere la natura meramente rappresentazionale dei propri

stati mentali e sviluppare così quelle capacità metacognitive che lo renderanno in

grado di differenziare ciò che è apparente da ciò che è reale. L’acquisizione della

sistema intersoggettivo “sicuro”:

funzione riflessiva richiede, dunque, un perché il

bambino possa sviluppare un’adeguata funzione riflessiva, il caregiver deve essere

capace di cogliere e significare i suoi stati mentali, di riconoscerlo come un essere

mentale dotato di intenzioni, sentimenti, desideri, e di conferire intenzionalità al suo

comportamento. Proponendo una lettura evolutiva della funzione riflessiva, Fonagy e

Target (1997) sostengono che “la mentalizzazione avviene attraverso l’esperienza che

il bambino fa di quanto i propri stati mentali siano stati capiti e pensati grazie a

interazioni cariche di affetto con il genitore. Al contrario, un sistema relazione

abusante, incurante, priva il bambino di un qualsivoglia contenimento emotivo, e

dunque gli nega quella base emotivo-cognitivo necessaria per la costruzione e lo

sviluppo di un più profondo senso del sé (Fonagy, Target, 1991). L’assenza o la

distorsione delle funzioni di rispecchiamento può, infatti, generare un mondo

psicologico nel quale le esperienze interiori sono scarsamente rappresentate,

determinando un disperato bisogno di modalità alternative di contenimento

dell’esperienza psicologica. Lo sviluppo delle capacità riflessiva è, dunque,

strettamente legato agli stili di attaccamento, e risulta fondamentale per lo sviluppo

del Sè e della regolazione affettiva.

Attaccamento e regolazione emotiva: l’influenza dell’attaccamento sui meccanismi di

regolazione dello stress

La condivisione e il rispecchiamento di emozioni -in particolare di quelle positive-, e

l’esperienza di sicurezza con la madre, hanno, infatti, un’influenza importante nello

sviluppo affettivo del bambino e nella sua capacità di regolare gli affetti. La

regolazione emotiva è un processo attivo che coinvolge la dimensione neurofisiologica,

comportamentale e cognitivo-esperienziale. Il bambino deve imparare a dare un

significato psicologico ai suoi accadimenti somatici. L’emozione, nelle primissime fasi

di vita, è, infatti, vissuta solo a livello somatico. È utile in tal senso fare una distinzione

tra due termini di lingua inglese: emotions e feelings. Emotions -letteralmente

emozioni- sono fenomeni biologici innati, geneticamente programmati, mediati dai

sistemi subcorticali e limbici, e basati su segnali non verbali (dominio neurofisiologico

e comportamentale). Feelings -letteralmente sentimenti- sono invece fenomeni

psicologici individuali molto più complessi perché implicano l’elaborazione cognitiva e

il vissuto soggettivo mediato dalle funzioni neocorticali (dominio cognitivo-

esperienziale); costituiscono la componente psicologica dell’affetto e risentono molto

delle influenze esterne (Taylor, 2004).

Per regolazione affettiva non si intende semplicemente il controllo delle emozioni, ma

la capacità di tollerare affetti negativi intensi e prolungati bilanciandoli con affetti di

tono positivo in modo autonomo, ossia senza ricorrere a oggetti esterni o acting

comportamentali.

Evidenze empiriche mostrano che lo sviluppo di tale funzione è strettamente connesso

al legame di attaccamento, poiché dipende dall’introiezione della funzione regolativa

in origine svolta dal caregiver. La relazione madre-bambino è, quindi, intesa come un

sistema interattivo che organizza e regola il comportamento e la fisiologia del bambino

sull’asse ipotalamo-ipofisi-surrene

fin dalla nascita. Gli studi forniscono, a proposito,

alcune delle più importanti prove delle implicazioni per la salute del primo

attaccamento tra bambino e caregiver. Come noto, l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene

(HPA) svolge un ruolo fondamentale nel regolare le risposte comportamentali,

emotive, autonome ed endocrine allo stress, in quanto collega il sistema nervoso al

sistema endocrino, permettendo al primo di svolgere azioni di regolazione sul secondo.

Ricordiamo che Una volta che le richieste ambientali (stressor) sono elaborate nel

sistema nervoso centrale dai centri neurocorticali e limbici, l’ipotalamo rilascia

corticotropina e (CRF) e vasopressina nell’ipofisi anteriore, stimolando la sintesi e il

rilascio di adrenocorticotropina (ACTH). Questo innesca a sua volta l’immediato rilascio

di catecolamine (epinefrina e norepinefrina) e il successivo rilascio di glucocorticoidi

surrenali (in particolare cortisolo). Le catecolamine e i glucocorticoidi operano

contemporaneamente per aumentare il livello di glucosio nel sangue e influenzare il

tipo specifico, la dimensione e la durata della risposta immunitaria alle richieste

ambientali. Nello stesso tempo l’aumento del livello di glucocorticoidi svolge un’azione

retroattiva inibendo la sintesi e il rilascio di CRF, contribuendo ad abbassare

l’attivazione, in relazione allo stress, dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), non

sindrome

appena sia stata organizzata un’adeguata risposta neuroendocrina. La

generale di adattamento -GAS- (Seley, 1936) prevede, infatti, tre diversi stadi ben

definiti (fase di allarme; fase di resistenza; fase di esaurimento). Se questa reazione si

prolunga si produce danni organici irreversibili, conseguenti a gravi scompensi

metabolici. Come evidenziato da Sapolsky (1996), l’eccessiva secrezione di cortisolo

combinata a un’esagerata reattività dell’HPA è associata a una degenerazione neurale

dell’ippocampo, con dirette implicazioni sulla memoria, sull’attenzione e sulle capacità

cognitive già all’età di dodici mesi (Gunnar, 1998). L’iperattività dell’HPA è, inoltre,

associata a un disturbato funzionamento del sistema immunitario (Coe, Rosenberg,

Levine, 1998), a deterioramento della memoria e dei processi attentivi (Lupien, 1994)

ed aumentato rischio di sviluppare disturbi e patologie diverse, come diabete,

ipertensione e cancro (Stellar, McEwen, 1993). Le differenze interindividuali

nell’attività dell’HPA sono in parte ereditarie (Wuest, Federenko, Hellhammer,

Kirschbaum, 2000), ma sono a che influenzate dalle prime esperienze di stress e di

accudimento.

I legami di attaccamento come strategie di regolazione emotiva

Il bambino non è immediatamente capace di regolare la propria vita affettiva, dandole

un significato psicologico (Taylor, 1987). Il neonato, inteso come Sé precoce e non

ancora sufficientemente strutturato, vive le proprie sensazioni interne come un

tutt’uno con quelle provenienti dall’esterno, e comunica i propri stati emotivi solo

attraverso movimenti corporei. Nel corso dello sviluppo psicobiologico, impara a

differenziare le sensazioni interne da quelle esterne, e a modulare le unità di

espressione affettiva. La maturità, in senso evolutivo, viene raggiunta quando è in

grado di comprendere la complessità e l’ambivalenza degli affetti, non solo all’interno

del proprio sé ma anche negli altri. Questo processo interno non avviene però per una

spinta innata, ma è modulato -e quindi anche facilitato o impedito- nel contesto della

relazione primaria con la figura materna. Non esiste, infatti, secondo Sroufe

un’originaria capacità di autoregolazione emotiva nel bambino, se non a livello

potenziale. Secondo tale prospettiva, le prime forme di regolazione emotiva nascono

,

nell’ambito della relazione diadica con il caregiver che appunto funge, soprattutto

durante il primo anno di vita, da regolatore delle emozioni infantili. Dopo una prima

fase (0-2 mesi) in cui la regolazione della tensione avviene in modo fisiologico

nell’ambito dell’accudimento, Sroufe identifica una seconda fase della “regolazione

guidata” (3-6 mesi di vita) nel corso della quale il caregiver svolge un ruolo

fondamentale, aiutando con suoi interventi specifici il bambino a modulare la sua

tensione a fronte di emozioni intense sia negative che positive. La fase che segue,

definita da Sroufe della “regolazione diadica”, coincide con il secondo semestre di vita

e con il consolidarsi di specifici legami di attaccamento. In questa fase il bambino

diventa in grado di richiedere intenzionalmente all’adulto interventi regolatori e al

contempo inizia a formarsi schemi cognitivo-affettivi di tali esperienze che faranno da

guida nelle sue successive relazioni (i modelli operativi interni). Il legame di

attaccamento emergente nel corso del primo e del secondo anno di vita costituisce

per Sroufe l’apice della regolazione emozionale diadica raggiunta (Sroufe, 1995). A

partire dalla fine del secondo anno

Dettagli
A.A. 2018-2019
29 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/07 Psicologia dinamica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher pamela.nistico di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia dinamica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università telematica Niccolò Cusano di Roma o del prof Attimonelli Gabriella.