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MODULO 2. MODELLI PSICOANALITICI POST-FREUDIANI
2.1 C. G. Jung: la Psicologia Analitica
Carl Gustav Jung (1875-1961) occupa un posto di grande rilievo tra i pionieri della
psicologia dinamica. A lui si riconosce il merito non solo di aver contribuito
enormemente alla diffusione della psicoanalisi nella cultura psichiatrica europea, ma
anche di avere fondato un nuovo approccio teorico-clinico da lui stesso definito come
Psicologia Analitica. il nucleo centrale che ispira tutta la sua opera è la conoscenza,
fino anche alle estreme conseguenze, degli aspetti più reconditi della psiche umana.
Jung nasce nei dintorni di Basilea nel 1875. Dopo la laurea in medicina, proseguì la
sua formazione come psichiatra presso l’ospedale Burgholzli di Zurigo diretto da
Bleuler. Lì Jung fu incoraggiato ad utilizzare test psicologici per studiare i processi
mentali e gli fu affidato la conduzione di esperimenti con il reattivo delle associazioni
mentali i cui risultati, come vedremo a breve, andarono a costituire le basi empiriche
di alcuni concetti centrali del suo modello. Gli insegnamenti di Bleuler lo avvicinarono
a Freud. In Freud, Jung trovava un vero maestro che aveva sviluppato, in un’articolata
teoria del funzionamento mentale, l’ipotesi che la psicopatologia non fosse il frutto di
una degenerazione cerebrale ereditaria, ma piuttosto il risultato di complessi processi
mentali, costituitisi lungo il periodo infantile. fu lo stesso Freud ad affidargli la
presidenza dell’Associazione psicoanalitica internazionale (fondata a Norinberga nel
1910) nonché la direzione esecutiva della prima rivista psicoanalitica. Tuttavia, nel
corso di pochi anni divenne sempre più evidente la distanza con il maestro viennese
che lo portò nel 1913 a dimettersi dall’Associazione psicoanalitica. Nel corso degli anni
ampliò costantemente la sua costruzione teorica che portò poi alla Psicologia Analitica.
La teoria dei complessi
secondo questa teoria, il funzionamento psichico di ciascun individuo è articolato in
complessi, ovvero in diversi insiemi di rappresentazioni, pensieri e ricordi, in parte o
del tutto inconsci, dotati ciascuno di un proprio tono emotivo o valore affettivo.
La teoria dei complessi inquadra l’esperienza della soggettività non come un’entità
unica e coesa ma come divisa in aspetti dissociati e non sempre integrati tra loro. Il
tono emotivo o “valore affettivo” rende tali complessi autonomi fino ad arrivare in certi
casi a “infrangere il dominio e il sentimento di sé dell’individuo”. Tali complessi
possono infatti interferire più o meno in maniera intensa nell’esistenza dell’individuo a
seconda della loro carica emotiva. Ma come si originano? Rispetto alla concezione
freudiana, nella quale il complesso è posto sempre in relazione alle vicissitudini della
sessualità, nella psicologia junghiana, invece, esso è legato ad una diversa concezione
della libido e alla nozione di simbolo e archetipo. Jung intende per libido l’energia
psichica in senso ampio, motore di ogni manifestazione di vita dell’uomo. È quindi un
sinonimo di energia vitale che non si riduce a quella legata alla sessualità ma
abbraccia tutti gli ambiti di vita dell’individuo. La libido può assumere due diverse
direzioni: quella progressiva, cioè verso il mondo esterno, e quella regressiva, verso il
mondo interno. Secondo Jung è infatti solo sulla base di esigenze interne soddisfatte
che è possibile aderire armonicamente alle proprie esigenze e a quelle poste
dall’ambiente. La libido può essere sottoposta a delle trasformazioni (che Jung
attribuisce a un apparato di conversione chiamato funzione simbolica), attraverso le
quali la libido viene trasformata in simbolo. I simboli svolgono dunque una azione
fondamentale di mediazione tra conscio e inconscio, essendo espressione di contenuti
più o meno accessibili alla coscienza, e se adeguatamente tradotti possono
permettere il processo di crescita psicologica e l’individuazione, inteso (come vedremo
meglio a breve) come il perseguimento di un’autonomia individuale dagli stereotipi
culturali, e quindi come costruzione di un’individualità a partire da una cultura
comune. Jung concepisce la mente come “una totalità che è conscia e inconscia allo
stesso tempo”.
Nella visione di Jung il simbolo non è un qualcosa di già noto, bensì un’espressione “
che formula la cosa ricercata, attesa o presentita. Il simbolo è intimamente collegato
con qualche aspetto inconscio, a qualche cosa che sta cercando di emergere. Il riuscire
a cogliere, almeno in parte questi contenuti nuovi, sottolinea Jung, dipende
dall’atteggiamento della coscienza. Jung attribuisce all’inconscio una funzione di
compensazione rispetto alla coscienza. E’ nel conflitto e nel contrasto che si può
generare qualcosa di nuovo, con la tensione tra gli opposti che viene superata proprio
con quel simbolo in grado, come sottolinea l’etimologia (symbolon che significa
congiungere, tenere insieme, unire), di riunificare. I simboli con questa loro capacità di
riunire gli opposti, di andare oltre facendo intravedere nuove direzioni sono basilari ai
fini del processo di individuazione, cioè quel lungo e tortuoso e percorso che porta a
divenire se stessi. A livello pratico è possibile vedere l’effetto dei simboli prendendo in
considerazione per un certo periodo di tempo i sogni di una persona. Osservandone
una lunga sequenza è possibile vedere come i vari simboli emersi nelle varie situazioni
conflittuali fossero legati da un filo comune che pian piano conduce verso il Sé: il vero
centro della personalità e paradossalmente anche ciò che la delimita nella sua totalità.
Il Sé che può sembrare un concetto astratto si manifesta empiricamente con simboli di
totalità come il mandala; con simboli di complexio oppositorum come il Tao, la Croce;
con simboli che esprimono una personalità superiore come quella di un eroe o di un re.
L’architettura psichica si compone di tre modalità di funzionamento: la coscienza,
l’inconscio personale e l’inconscio collettivo. La coscienza è indissolubilmente legata
all’Io, inteso come una funzione della personalità volta ad esperire il mondo esterno e
quello psichico. Le esperienze e i contenuti psichici che non fanno parte della
coscienza e che tuttavia sono sempre suscettibili ad emergere attraverso ad esempio i
sogni, delimitano lo spazio dell’inconscio personale. L’inconscio collettivo che possiede
un carattere universale, che accomuna l’intera umanità. L’idea di inconscio collettivo
nasce dalla convinzione dell’esistenza di simboli universali che si manifestano a livello
individuale nei sogni, nei disegni liberi, nell’immaginazione e nei deliri, e a livello
collettivo nei miti, nelle fiabe e nelle opere d’arte. L’inconscio collettivo rappresenta
dunque il deposito della memoria ancestrale. I contenuti dell’inconscio collettivo sono
gli archetipi, che hanno un carattere universale, immutabile e perpetuo. Gli archetipi
costituiscono la memoria dell’umanità che permane in un inconscio che si trasmette
per eredità genetica. Gli archetipi devo essere visti come potenzialità espressive e
idee generali che preformano l’esperienza. Descrive diversi archetipi tra cui:
Persona: può essere inteso come l’immagine che l’individuo dà di sé agli altri,
come una “maschera che simula l’individualità”. La Persona può anche essere
intesa come la somma degli atteggiamenti convenzionali che l’individuo adotta
in seguito all’appartenenza a certi gruppi (professionali, classe sociale, partito
politico, nazione).
Ombra: rappresenta l’altro lato della personalità, il suo lato oscuro,
indifferenziato che si oppone all’Io cosciente. Esso rappresenta i contenuti
psichici rimossi dell’inconscio personale e in particolare sia quegli aspetti
inaccettabili per l’Io sia quelli di carattere positivo che permettono di attingere
alle celate potenzialità individuali.
Anima e Animus: rispettivamente inerenti alla psicologia maschile e femminile.
L’Anima è “il femminile che fa parte dell’uomo come sua femminilità inconscia”;
costituisce una figura ideale presente nell’uomo. Tale immagine interna viene
proiettata sulla donna amata a cui si attribuiscono spesso qualità che in realtà
non le appartengono. L’Animus è invece l’elemento maschile inconscio della
donna.
Sé: rappresenta il punto di congiunzione tra la dimensione individuale e quella
collettiva dell’esperienza soggettiva, il senso di essere “unico” e al contempo di
appartenere intimamente al mondo degli altri essere viventi.
I Tipi psicologici
Per cercare di spiegare le differenze individuali e le diverse caratteristiche di
personalità, Jung in Tipi psicologici del 1921, individua due atteggiamenti o
orientamenti fondamentali e quattro funzioni psicologiche che combinati
insieme in maniera specifica possono originare peculiari “tipi psicologici”.
I due atteggiamenti fondamentali sono l’estroversione e l’introversione da
cui dipende il tipo di relazione che l’individuo sviluppa con se stesso e
l’ambiente. L’atteggiamento introverso porta ad anteporre la vita psichica
soggettiva all’oggetto e alla realtà; è quindi del tutto privilegiato il mondo
interiore a scapito della realtà esterna; l’atteggiamento estroverso induce,
invece, a dare un valore preponderante all’oggetto, ovvero alla realtà
esterna a scapito della fantasia e dei processi soggettivi. Ogni individuo è in
possesso di entrambi i meccanismi, e seguendo la legge di compensazione
psichica, nessuno dei due atteggiamenti dovrebbe essere assolutamente
egemone sull’altro. Questi due atteggiamenti si uniscono a 4 funzioni
psichiche: pensiero, sentimento, intuizione e sensazione. Il pensiero è la
funzione che si basa sulla conoscenza e sulla comprensione razionale delle
cose; il sentimento è la funzione valutativa della realtà, ovvero il modo con
cui diamo un valore positivo o negativo alle cose; entrambe le funzioni, sono
definite razionali in quanto consentono di fare un giudizio e una valutazione
della realtà ma, operando su registri del tutto opposti, risultano in antitesi e
incompatibili tra loro. La sensazione e l’intuizione corrispondono invece
rispettivamente alla percezione sensoriale della realtà, così come essa si
offre al soggetto, e all’incontro del soggetto