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L1 è la lingua madre, d’origine, L2 è la lingua che si apprende successivamente alla lingua madre ed è
acquisita nel contesto in cui è lingua d’ uso. LS è la lingua straniera, quella che non si apprende nel paese in
cui è d’ uso ma in un contesto scolastico. Imparare a parlare una lingua significa imparare ad usare categorie
mentali e forme del pensiero. Nell’ ambito scolastico il processo di apprendimento di una lingua non è così
immediato come si potrebbe pensare, perché deve seguire una ricostruzione interiore. Anche se nelle
interazioni quotidiane non sembra aver problemi, emergono poi difficoltà sia nel costruire la conversazione
con profondità di argomenti e nel parlare di sé, come pure nell’ acquisizione delle strutture logico-
grammaticali. Tutto ciò è dovuto al fatto che B istituzionalizzati per molto tempo non hanno avuto modo di
dare nomi ai sentimenti e alle loro emozioni. Può accadere che il B adottato internazionalmente venga
inserito in gruppi di attività interculturali o di facilitazione alla lingua come L2. Generalmente sono gruppi di
stranieri e questa assimilazione può essere x loro dannosa. Infatti ci sono differenza tra straniero e adottato
internazionalmente. Per quest’ ultimo si parla di lingua d’ origine e non di lingua madre (poiché la perde
subito, si apprende “guardando i pari”, è una lingua fredda, povera, strumentale). Per i B stranieri conservarla
significa preservare il proprio senso di identità. Hanno differenza di cultura e differenti tratti somatici: per
stranieri è appartenenza ad un gruppo sociale, per adottato può essere sofferenza. Il percorso che compie lo
straniero è verso l’ esterno, ovvero verso un’ integrazione sociale, quello dell’ adottato è verso l’ interno,
cercando di integrarsi, assimilandosi al nuovo ambito familiare, sociale e culturale. Il B adottato porta in sé
soprattutto una diversità di ordine psicologico e affettivo. Nella costruzione dell’ identità etnica, molto
importanti sono le esperienze pregresse vissute nel Paese d’origine, il ricordo che se ne conserva e le
opportunità di rapporto con l’ etnia di nascita. Questa è la cosa più difficile da attuare in quanto i genitori
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adottivi temono che il ragazzo possa tornare un gg nel paese natale o di cercare i genitori biologici. Tale
paura dovrebbe essere superata considerando l’ importanza che ne deriverebbe a vantaggio del ragazzo
adottato che più facilmente riuscirebbe a svincolarsi da giudizi e luoghi comuni che lo legano a pregiudizi
riguardanti la propria etnia e paese d’origine. L’ adolescente adottivo si trova a dover fare una scelta sul tipo
di approccio da avere nei confronti del proprio sé e del proprio passato. Gli atteggiamenti tipici sono
solitamente tre: identità adottiva non esplorata, identità limitata ( interesse scostante), identità integrata e
coerente.
La lettura e l’ analisi della documentazione reperita dal Centro Studi ha rintracciato in tutte le esperienze
alcune costanti ritenute centrali per un percorso di accoglienza scolastica, in particolare: la definizione di un
percorso che dall’ accoglienza porti all’ integrazione e garantisca la continuità educativa (area Accoglienza);
l’ utilizzo di strumenti specifici, organizzativi e didattici (area Strumenti); la presenza di operatori scolastici
formati e di riferimento (area Referenti). Si è così proceduto alla stesura del questionario di rilevazione delle
buone pratiche pensandolo anche come un possibile vademecum per indirizzare l’ accoglienza. Chiedendo
alle istituzioni scolastiche di compilarlo per il tramite o dei Dirigenti scolastici o dei docenti incaricati, si
sono invitate le stesse a prendere visione di una possibile traccia cui confrontare il proprio modello di
accoglienza. Si dava così risposta alle domande iniziali: se esistono e sono possibili modalità di accoglienza
idonee per i B adottati, se sono reperibili e applicati strumenti per agevolare l’ accoglienza. È importante
approntare soluzioni organizzative e proposte didattiche idonee a favorire la costruzione dell’ identità etnica.
La finalità è non solo di raccolta quantitativa dei dati, ma anche la proposta di un possibile modello operativo
per improntare un’ accoglienza. Era stato inviato via mail a tutte le scuole della provincia con lettera
d’accompagno che spiegava. Ma per problemi connessi con l’ invio elettronico, è stato recapitato sotto forma
cartacea direttamente nelle sedi individuate, incontrando i docenti o i Dirigenti e sollecitando
telefonicamente una risposta. Solo 8 hanno risposto. In base a questa, riportiamo le riflessioni in base
secondo le tre aree ravvisabili sul questionario stesso. AREA ACCOGLIENZA: il colloquio conoscitivo è il
primo approccio tra famiglia e scuola e il primo indice di accoglienza. Il questionario vuole evidenziare l’
importanza di tali incontri sia per comunicare alla scuola il vissuto del bambino, la sua esperienza pregressa,
il grado di conoscenza della lingua ita. Elementi da tenere in considerazione nella scelta della classe di
inserimento, al di là dell’ età anagrafica del B. E’ anche necessario che gli insegnanti sappiamo come è stata
spiegata al minore la sua storia personale e come la famiglia vorrebbe fosse fatto. Dalle risposte emerge che
nessun istituto ha previsto nel proprio POF un protocollo di accoglienza. Sono però in uso procedure di
primo ascolto delle famiglie adottive. 6 istituti su 8 svolgono un colloquio conoscitivo. AREA
STRUMENTI: analizzando i questionari si evidenzia come nessun istituto sia dotato di una “scheda
conoscitiva predefinita” per la raccolta di dati utili all’ iscrizione del minore durante il colloquio che avviene
prima dell’ inserimento. Nessun istituto ha predisposto strumenti specifici per la verifica e la valutazione
delle varie fasi dell’ inserimento dei minori adottati. Anche la scelta dei libri di testo rappresenta un indice
importante per promuovere una cultura dell’ accoglienza. Nessun istituto, nella scelta dei libri di testo
scolastici, tiene conto dei temi dell’ adozione. AREA REFERENTE SPECIFICO: per il raccordo tra scuola,
famiglia, enti e servizi e anche per garantire una continuità tra una classe e l’ altra o tra un ordine scolastico
ad un altro, è utile la presenza di un referente specifico. In nessun istituto il Referente Specifico segue un
protocollo operativo specifico nello svolgimento delle sue funzioni, ma si organizza con procedure
autonome.
CAP. 5
(gruppi di tipo solidaristico che offrono servizi per la famiglia sul piano del volontariato. I membri sono
portatori di un bisogno familiare associazioni self-help)
Le associazioni familiari sono diventate una risorsa importante poiché giocando un ruolo fondamentale nel
sopperire ad alcune mancanze istituzionali e nel dar voce ai bisogni delle famiglie adottive. L’
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associazionismo familiare è una delle principali risposte ad una necessità intrinseca della società civile che
vuol trovare modalità alternative a quelle di oggi consolidate per poter produrre coesione sociale. Il forte
bisogno di condividere esperienze come l’ adozione, fa sì che le famiglie si uniscano per allontanare il senso
di solitudine che provano. Infatti le diverse iniziative che le associazioni svolgono sono pensate per il bene
collettivo e investono. Esse non possono e devono sostituirsi allo Stato ma riescono ad offrire un contributo
significativo prima, durante e dopo l’ adozione. Si prospettano di potenziare e sviluppare comunicazione e
informazione attraverso il costante confronto di esperienze tra famiglie. Il mondo dell’ associazionismo è
articolato e ricco di sfumature. La sociologa Elisabetta Carrà differenzia le associazioni. in base al grado di
familiarità: - in senso stretto, con elevata familiarità dei suoi soci. Si tratta di famiglie che si associano
partendo da un azione comune. Sono le associazioni di auto o mutuo-aiuto. Deve perseguire fini familiari in
forma diretta e esplicita sia x le famiglie coinvolte nella stessa associazioni che per tutte le famiglie in
generale, secondo Sànchez. – le associazioni familiari in senso esteso, hanno un interesse esplicito per la
famiglia, i soci sono portatori di bisogni ma li caratterizza un comportamento prosociale. All’ interno dell’
adozione internazionale bisogna fare un ulteriore distinzione tra associazioni familiari e Enti Autorizzati=
fungono da mediatori tra adottanti e adottandi e sono uno strumento di garanzia dello stato contro gli abusi e
traffico di minori, intervengono nelle procedure x la realizzazione delle adozioni internazionali. Molti
nascono come associazioni familiari ma diventano erogatori di servizi e chiamarli così e riduttivo perché
quello che li caratterizza è la realizzazione dell’ adozione internazionale.
In Italia la riconsiderazione sia della famiglia che delle associazioni avviene intorno agli anni 80. Dopo la
crisi dello Stato sociale, le famiglie appaiono all’ improvviso appaiono protagoniste di nuove solidarietà, cioè
passano da un’ appartenenza locale ad una nuova socialità. Si sviluppa una nuova collettività. Solo dopo la
metà degli anni 90 l’ attenzione di alcune regioni verso la famiglia viene concretizzata dalla approvazione di
apposite leggi. L’ esempio più esplicativo è la Lombardia che oltre al riconoscimento di queste associazioni,
ha creato il “Registro delle associazioni di solidarietà familiare e sono stati finanziati progetti a tal fine.
Questa legge è servita come modello x altre. Italia 2 posto x adozioni. Progressivo innalzamento dell’ età dei
B. Welfare= “benessere”, sussidi pubblici.
Il termine EMPOWERMENT coniato da Rappaport 1977 ci si riferisce all’ acquisizione di potere o meglio,
all’ incremento delle capacità delle persone a controllare la propria vita. È un processo nel quale si
acquisiscono delle competenze per cambiare l’ambiente sociale in cui si vive e migliorare in questo modo la
qualità della vita. Lo sviluppo delle competenze permette alle persone di avere padronanza della propria vita.
Le 3 componenti dell’ empowerment sono: CONTROLLO quando una persona è capace di influenzare le
decisioni nella propria vita, CONSAPEVOLEZZA CRITICA quando si è in grado di comprendere il contesto
sociale e politico e riesce a individuare o gestire le risorse, PARTECIPAZIONE quando riesce a collaborare
con altri al raggiungimento di un obiettivo. Il termine deriva dall’ inglese to empower con significato di
conferire potere, mettere in grado di, quindi una forma di potenziamento a fav