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Le paure dettate dal pantraumatismo
Quindi, per tornare alle paure dettate dal pantraumatismo, è evidente come in questo caso lo stress provocato dalle situazioni di missmatch sia non solo positivo, ma abbia addirittura una finalità evolutiva: quella di consentire alla diade di riconoscersi attraverso la processualità della rottura della riparazione, imparare a regolarsi reciprocamente come segreto di un vero accesso alla relazione con l'altro. Oltretutto, grazie a queste situazioni, anche il bambino può rappresentarsi mentalmente la possibilità della riparazione, e non accedere immediatamente all'immagine dell'insormontabilità dei problemi. Attraverso il suddetto modello della regolazione, è possibile leggere l'evoluzione delle primissime interazioni tra il neonato e chi si prende cura di lui: in questa interazione quest'ultimo impara come regolare le esigenze biologiche, psicologiche e sociali all'interno di relazioni affidabili.
smetterà mai di avere bisogno dell'altro per regolare se stesso, ma le interazioni primarie di cui abbiamo appena parlato sono principalmente finalizzate allo sviluppo della capacità di regolarsi autonomamente (autoregolazione). Essere in grado di autoregolarsi sarà utile al bambino sia verso l'altro, al fine di ridurre i livelli di attivazione non sostenibili, sia verso se stesso, al fine di spostare l'attenzione da eventi potenzialmente disturbanti. Nel contesto in cui è da una buona regolazione infantile che nasce la precondizione per lo sviluppo di un "buon sé", si noti come uno degli indici principali dello sviluppo di questa base sia la capacità del bambino di rimandare una gratificazione che potrebbe essere immediata. A studiare questo fenomeno è Walter Mischel, il quale costruisce il cosiddetto esperimento del Marshmellow: l'esperimento consiste nel proporre a bambini in età prescolare
l'alternativa tra mangiare subito un dolce o attendere e quindi mangiarne due. Questo studio si è poi trasformato in uno studio longitudinale, il che ha permesso di studiare come si sarebbero evoluti i bambini che avrebbero preso le due rispettive scelte. In particolare si è dimostrato che coloro che sono stati in grado di posporre la gratificazione fin da piccoli, saranno adolescenti con alti livello di sviluppo cognitivo e capacità di affrontare situazioni difficili, adulti con migliori risultati scolastici, autostima, capacità di far fronte a condizioni stressanti, e quarantenni che hanno mantenuto un profilo di resistenza alla tentazione. Per quanto riguarda invece coloro che hanno ceduto alla tentazione immediata, si è dimostrato che tendenzialmente all'età di 11 anni risultavano in sovrappeso rispetto a coloro che avevano posticipato la ricompensa più desiderabile. Grazie a questi studi l'autocontrollo si dimostra.influente anche nello sviluppo di condizioni di rischio psicopatologico. Mischel definisce questa abilità come "Will Power", ovvero forza di volontà, in altre parole l'abilità nel contrastare la tentazione della ricompensa immediata, con l'attivazione di frustrazioni e distrazioni in vista di ricompense maggiori ma ritardate nel tempo. Gli studi di quest'autore sono stati padri di altri studi, che hanno dimostrato e approfondito i processi dell'autocontrollo, soprattutto per quanto riguarda le strategie che il bambino mette in atto al fine di esercitarlo: essi vanno in particolare nella direzione di ridirezionamento del focus dell'attenzione o modifica della rappresentazione cognitiva, in altre parole sono soliti distrarsi e guardare altrove, o pensare attivamente a cose o attività alternative e piacevoli. Nella condizione in cui una quota moderata di stress può essere funzionale alla crescita del bambino, èPurvero che ci sono situazioni che per l'ammontare di stress che provocano possono sfociare in conseguenze traumatiche. Per fare chiarezza con i termini, si veda la definizione di Salye: con eustress (Stress positivo) si intendono iprocessi adattivi di natura psicofisiologica che con sé portano effetti positivi nel senso di crescita, arricchimento della personalità ecc; distress (Stress negativo o disadattiva) è invece lo stress che sfocia nella manifestazione di comportamenti appunto disadattivi.
Un alto grado di mancanza di adattamento, quindi un alto grado di distress, può trasformare la condizione stressante in una condizione traumatica. In particolare, per il bambino, lo stress diviene traumatico quando minaccia la sua salute il suo benessere, rendendolo impotente di fronte ad un pericolo. In altre parole le sue cosiddette "abilità di copying" sono superate e il costo è quello della sopraffazione fisica, emozionale.
r capacità di un individuo di affrontare e superare situazioni di stress e difficoltà, mantenendo un buon funzionamento psicologico. La resilienza può essere considerata come una sorta di "elasticità mentale", che permette al bambino di adattarsi e reagire in modo positivo alle avversità. Nonostante le esperienze traumatiche, alcuni bambini riescono a sviluppare strategie di coping efficaci e a mantenere un buon equilibrio emotivo. È importante sottolineare che la resilienza non è una caratteristica innata, ma può essere sviluppata e potenziata attraverso fattori di protezione presenti nell'ambiente familiare, sociale e culturale. Ad esempio, la presenza di figure di riferimento stabili e di supporto emotivo può favorire la resilienza del bambino. Tuttavia, è fondamentale considerare che la resilienza non è una panacea e che ogni individuo reagisce in modo diverso alle esperienze traumatiche. Alcuni bambini potrebbero necessitare di interventi terapeutici specifici per affrontare e superare le conseguenze psicologiche dei traumi subiti. In conclusione, la resilienza rappresenta una risorsa importante per il benessere psicologico dei bambini che hanno vissuto esperienze traumatiche. È un processo dinamico e complesso, che dipende da molteplici fattori e che può essere potenziato attraverso interventi mirati.capacità di superare positivamente un elemento traumatico. L'avvio degli studi sulla resilienza si è inizialmente condotto prestando attenzione alle caratteristiche individuali del bambino, nel procedere progressivo della ricerca si sono inserite caratteristiche familiari e sociali come fattori centrali. Ancora una volta quindi si è adottata una prospettiva olistica del sistema, in quanto nel processo di adattamento del bambino, possono interagire diversi sistemi, come geni e ambiente. Infatti è anche possibile che uno stesso bambino non dimostri resilienza in un determinato momento, ma la dimostri successivamente; questo è spiegabile con il cambiare delle circostanze. Un aspetto importante della proprietà della resilienza, collegabile con quello della capacità di posporre la gratificazione e quindi di guardare costruttivamente al futuro, è quello della crescita postraumatica: la sofferenza, in questi casi, può produrre nella persona.anche un cambiamento positivo, il trauma in questicasi appare come un'opportunità di crescita personale. La finalità della crescita postraumatica è evidentenel senso in cui nel soggetto, si verifichi un aumento di fiducia nella propria forza personale nelle propriecapacità, come anche nella possibilità di essere in grado di affrontare situazioni difficili. Questo meccanismo è messo in atto da quello della cosiddetta "ruminazione volontaria" dell'evento: i soggetti tornano spessocon il pensiero a quanto accaduto cercando di comprenderlo, di inserire una visione più ampia della propriaesistenza che non include solo gli elementi traumatici e le loro conseguenze. Nota bene: È un processodiverso da quello dei pensieri intrusivi del trauma, in quanto essi sono involontari, improvvisi epsichicamente dolorosi. È quindi evidente che i bambini che hanno la proprietà di essere resilienti, sonocoloro cheSono in grado di andare oltre il momento presente e di farlo nonostante siamo immersi in un sistema caratterizzato dal Pantraumatismo dei caregiver. Questo è dettato dal fatto che siamo esseri di per la relazione, il che significa che nessuno più di noi conosce ciò di cui abbiamo bisogno, e che, per estensione, per quanto siamo fragili sta a noi stessi prendercene cura.
MORALITÀ
Il primo momento in assoluto in cui il genitore pone un significato ben preciso al figlio, è il momento in cui impone il nome. Questa storia è costellata di tappe: le società persiane per esempio, imponevano nomi ai nascituri coinvolgendo sempre il concetto di verità, la quale secondo loro era la virtù più grande di tutte; i romani analogamente accanto ai nomi derivati da quelli delle divinità, rimanendo fedeli al motto latino "nomen omen" erano soliti attribuire ai nomi dei bambini qualità fisiche e morali, come anche augurali.
Con la caduta dell'impero romano, la società occidentale anche nell'attribuzione del nome si lega particolarmente al cristianesimo: il nome viene assegnato con un sacramento, E adesso può essere associato il nome di un santo, di un mistero cristiano o una virtù cristiana. Nonostante oggi sia passato in secondo piano, nelle società appena citate il giorno dell'onomastico era ancora più importante del festeggiamento del compleanno. Nell'attuale sistema italiano quello di attribuzione del nome è un sistema ancora complesso: per esempio vige il divieto di porre al bambino lo stesso nome del padre vivente, di un fratello di una sorella viventi, o un cognome come nome o ancora nomi ridicoli o vergognosi. I genitori che danno il nome al proprio figlio compiono un atto di grande imposizione di limiti e nei suoi confronti. Questo nome sarà un vettore per lo sviluppo del carattere del bambino, sia che esso abbia un nome come "Maria".che richiama ai significati legati alla figura della Madonna; o "Anita", che richiama una donna forte e battagliera; oppure Chanel, che, in poche parole, potrebbe non significare nulla. In base al nome che gli verrà attribuito, e con ciò che quel nome significa per loro, per i genitori, per la società, i bambini dovranno confrontarsi, e in questo confronto si costruirà lo spazio per la crescita della propria identità personale. Per questo motivo, l'imposizione del nome è l'avvio della formazione del carattere di un bambino lungo il suo processo di umanizzazione. A partire dal secolo scorso, il rapporto tra genitori verso i bambini è progressivamente andato nella direzione di quella che Gauchet ben definisce "sacralizzazione del bambino immaginario". Con questo, si intende un avere propria mitizzazione dell'infanzia: nonostante il primo fosse la famiglia a fare il bambino, poiché il bambinoÈ il simbolo vivente della trasformazione dei legami familiari; oggi è il bambino a fare la famiglia. Il bambino considera la famiglia come un ambito sociale distinto, dedito alla realizzazione di valori specifici. Finalmente il bambino ha riconosciuto per le sue reali carat