Riassunto esame Psicologia delle Relazioni Interpersonali, prof.ssa Armezzani, libro consigliato La mente fenomenologica, Gallagher Zahavi
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La mente fenomenologica Gallagher e Zahavi
Capitolo 3 – Coscienza e autocoscienza
In fenomenologia una forma minima di autocoscienza è caratteristica strutturale costante
dell'esperienza cosciente. Questa si dà per un soggetto d'esperienza d'esperienza in modo
immediato. La datità immediata dell'esperienza è in prima persona e può essere spiegata, in
fenomenologia, con la nozione di autocoscienza preriflessiva. Preriflessiva significa che non
coinvolge uno stato mentale aggiuntivo di ordine superiore, l'autocoscienza preriflessiva è una
caratteristica intrinseca dell'esperienza primaria. Inoltre non è oggettivante perché non trasforma
l'esperienza in un oggetto percepito e osservato. Si distingue dalla autocoscienza tematica perché
quest'ultima è frutto di attenzione o provocata volontariamente. Qual è la natura dell'autocoscienza?
È corretto dire che in tutti i casi in cui siamo coscienti di qualcosa siamo anche coscienti di essere
coscienti? Husserl propone l'idea per cui il flusso d'esperienza dell'individuo è caratterizzato
dall'autoapparire o automanifestarsi. Sostiene che l'autocoscienza non accade quando prestiamo
attenzione alla coscienza ma che è una caratteristica dell'esperienza come tale. Gli autori riportano
le parole di Husserl per meglio spiegare questo concetto: “essere un soggetto è essere nella
modalità dell'essere coscienti di se stessi” (p. 71).
Heidegger sostiene che ogni esperienza nel mondo è caratterizzato con una sorta di contatto e
familiarità con sé e che quindi “ogni consapevolezza è anche consapevolezza di sé” (p. 71).
Intenzionalità significa proprio questo, l'idea per cui la nostra coscienza sia di o su qualcosa.
Sartre sostiene che l'autocoscienza caratterizzi ogni esperienza intenzionale. L'esperienza dunque
per Sartre si da a se stessa, ciò non è una qualità aggiuntiva dell'esperienza ma è il “modo stesso di
essere dell'esperienza” (p.72). Risulta importante rendere in considerazione la prospettiva in prima
persona quando si deve spiegare la coscienza fenomenica. Esistono due tipi di prospettiva in prima
persona:
• Prospettiva in prima persona debole: si intende l'avere o incarnare tale prospettiva. È la
manifestazione soggettiva della propria vita esperenziale.
• Prospettiva in prima persona forte: si intende l'essere capace di articolare linguisticamente tale
prospettiva. Presuppone la capacità di usare il pronome in I persona, di adottare una posizione e
prospettiva su se stessi.
I fenomenologi evidenziano l'importanza della prospettiva in prima persona (forte) come modo
distintivo in cui gli episodi esperenziali si presentano al soggetto a cui appartengono. Il termine
autocoscienza è ambiguo tant'è che in filosofia, psicologia e neuroscienze vi sono definizione
diverse tra loro e talvolta in conflitto.
→ Baker sostiene che tutte le creature senzienti sono soggetti di esperienza, hanno
atteggiamenti con prospettiva e esperiscono il mondo dalla loro prospettiva egocentrica.
Possiedono i fenomeni deboli della prima persona. Autocoscienza non significa
semplicemente avere un punto di vista soggettivo, per avere autocoscienza e quindi
FILOSOFIA possedere i fenomeni forti della prima persona è necessaria la capacità di pensare se stessi
come se stessi. L'autocoscienza, per la Baker, presuppone il possesso del concetto di prima
persona, ed emerge da un processo di sviluppo.
→ L'autocoscienza richiede coscienza di un sé. Quindi perché un soggetto sia autocosciente
deve essere capace di pensare le esperienze autoascritte come appartenenti a un unico stesso
sé.
→ Mead sostiene che l'autocoscienza sia il “farsi oggetto per se stessi in virtù delle
PSICOLOGIA relazioni sociali” (p. 74). L'autocoscienza sarebbe una coscienza su di é che deriva
SOCIALE dall'acquisizione del punto di vista degli altri verso sé. Quindi a differenza della Baker,
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Mead concepisce l'autocoscienza come un fenomeno sociale.
→ Il test dello specchio suggerisce che l'autocoscienza vi sia da quando il soggetto è in
grado di riconoscere se stesso riflesso (da circa 18 mesi).
→ Secondo altri l'autocoscienza non si limita a questo ma presuppone una teoria della
PSICOLOGIA mente. Infatti per poter pensare ad un'esperienza come tale è opportuno avere in mente cosa
SPERIMENTALE sia un'esperienza e figurarsi oggetti possibili di esperienza che possono esistere anche in
assenza di qualcuno che li esperisce. In questo caso la presenza o meno di autocoscienza
(ricondotta all'età di 4 anni circa) viene testata attraverso il test della falsa credenza o il
compito dell'apparenza e della realtà.
→ C'è chi sostiene che l'autocoscienza pienamente sviluppata sia quella per cui siamo
capaci di gestire la storia della nostra vita.
L'autocoscienza si dà in varie forme e gradi. Percepire coscientemente qualcosa significa anche
essere in contatto con l'esperienza dell'oggetto. Quindi nella sua forma più primitiva autocoscienza
è la “costante manifestazione in prima persona della propria vita esperenziale” (p.76). L'esperienza
dunque implica una forma primitiva di autocoscienza, di autoreferenzialità (coscienza di me = for-
me-ness). Tutte le esperienze sono implicitamente caratterizzate dalla mieità (gli autori con questa
parola si riferiscono al fatto che ogni esperienza che si dà al soggetto si dà in maniera immediata
come propria). Tale mieità può spiegare come sia possibile, nel ricordo, riappropriarsi di
un'esperienza che se non fosse stata sentita come mia non avrei potuto ri-avere. Inoltre il mio di cui
si parla non equivale al non tuo. La mieità si riferisce a una qualità dell'esperienza non come
qualcosa che questa possiede ma il come l'esperienza. Ciò di cui si è parlato è l'autocoscienza
preriflessiva come caratteristica costitutiva della coscienza fenomenica.
Frankfurt (filosofia analitica) → coscienza è autocoscienza (riflessività immanente), quando
siamo coscienti siamo coscienti di ciò di cui facciamo esperienza e abbiamo consapevolezza di
esserlo.
In fenomenologia coscienza e autocoscienza non sono identiche.
Nell'attuale dibattito si distingue tra due usi del termine cosciente: uno transitivo e l'altro
intransitivo. Nel primo caso il soggetto è cosciente di qualcosa, nel secondo invece il soggetto o
uno stato mentale è cosciente simpliciter invece che dire che non è inconscio. In filosofia della
mente si è spiegata la coscienza intransitiva con la teoria del livello superiore. Per cui la “differenza
tra stati mentali coscienti e non coscienti si basa sulla presenza o assenza di un meta-stato mentale
relativo” (p. 80). Lo stato mentale cosciente è quello stato di cui siamo coscienti. La coscienza
intransitiva è una proprietà che lo stato mentale ha solo quando sta nella relazione pertinente con
qualcos'altro. Vi sono due modi per interpretare tale idea:
I - HOP (Higher-order perception) II - HOT (higer-order thought)
Il soggetto diviene cosciente di essere nello stato Diventiamo coscienti dello stato mentale attraverso
mentale di livello base solo attraverso percezioni o pensieri di livello superiore
monitoraggi di origine superiore
Il contrasto tra le due interpretazioni nasce dal dubbio se gli stati mentali che ci rengono coscienti
siano simili a percezioni o a pensieri. La coscienza comunque viene intesa come la capacità della
mente di indirizzarsi intenzionalmente verso i suoi stessi stati. La self-directedness (volgere lo
sguardo su di sé) è costitutiva della coscienza (intransitiva).
In fenomenologia ciò però non è valido, infatti si nega che l'autocoscienza del momento
dell'esperienza cosciente sia qualcosa come una riflessione, introspezione o monitoraggio di livello
superiore. L'autocoscienza è intrinseca dell'esperienza primaria quindi non può sottendere stati
mentali aggiuntivi. La coscienza intransitiva è caratteristica degli stati mentali coscienti.
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Secondo Brentano quando faccio esperienza di qualcosa faccio esperienza anche del mio fare
esperienza. Quindi lo stato mentale sembra diventar cosciente quando prende se stesso come
oggetto. Husserl, Heidegger, Sartre non sono d'accordo poiché l'esperienza non è un oggetto per
me. Nell'autocoscienza preriflessiva l'esperienza non è l'oggetto osservato ma è esperienza
soggettiva e quindi viene vissuta non esperita o pensata.
Sartre ci tiene a distinguere tra l'autocoscienza (coscience de soi)(*) e conoscenza di sé
(connaissance de soi).
La coscienza in sé comporta autocoscienza implicita, è grazie a questa che se mentre leggo
qualcuno mi chiede cosa sto facendo, so rispondere senza dover riflettere sull'esperienza in atto. È
sempre bene sottolineare che l'autocoscienza di cui si parla non è niente di aggiunto all'esperienza
ma una caratteristica propria della coscienza stessa. Per la maggior parte dei fenomenologi
l'autocoscienza debole implicata dalla coscienza fenomenica non è intenzionalmente strutturata
quindi non è prevista una relazione soggetto-oggetto.
Il soggetto infatti non riflette su di sé assumendosi come oggetto intenzionale ma al contrario
sembra essere implicato l'autoriferimento senza identificazione anche detto riferimento a se stessi
non ascrittivo.
In sostanza sia i teorici del livello superiore sia i fenomenologi cercano di spiegare la coscienza
intransitiva attraverso l'autocoscienza ma se i primi concepiscono l'autocoscienza come
autoconsapevolezza che si realizza tra stati mentali inconsci, i secondi invece sostengono che per
comprendere la coscienza intransitiva è necessario intenderla come una forma primitiva di
autocoscienza che è parte integrante dello stato mentale.
Rosenthal attacca quest'ultima tesi sostenendo che si qualcosa è intrinseco significa che non è
analizzabile ed è misterioso. È necessaria, a detta dell'autore, una teoria informativa capace di
spiegare gli stati mentali coscienti attraverso stati mentali incoscienti e quelli incoscienti attraverso
stati non mentali. Ma secondo gli autori dire che qualcosa è intrinseco non significa interrompere
le analisi che lo riguardano. I fenomenologici, come già detto, sostengono che l'autocoscienza
preriflessiva non sia coscienza oggettuale e non vi è implicata forma alcuna di intenzionalità diretta
verso se stessi. Ma cosa si intende per oggetto? Perché qualcosa sia un oggetto deve apparire
coscientemente in un certo modo. Il suo apparire deve esser tale da trascendere la coscienza
soggettiva che lo assume come oggetto. Quindi come qualcosa che sta in opposizione
all'esperienza soggettiva. Nella riflessione abbiamo a che fare con due esperienze quella su cui si
riflette e quella che riflette.
(*) La regola grammaticale impone l'utilizzo del di nella terminologia. Ciò va precisato perché Sartre stesso riconosce che il di può portare a
pensare che l'autocoscienza non sia altro che coscienza che ha per oggetto se stessa, non è così. L'autocoscienza è caratteristica strutturale della
coscienza e non prevede la presenza di oggetti di riflessione, neppure se stessa.
A livello preriflessivo invece vi è solo l'esperienza che non può essere oggetto per se stessa, in
opposizione a se stessa ed esperita come trascendente se stessa.
Visione cieca → il caso della visione cieca viene spesso preso come riferimento dai teorici del
livello superiore. La cecità di cui si parla è causata da un danno alla corteccia visiva e non agli
occhi. Solitamente non tutto il campo visivo è cieco ma solo alcune aree chiamate scotomi, gli
autori preferiscono supporre che il soggetto dell'esempio sia completamene “cieco”. A questo
soggetto viene chiesto se vede degli oggetti e ovviamente risponderà di no poiché cieco, quando gli
viene chiesto di indovinare il luogo in cui si trovano o la natura (colore, forma ecc.) risponde
correttamente alle sue risposte con una percentuale maggiore del 50%. ciò sembra suggerire che
nonostante non veda le informazioni visive che acquisisce dato che non ha danni agli occhi lo
informano ad un livello non cosciente. Quindi sembra che percepiscano in maniera non cosciente
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gli stimoli visivi. Perché le teorie del livello superiore danno così tanta importanza alla visione
cieca? Perché il paziente che ne è affetto è in uno stato mentale non cosciente rispetto allo stimolo
presentato quindi ci si chiede cosa rende questo stato mentale diverso da uno stato mentale
cosciente? Il soggetto che vede, per i teorici, è cosciente dell'oggetto attraverso una percezione di
livello superiore (HOP) o un pensiero di livello superiore (HOT). Rosenthal sostiene che gli stati
mentali non coscienti abbiano delle proprietà che distinguono ad esempio tra uno stato percettivo e
uno di credenza, tra stato visivo o uditivo ecc. quindi per le teorie del livello superiore lo stato
mentale non ha nulla intrinseco a sé che lo rende cosciente o meno. In riferimento all'HOT si può
dire che il soggetto lamenta di non riuscire a vedere, questo è un pensiero di livello superiore eppure
non rende la percezione non cosciente una percezione cosciente. L'argomento della visione cieca
sembra quindi comportare qualche difficoltà alla spiegazione della teoria dell'ordine superiore. In
fenomenologia accade lo stesso in riferimento all'autocoscienza preriflessiva?
Ovviamente non si tratta di una spiegazione causale di ciò che rende uno stato mentale cosciente.
Come abbiamo più volte sottolineato, in fenomenologia uno stato mentale cosciente comporta
autocoscienza preriflessiva, non come aggiunta ma come parte costitutiva in sé. Prima di descrivere
tale fenomeno è opportuno chiedersi cosa si intenda per percezione non cosciente, stato sensoriale
non cosciente o stato mentale non cosciente. La spiegazione ragionevole che al soggetto con visione
cieca manchi l'esperienza visiva la si ritrova nelle neuroscienze. Il soggetto ha infatti un danno
cerebrale in un'area essenziale per la produzione di coscienza visiva. Nonostante ciò l'informazione
viene processata dal cervello, ciò però non è tipico dei rari casi di visione cieca ma avviene
quotidianamente nella nostra esperienza. Ogni qualvolta afferriamo un oggetto, ad esempio,
l'informazione visiva della forma è processata in modo non cosciente. Non divento cosciente di tale
esperienza se lo penso ma al massimo se l'osservo.
L'autocoscienza riflessiva, come il termine suggerisce, si distingue dall'autocoscienza preriflessiva.
Se il livello di quest'ultima è implicito, quello della prima è esplicito. Si tratta infatti di una
consapevolezza esplicita concettuale e oggettivante. La riflessione è infatti una forma di
autocoscienza relazionale e comporta una sorta di autoscissione. È capace di rendere la vita
soggettiva tematica e comportare una divisione interna e un distanziamento da sé. Nella riflessione
infatti l'esperienza può essere distinta in riflettente e riflessa. Poiché l'esperienza riflessa è già
autocosciente (anche se non in modo osservativo o riflessivo) si può sostenere che l'autocoscienza
preriflessiva non necessita dell'autocoscienza riflessiva per essere tale ma quest'ultima presuppone
sempre l'esistenza dell'autocoscienza preriflessiva.
La fenomenologia sostiene possiamo portare la nostra attenzione sull'esperienza e dunque riflettere
su di esse solo perché ne siamo autocoscienti ad un livello preriflessivo. L'autocoscienza riflessiva,
secondo Husserl, ci permette di cogliere qualcosa che già c'era e non di produrlo, semplicemente
non l'avevamo notato intenzionalmente, cosa che facciamo invece attraverso il processo di
riflessione. La riflessione rivela una “struttura morfologica” e una “differenziazione interna”
dell'esperienza, essa infatti non viene copiata ma trasformata. La trasformazione non è a livello
degli aspetti o elementi dell'esperienza ma nel modo in cui questi aspetti appaiono. La descrizione
fenomenologica attuata attraverso il metodo fenomenologico non implica la “violazione
dell'esperienza” (p. 99) ma ha radici nella ed è motivata dalla vita esperenziale stessa. Da ciò
sorgono tre pensieri
La riflessione copia o riflette La riflessione distorce La riflessione comporta sia
l'esperienza preriflessiva l'esperienza vissuta acquisizione sia perdita
Secondo Husserl, Sartre e Merleay-Ponty la riflessione dipende in qualche modo da ciò che si vive
preriflessivamente ma non riproduce le esperienze vissute senza alterarle in quanto esperienza
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tematica di sé. La relazione tra riflessione e esperienza preriflessiva si muove su due binari. Infatti
da un lato l'esperienza su cui stiamo riflettendo comporta l'autocoscienza preriflessiva e quindi può
confermare o disconfermare la riflessione fatta (attraverso altre esperienze o successive riflessioni).
Dall'altro la riflessione fenomenologica può essere “bilanciata” da tecniche che possono confermare
o sconfessare i risultati della riflessione stessa.
L'autocoscienza riflessiva a differenza di quella preriflessiva, porta ad una sorta di divisione di sé
(self-division, autoscissione) o autoframmentazione (self-fragmentation), ciò ha implicazioni nel
dominio ontologico, metodologico e normativo.
Com'è possibile che la riflessione dell'autocoscienza riflessiva comporti una
divisione se emerge dall'autocoscienza preriflessiva che invece è considerata
un'unità?Sartre ricorda che le due non sono per niente uguali ma non sono
ONTOLOGICO nemmeno totalmente diverse. Infatti la scelta stessa della terminologia
(riflessiva e preriflessiva) suggerisce che vi siano molti punti in comune
soprattutto in riferimento alla struttura di questi due fenomeni.
Nell'autocoscienza preriflessiva la riflessione rimane una possibilità, e quindi
implica un'articolazione temporale, per questo motivo non può essere
concepita come statica ma come autodifferenziazione dinamica e temporale.
Se la riflessione è caratterizzata da autoframmentazione vuol dire che il
soggetto non potrà mai tematizzare la vita completamente. Husserl chiama
METODOLOGIC questa porzione non tematizzabile momento di ingenuità della riflessione
O poiché non può cogliere se stessa. Merleau-Ponty sostiene che la temporalità
contiene una frattura per cui nella riflessione sull'esperienza il compreso non
potrà mai coincidere con il vissuto.
NORMATIVO La riflessione implica distanziamento e separazione, osservazione e
confronto. Il distanziamento riflessivo permette di porci in relazione critica
con i propri stati mentali e porli in questione.
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Capitolo 4 – Tempo
Viviamo immersi nel tempo quotidianamente e in base ad esso regoliamo le nostre azioni, i nostri
movimenti, le nostre relazioni senza rendercene conto. Il tempo nelle sue tre forme (passato,
presente e futuro) permea ogni giorno della nostra vita attraverso ricordi (passato), azioni o pensieri
del presente, o aspettative, immaginazioni, creazioni relative al futuro. Gli autori riportano come
esempio esplicativo il caso di coloro che sono affetti da agnosia del movimento per cui non riescono
a riconoscere il movimento nel flusso temporale. Il mondo di questi soggetti sembra
“semplicemente” riorganizzarsi in varie forme ogni tot di secondi. È chiara la difficoltà che tali
persone possono avare a dare un senso al mondo e ad agire al suo interno. La connessione tra
movimento e tempo è stata notata già da Aristotele. La continuità temporale appare come essenziale
per significare l'esperienza di tutti i giorni. Ciò non significa che non vi siano delle fratture e in certi
movimenti le informazioni o attività che viviamo siano confusi. Per recuperare il senso di tali
esperienze confuse sembra necessario ricomprendere all'interno di una struttura temporale coesa.
La memoria non è una facoltà mentale singola, si distingue solitamente tra memoria episodica,
procedurale, di lavoro, semantica. Tali differenziazioni vengono sostenute dalle evidenze ottenute
con la tecnica brain imaging, infatti compiti di memoria diversi attivano aree diverse del cervello.
Inoltre la neuropatologia corrobora tali distinzioni dato che alcuni danni cerebrali comprometto un
certo tipo di memoria ma non gli altri. Merleau-Ponty sostiene che “analizzando il tempo
accediamo alle strutture concrete della soggettività” (p.111). Infatti dal nostro passato dipende il
nostro futuro non in senso deterministico ovviamente, nel senso che a seconda delle esperienze che
viviamo decidiamo di fare questo o quel progetto e quindi indirizziamo il nostro agire nel futuro,
tenendo in considerazione avvenimenti del passato. Gli autori si chiedono Cosa è la struttura
temporale e come funziona? Prima di rispondere preferiscono fare il punto della situazione di alcuni
problemi.
1) le esperienze avvengono sempre in un flusso temporale. Le esperienze presenti e i processi
cognitivi sono formati e influenzati, come già accennato, sia dalle esperienze passate sia dalle
aspettative future.
Cosa è la coscienza del tempo? Per capire come possiamo percepire nel tempo gli oggetti o avere
esperienze, forse bisognerebbe prima pensare che la percezione stessa è un processo esteso nel
tempo che inizia e finisce quando “inizia” e “finisce” l'oggetto (ad. Una canzone). È importante
capire che non si tratta di successioni di fasi coscienti che ci restituiscono la coscienza della
successione stessa. Per percepire un oggetto le fasi successive della coscienza devono essere unite a
livello esperenziale. In che modo si legano temporalmente? Daiton propone il principio della
consapevolezza simultanea secondo cui si è simultaneamente consapevoli di qualcosa di più della
singola porzione dell'oggetto (Ad esempio di una canzone una nota). La successione delle fasi
coscienti viene esperita come tale solo se vi è un atto unitario di coscienza. Quando, ad esempio, si
ascoltano 3 toni in successione perché si faccia esperienza della successione stessa vi deve essere un
atto di consapevolezza che si tratti proprio di una successione, che i 3 torni vengano appresi come
intero. Questa consapevolezza, pare evidente, deve essere collocata nel presente. Questo modello
prevede due versioni.
L'atto di consapevolezza può essere istantaneo ma non è detto che lo sia il suo raggio
d'azione. Questa versione presenta il problema dei contenuti ripetuti, il raggio d'azione di un atto di
coscienza è limitato per definizione. L'atto di coscienza d una sequenza temporale ci può portare a
sostenere di aver esperito due volte lo stesso contenuto nonostante non sia così.
I contenuti appresi dagli atti istantanei di coscienza sono simultanei rispetto all'atto
istantaneo. Le diverse porzioni temporali di un oggetto esteso temporalmente non sono date in
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simultanea. Quindi quando percepiamo una porzione attuale dell'oggetto che si da percettivamente
quella precedente non è più presente e si rappresenta mentre accade la porzione attuale. Mentre
sembra che siamo consapevoli direttamente siamo in realtà coscienti delle loro rappresentazioni. Da
ciò ne deriva che percepire davvero un processo temporale è impossibile. In questo caso si evita il
problema dei contenuti ripetuti e si da ricorso ai modi temporali della datità. Ciò potrebbe portare
a pensare che si può percepire solo il presente istantaneo ma è in contraddizione con l'esperienza
reale. Husserl elabora un suo modello per cercare di capire come esperiamo le cose nel tempo. Gli
autori aprono il paragrafo “una fenomenologia della coscienza del tempo” sostenendo che
“l'analisi della coscienza del tempo viene spesso considerata come uno dei temi più difficili della
fenomenologia” (p. 116). Secondo Husserl il flusso di coscienza non è una successione di porzioni
di esperienza tra loro scollegati bensì è bene considerare la coscienza come coscienza anche di ciò
che è stato e di ciò che sta per essere. Ma come possiamo essere coscienti di ciò che non è più e di
ciò che non è ancora? Immaginazione e memoria sembrano essere i protagonisti, sono facoltà che
consentono di trascendere il presente puntuale. Per Husserl è importante distinguere tra l'esperienza
del cambiamento e della durata e l'immaginare o ricordare le cose. Inoltre egli porta l'attenzione
sull'ampiezza o profondità dell'esperienza. Siamo in grado di percepire le melodie per via della
struttura della coscienza che si presenta in modo da consentire una presentazione temporale. Le note
della melodie non si sostituiscono quando sono nel presente ma si succedono in modo “armonioso”,
l'esperienza del presente ha infatti in sé sia quella del passato (delle note già esperite) sia quelle del
futuro (fenomeni acustici che mi aspetto). James definisce blocco di durata un campo temporale
che include passato, presente e futuro.
Husserl usa tre termini tecnici per descrivere la struttura temporale della coscienza:
- impressione originaria: l'esperienza del tempo presente che non è però isolata.
- ritenzione: l'esperienza appena passata permane nella coscienza
- protenzione: aspetto che ha come oggetto intenzionale la porzione dell'oggetto che sta per
accadere.
L'esperienza di sorpresa dipende proprio dalla protenzione ossia dalle aspettative che ho, in questi
casi ciò che accade non corrisponde alla mia anticipazione. La ritenzione non è particolare della
coscienza che percepiamo ma viene trattenuto come contenuto intenzionale, la coscienza trattiene
dunque il senso di quello che è appena coscientemente trascorso. Se intendiamo per memoria una
funzione coinvolta ogni qual volta si trattiene un'informazione nel tempo si può sostenere che la
ritenzione sia una forma di memoria di lavoro. Tutte le esperienze vengono vissute dunque come un
flusso temporale grazie alla coscienza temporale tripartita in ritenzione-impressione originaria-
protenzione. Protenzione e ritenzione sono caratteristiche strutturali di ricordi e aspettative. Ricordi
e aspettative possono però essere diversi tra loro. Infatti vi è differenza tra ricordare delle note della
canzone che si sta ascoltando e ricordare un evento del passato, così come c'è differenza tra avere
aspettative circa le note che verranno nella canzone che si sta ascoltando e avere aspettative circa
una vacanza che si vuole fare.
RITENZIONE RICORDO
È un'intuizione di qualcosa di assente, È la rappresentazione (riproduzione) di un evento passato completo,
che è stato non come se fosse presente ma proprio come evento passato.
Protenzione e ritenzione sono caratteristiche strutturali, rendono possibili le sintesi di identità. Per
cui quando giro nella mia mano un oggetto per vederlo da tutte le prospettive le varie “porzioni”
dell'oggetto che ho percepito visivamente non appaiono come scollegate ma come sinteticamente
integrate, questa è la sintesi di identità, possibile grazie alle strutture che permettono di percepire il
flusso temporale.
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Husserl nella sua indagine non tenta solamente di spiegare in che modo siamo consapevoli del
tempo ma anche come la coscienza unifica se stessa nel tempo. Ogni fase della coscienza comporta
una ritenzione della sua fase precedente per cui quando percepisco un oggetto sono consapevole
dell'oggetto e consapevole dell'esperienza corrente dell'oggetto proprio per via della struttura
ritenzionale dell'esperienza.
Intenzionalità longitudinale della ritenzione: rende possibile l'unificazione della coscienza
stessa.
intenzionalità trasversale della ritenzione: Dato che le fasi precedenti della coscienza contengono
anche le impressioni originarie dell'oggetto esperito si ha la continuità dell'oggetto stesso.
Anche la protenzione ha un aspetto longitudinale: l'istinto anticipatorio suggerisce al soggetto che
saranno esperienze per il soggetto, la protenzione comporta l'istinto del “sto per fare o esperire”
(io).
La fenomenologia della coscienza del tempo è stata messa in relazione con le scienze cognitive, in
particolare Varela e Van Gelde suggeriscono di spiegare protenzione e ritenzione come un sistema
dinamico che si autorganizza. Ogni esperienza cognitiva emerge dal concorso tra varie regioni del
cervello e del loro incorporamemto semsp-motorio. Quindi diversi contributi neurali distinti
funzionalmente vengono integrati, ciò comporta un'integrazione di differenti scale di durate.
1) scala elementare (1:10) e va da 10 a 100 millisecondi
2) scala di integrazione (1:1) e va da 0.5 a 3 secondi
3) scala narrativa che comprende la memoria (10:1)
1) Si tratta della quantità di tempo minima affinché due stimoli siano percepiti coscientemente come
non simultanei. 2) L'esperienza vissuta presente, integrazione tra assemblamenti di cellule
(sottoinsiemi di neuroni) con forti connessioni reciproche. Secondo Varela in questa fase ci è un
processo di integrazione-rilassamento e ciò corrisponde secondo l'autore al presente vissuto,
descrivibile con la struttura protenzionale-ritenzionale. Le variazioni di tempo (0.5-3 secondi) sono
dovute a fattori quali il contesto, la fatica, l'età del soggetto ecc.
L'integrazione neurale si manifesta come azione cognitiva o comportamento. L'autorganizzazione di
cui si parla non è di tipo computazionale astratto ma è un comportamento o incarnato soggetto a
condizioni iniziali. Le condizioni di contorno danno forma all'azione e includono l'allestimento de
contesto del compito eseguito. Questo sistema dinamico non si accorda né con la stabilità
dell'immagine meccanica del mondo, né con l'immagine computazionale della cognizione in cui
stabilità significa che le condizioni iniziali e di contorno conducano a un punto di attrazione. I
sistemi dinamici biologici mostrano instabilità dato che risultano pressoché indipendenti dal
contenuto del sistema (nel caso del sistema percettivo visivo è indipendente che il contenuto sia un
bicchiere o una statua). Il flusso autocostitutivo è soggetto alle condizioni iniziali e di contorno che
lo guidano, da ciò ne derivano trasformazioni in nuove fasi dinamiche e non è possibile predire
traiettorie predeterminate.
La protenzione è importante nell'automotivmento del flusso. La protenzione è legata alla tonalità
affettiva soggettiva e aiuta a definire le condizioni di contorno e iniziali.
È da tempo ormai che si parla della relatività del tempo nel senso che si fa esperienza del tempo in
modo diverso a seconda degli stati che viviamo (ansia, noia, speranza, insonnia ecc). Quindi
riconosciamo che gli “stessi” 3 minuti vissuti uno stato d'ansia e in uno stato di noia non sono
proprio uguali. Eppure il cronometro li misurerebbe come 3 minuti in entrambi i casi. La domanda
che si pongono gli autori è “il tempo dell'orologio è connaturato alle esperienze in questione o ne
deriva ed è quindi il risultato di un'oggettivazione successiva?”
McTaggart, contemporaneo di Husserl, sostiene che vi sia da dsitinguere passato-presente-futuro
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da prima-ora-dopo. Nella prima serie le cose presenti diventano costantemente cose del passato
muovendosi sempre di più verso un passato remoto. Così ad esempio per chi legge sarà presente la
parola “ora”, ma ora che si è andati avanti nella lettura quella parola appartiene al passato, e ora
appartiene ad un passato ancora più remoto e così via. Nella seconda serie invece le relazioni sono
permanenti, sono quelle che appartengono alla storia per cui la relazione tra la presa della Bastiglia
e il rilascio della prima bomba atomica della seconda Guerra Mondiale non cambia. Molti
sostengono che il tempo in verità sia quest'ultima cosa e che la prima serie (passato-presente-futuro)
sia un fenomeno psicologico soggettivo.
Secondo Husserl l'esperienza temporale non è oggetto che ha luogo nel tempo, non è nemmeno
coscienza del tempo ma è una forma di temporalità. Le relazioni tra protenzione, impressione
originaria e ritenzione costituiscono il flusso della coscienza, non sono collocate all'interno di esso.
C'è differenza tra la datità temporale dell'oggetto intenzionale e la datità temporale della coscienza
stessa. Protenzione, impressione originaria e ritenzione non corrispondono a futuro, presente e
passato, è la loro relazione che rende possibile il senso del futuro, del presente e del passato.
I ricordi, come è noto, possono essere distorti, per questo motivo non si pensa più siano passive
registrazioni della realtà. Ma perché i ricordi sono distorti? Una causa sono i danni alle fonti di
memoria, se non abbiamo informazioni circa le fonti (che possono essere attendibili o meno) siamo
più propensi a credere a quel che ricordiamo senza quindi valutare l'informazione. Ogni esperienza
è permeata da quelle passate. Secondo i fenomenologi la memoria implicita ha un grande ruolo
soprattutto nell'influenza di quelle esperienze in cui non si è consapevoli che ciò avvenga. Dilthey
sostiene che siamo storici intendendo che siamo collocati nella storia così come siamo collocati nel
mondo. La realtà umana, sostengono gli autori, è caratterizzata da una tensione temporale per cui il
passato fa sempre da sfondo ed il centro dell'interesse e dell'azione non è il presente ma il futuro che
vogliamo compiere. Sembrerebbe che l'esistenza umana sia caratterizzata da storicità. Cosa
significa storicità? Significa che ho la mia storia e la porto con me per cui le esperienze passate
producono un effetto sul modo in cui comprendo il mondo e le persone che incontro nel mondo. Da
sempre il soggetto è (gettato) in mezzo ad altri. Vede le cose nel modo in cui gli altri le vedono,
impara cosa è normale. La normalità è tradizione e derivante dal passato, Husserl definisce ogni
persona storica nel senso che è membro di una comunità storica. Cosa è il tempo umano? È il
tempo delle storie della nostra vita, un tempo narrato, strutturato e articolato dalle mediazioni
simboliche delle narrative.
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La mente fenomenologica Gallagher e Zahavi
Capitolo 5 – Percezione
Il motto di Husserl, come già detto è “tornare alle cose stesse”, da questa frase si evince
l'importanza che dà all'esperienza e in particolar modo al mondo della percezione. Husserl e
Merleu-Ponty sottolineano l'esistenza di una relazione più originaria con il mondo di quella mediata
dalla razionalità scientifica. Il mondo ci è dato concretamente attraverso i sensi e l'intuizione. La
conoscenza del mondo, compresa quella scientifica (naturalista) ha un'origine in prima persona, la
scienza stessa non avrebbe alcun significato senza la dimensione dell'esperienza. Per capire la
scienza è necessario indagare l'esperienza originaria di cui la scienza non è che un'articolazione di
livello superiore. Il significato è dato dal consenso intersoggettivo senza il quale le varie misure di
standardizzazione e gli strumenti che vengono creati per misurare da una prospettiva in terza
persona, non avrebbero senso. La percezione precede la cognizione e l'azione. Husserl distingue tra
modi signitivi, immaginativi (o pittorici) e percettivi di intendere l'oggetto. Queste tre modalità
possono essere organizzate secondo una gerarchia in base alla capacità di restituirci l'oggetto nella
maniera più diretta, originaria possibile.
Al livello più baso troviamo il modo di intendere l'oggetto signitivo, subito dopo quello
immaginativo e per ultimo, quindi al livello più alto quello percettivo.
SIGNITIVO Si tratta di quella modalità per cui faccio esperienza dell'oggetto per sentito
dire, l'oggetto non è dunque dato. Esso è infatti intenzionato attraverso l'atto
linguistico (rappresentazione contingente)
IMMAGINATIVO In questo caso l'oggetto è intenzionato attraverso un'immagine
(rappresentazione) che somiglia all'oggetto visto da una certa prospettiva.
Quindi vi è un certo contenuto intuitivo ma l'oggetto è pur sempre
intenzionato in maniera indiretta
PERCETTIVO In questo caso l'oggetto è intenzionato in maniera diretta. È l'unico livello
dell'intenzione che ci dà l'oggetto in propria persona
Husserl sostiene che la relazione tra l'intenzione linguistica (penso l'oggetto) e il suo riempimento
percettivo (vedere l'oggetto ad esempio) può paragonarsi alla relazione classica tra
pensiero/concetto e intuizione.
I riempimenti percettivi possono essere in vari gradi, ad esempio (riportando esempi sempre sulla
percezione visiva) posso vedere l'oggetto da lontano, quindi effettivamente farne esperienza
percettiva intenzionale, ma l'oggetto, è evidente, mi è dato in maniera non ottimale. La datità
ottimale dell'oggetto comunque non dipende dalla luce, distanza ecc ma è definita da Husserl come
un tipo di datità che ci porge l'oggetto nel modo più ricco di informazioni differenziato possibile
(percezione visiva: un albero ha datità ottimale alla luce, le stelle al buio ad esempio). Husserl e
Merleau-Ponty sostengono inoltre che le intenzioni linguistiche affondino le loro radici nell'incontro
pre-linguistico con il mondo, si oppongono dunque all'idea per cui tutto il significato è
proposizionale. Separare senso e sensibile, dicono gli autori, ossa negare la continuità tra percezione
ed espressione predicativa, produce astrazione intelletualistiche che portano all'incomprensibilità di
come ciò che è percepito può essere guida per l'articolazione linguistica. Come apprendiamo il
linguaggio? Le esperienze percettive sono precedenti al linguaggio e alla sua acquisizione, inoltre
la conoscenza percettiva diretta è fonte del significato linguistico. Tutti i tipi di rap-presentazioni
come i ricordi o le immaginazioni ad esempio, derivano dalla presentazione che è il modo
dell'intuizione dell'esperienza per eccellenza (p.141).
Le teorie rappresentazionali della percezione suppongono che l'incontro del mondo sia mediato
dalla cognizione, da una qualche rappresentazione mentale. “la percezione consiste nella
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La mente fenomenologica Gallagher e Zahavi
generazione di una qualche struttura rappresentazionale nella mente, qualcosa come un'immagine
o una mappa che rappresenta la realtà esterna” (p. 141). Secondo questa teoria quando percepiamo
un oggetto abbiamo dunque una sua rappresentazione che sorge nella coscienza. Quindi ogni
percezione implica due entità: l'oggetto extramentale e la rappresentazione intramentale. Secondo
questa teoria quindi io sono consapevole che gli oggetti siano esterni alla mia coscienza, all'interno
di questa ho delle rappresentazioni tali per cui posso essere capace di essere cosciente che gli
oggetti sono esterni. Husserl osserva che tale teoria sia priva di senso. Infatti la coscienza viene
concepita come una scatola che contiene rappresentazioni simili agli oggetti esterni, viene
tralasciato il passaggio per cui il soggetto sa che le rappresentazioni sono rappresentazioni degli
oggetti esterni. Questo passaggio, in teoria, dovrebbe prevedere un'esperienza degli oggetti esterni
che non sia mediata dalla rappresentazione, proprio per poter riconoscere quest'ultima e di
conseguenza riconoscere l'oggetto esterno. Quella appena presentata è la teoria lockiana della
rappresentazione, alcune versioni di questa prospettiva sono però sostenute da alcuni
neuroscienziati. I fenomenologi insistono sul carattere presentazionale e non su quello
rappresentazionale dell'esperienza percettiva. Noe spiega bene ciò che la fenomenologa sostiene con
i termini carattere presentazionale: egli afferma che in fenomenologia la percezione non può
esistere in assenza di situazioni o cose. Infatti se non v'è l'oggetto del mondo che si incontra non
può esserci un coinvolgimento on questo e quindi non ci può essere esperienza percettiva.
La fenomenologia intende la percezione come l'empirismo?
No, La percezione in fenomenologia non è un insieme di modalità sensoriali distinte (nel senso di
separate), la percezione risulta essere un tutto più ampio. Secondo Merleau-Ponty l'idea empirista
per cui la percezione sia un insieme di sensazioni è criticabile per il semplice fatto che non
facciamo esperienza delle sensazioni in quanto tali. Ciò che percepiamo è la cosa stessa (Heidegger
porta l'esempio per cui sentiamo la porta che sbatte e non il dato acustico). Le sensazioni non sono
infatti ciò che percepiamo ma anzi dei costrutti teorici riferiti all'esperienza. L'empirismo inoltre no
dà lo stesso peso che dà la fenomenologia al soggetto. In fenomenologia infatti l'oggetto percepito e
sempre contestualizzato dal soggetto della percezione che hai degli scopi pragmatici, interessi,
progetti ecc. La percezione inoltre non può essere spiegata come amalgama di dati di senso per via
del principio classico della Gestalt per cui il contesto influenza le parti (si prendano ad esempio
l'illsuione di Muller-Lyer e di Ebbinghaus
Un'altra ragione per cui la percezione non può essere concepita come amalgama di dati di senso è
che vediamo sempre qualcosa di più e qualcosa di meno di quel che ci è dato.
Cosa vuol dire che vediamo qualcosa di più? Husserl, nell'analisi fondamentale della percezione,
sostiene che nella percezione di un oggetto, questo non è mai dato nella sua totalità ma in un modo
incompleto. L'intuizione non riesce a vedere l'oggetto intero ma solo ciò che può vedere da quella
prospettiva. Nonostante ciò l'oggetto della percezione è l'oggetto che appare. L'esperienza percettiva
prevede che trascendiamo il profilo dell'oggetto per cogliere l'oggetto stesso. Infatti abbiamo
coscienza dell'oggetto completo anche se ne percepiamo solo una parte con l'intuizione. Husserl
spiega questo processo attraverso l'intenzionalità orizzontale. Essa è coscienza dei profili assenti e
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La mente fenomenologica Gallagher e Zahavi
gli unifica in un'appresentazione.
Cosa vuol dire che vediamo qualcosa di meno? Quando percepiamo dobbiamo andare in cerca
dell'informazione, ad esempio per quanto riguarda le percezioni visive non vediamo i colori così
precisamente se l'oggetto percepito non è nel punto focale della visione ma nella periferia del
campo visivo. Inoltre ci il fenomeno della cecità al cambiamento o cecità da disattenzione. In
questi casi non riusciamo a vedere ciò che ci accade davanti. Possiamo osservare una scena che
muta e se siamo andando in cerca di dettagli non accorgerci dei mutamenti. Dato che la nostra
percezione è pragmatica tendiamo a non ingombrare la mente con dettagli, rappresentazioni e
modelli che andrebbero aggiornati di continuo.
La fenomenologia abbraccia la teoria enattiva della percezione. Dewey sostiene che la percezione
comincia con una coordinazione senso-motoria, la sensazione è secondaria. La percezione non è
un'informazione che passivamente viene immessa e elaborata producendo rappresentazioni stabili.
La percezione comporta l'attività, del corpo ad esempio. Husserl sottolinea la connessione tra
percezione e senso del movimento (Cinestesia). Il movimento incorporato è parte della percezione e
plasma la comprensione della stessa. Il modo in cui appaiono gli oggetti nella percezione opera con
la cinestesia in modo da produrre il significato degli oggetti. Gli autori riportano un esempio per
meglio spiegare il concetto: quando devo percepire visivamente un oggetto (supponiamo più grande
di noi e quindi che non possiamo manipolare) la dimensione percettiva e cinestetica sono congiunte.
Infatti si opera una sorta di logica del se-allora, per cui se mi sposto allora potrò percepire
visivamente le parti che dalla prospettiva iniziale erano inesperibili. L'intenzionalità percettiva
sembra quindi presupporre il movimento dei soggetti incarnati. Comprendere la percezione secondo
Husserl, su questa linea, significa comprendere l'intenzionalità del nostro corpo. Secondo la tesi
della percezione enattiva la visione e la percezione sono forme di azione. Nella teoria enattiva
l'azione non è nel cervello, è importante sottolineare che risaltare il fatto che la percezione sia
azione non significa escludere gli aspetti passivi della percezione. Infatti nonostante comporti
sempre un'azione possibile ci sono aspetti passivi dovuti al fatto che il modo in cui il corpo si mette
in moto del mono ha delle risonanze nell'ambiente. L'ambiente ci influenza e provoca azione
(affordance di Gibson o utilizzabilità di Heidegger). Il soggetto è quindi nel mondo che plasma
l'esperienza al pari degli interessi enattivi. Husserl compie una distinzione tra attività e passività e
tra ricettività e affettività:
ATTIVITA' PASSIVITA'
Può essere definito come “fare mosse cognitive “L'esperienza dell'influenza involontaria” ossia
posisvite” (p. 156). Esso risulta evidente negli “quando le cose mi accadono” (p. 156)
atti di attenzione, giudizio, valutazione,
desiderio ecc RICETTIVITA' AFFETTIVITA'
Questa comporta una risposta a qualcosa che L'affezione riguarda il sentimento di essere
influenza passivamente, presuppone un'affezione influenzati. Quando percepiamo qualcosa questa
ci ha affezionato.
La percezione di un oggetto è sempre percezione di un oggetto in un contesto, il contesto è sempre
sociale? La percezione, per definizione, coinvolge altri oltre il soggetto che percepisce?
Merleau-Ponty sostiene che il mondo è percepito anche come “correlato di qualsiasi altra
coscienza che incontro”. Quando entro in contatto con un'altra coscienza entro in contatto con
qualcuno che vive lo stesso mondo che vivo io. Per Marleau-Ponty la prospettiva che ho sul mondo
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La mente fenomenologica Gallagher e Zahavi
si fonde e sovrappone a quella dell'altro. Gli oggetti percettivi che percepiscono non si esauriscono
quando mi si danno, possedendo un orizzonte di profili che coesistono presuppongono la percezione
di altri. L'oggetto si presenta come sempre disponibile agli altri anche se gli altri soggetti non lo
percepiscono, per questo l'oggetto stesso è intrinsecamente intersoggettivo. I profili che che non
percepisco vengono appresentati e co-intenzionati, l'analisi della datità orizzontale degli oggetti
percettivi verso le percezioni ci porta a pensare a quella che Husserl chiama intersoggettività aperta
ossia alla possibilità di soggetti che percepiscono quello stesso oggetto da diverse prospettive. La
percezione di un oggetto e di un altro da me sono percezioni sì diverse ma interdipendenti. Quando
percepisco qualcuno percepisco un altro corpo vivente ma lo intendo come un altro percipiente nel
mio stesso mondo. Quando percepisco l'altro il mondo, secondo Sartre, appare come se scivolasse
verso di lui, la presenza dell'altro mi rivela il fatto che gli oggetti sono già dati. Per questo motivo
l'altro non è esperito come oggetto de mondo ma come soggetto per il mondo. Gli altri infatti sono
presenti sin dall'inizio e anzi il fatto che la cosa (oggetto) mi offra delle possibilità dipende in parte
dal fatto che abbia visto altri realizzare alcune di queste possibilità. Quando sono solo gli altri non
cessano di esistere anche se non li percepisco.
Secondo Husserl percepire un oggetto non è percepire un qualsiasi oggetto che abbia le proprietà
prescritte dal contenuto ma percepire questo oggetto (la parola questo ha riferimento diretto). Il
carattere diretto si trova nell'immediatezza dell'intuizione.
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La mente fenomenologica Gallagher e Zahavi
Capitolo 6 – Intenzionalità
Gli autori scelgono di dividere il capitolo sull'intenzionalità considerando in un primo momento le esperienze che hanno un oggetto e
in un secondo le esperienze che non hanno oggetto. I PARTE
L'intenzionalità, in fenomenologia, è caratteristica della coscienza infatti questa è sempre coscienza-
di-qualcosa. Si è fatta una distinzione tra i problemi facili e i problemi difficili (o meglio il problema
difficile) della coscienza. Sono quelli che riguardano il modo in cui si elaborano le informazioni, si reagisce agli
PROBLEMI FACILI stimoli e ambientali e si esibisce capacità coscienti come discriminare, categorizzare e
l'introspezione. Sono facili dato che la scienza ha gli strumenti per affrontarli.
PROBLEMA DIFFICILE Questo riguarda l'aspetto fenomenico o esperenziale della mente, è difficile da spiegare
con meccanismi computazionali o neurali.
Per meglio comprendere l'intenzionalità sembra necessaria la comprensione del problema difficile.
Chalmers sostiene che l'esperienza cosciente sia necessaria per l'intenzionalità autentica, quindi
pensa che la coscienza sia la fonte primaria del significato. Gli autori però fanno notare che quanto
sostenuto da Chalmers non può essere sostenuto dalla distinzione stessa che viene fatta tra i
problemi facili e difficili. Infatti se la coscienza è fonte primaria del significato come è possibile
capire l'intendere, il discriminare, categorizzare, reagire ecc senza capire il ruolo che l'esperienza ha
in tali processi? Un approccio riduzionistico allo studio della coscienza consiglia di distinguere i
due aspetti fondamentali della coscienza stessa ossia l'esperienza e l'intenzionalità. L'esperienza
non è riducibile e per questo ci si concentra sull'intenzionalità. La fenomenologia però mette in
dubbio tale riduzionismo sostenendo che l'intenzionalità ed esperienza sono aspetti connessi della
coscienza e quindi non si può ridurre e separarli. Secondo i fenomenologi infatti non è possibile
comprendere la soggettività se viene ignorata l'intenzionalità così come non è possibile indagare
l'intenzionalità se si tralascia l'esperienza e la prospettiva in prima persona. È Brentano che
riprende il termine, egli sostiene che la psicologia sia la scienza dei fenomeni psichici mentre le
scienze naturali quella dei fenomeni fisici. C'è differenza tra le due classi di fenomeni? Secondo
Brentano sì, il fenomeni psichico è infatti caratterizzato dall'in-esistenza intenzionale(*) dell'oggetto
ossia dall'in-esistenza mentale dell'oggetto. Ogni fenomeno psichico infatti contiene in sé qualcosa
come oggetto e infatti nell'amore qualcosa è amato, nel desiderio qualcosa è desiderato e così via.
L'in-esistenza intenzionale caratterizza solo i fenomeni psichici. Secondo Brentano questi sono
definiti proprio per il fatto che contendono intenzionalmente in sé un oggetto (p.166)
Appare chiaramente dunque che dato che i fenomeni fisici non contengono intenzionalità questa sia
caratteristica del mentale. Ma cosa è l'intenzionalità?
Il termine generalmente viene usato per indicare la caratteristica della coscienza di direzionarsi
verso qualcosa che ci trascende (intenzione nel senso di tendere a). L'intenzionalità presuppone il
fatto che la coscienza sia sempre diretta e verte su qualcosa.
(*)In-esistenza non deve essere letto come l'assenza di esistenza ma come un esistenza interna.
L'oggetto della coscienza è contenuto in modo immanente nell'atto psichico e la modalità
esistenziale di tale oggetto, ossia il suo stato ontologico, viene chiamato intenzionale. Brentano
sottolinea che il fenomeno psichico è diretto, fa riferimento a un oggetto, egli considera
l'intenzionalità, come già detto, una caratteristica della mente. Nella filosofia analitica e nelle
scienze cognitive vi sono 3 approcci all'intenzionalità.
I Il primo riguarda la filosofia del linguaggio, essa indaga l0intenzionalità della coscienza a partire dalle
analisi delle proprietà logiche che caratterizzano le frasi usate per descrivere i fenomeni psicologici
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La mente fenomenologica Gallagher e Zahavi
II Esso tenta di naturalizzare l'intenzionalità e quindi di spiegarla in termini di meccanismi non
intenzionali. Il vocabolario intenzionale dovrebbe essere eliminato dal discorso scientifico
In questo caso l'attenzione ricade sull'importanza della prima persona, è necessario infatti includere
questo tipo di prospettiva nell'indagine. Una descrizione accurata della struttura dell'intenzionalità risulta
III indispensabile all'indagine filosofica della coscienza.
I fenomenologi si interessano all'intenzionalità, caratteristica della coscienza, abbracciando la
prospettiva della prima persona. Nessun fenomenologo infatti naturalizzerà la coscienza. Lo scopo
della spiegazione fenomenologica della coscienza è di fornire un'analisi descrittiva strutturale
dell'intenzionalità cosciente. I fenomenologi indagano anche circa la relazione che esiste tra mente
e mondo e non tra mente e cervello. Naturalizzare l'intenzionalità può essere inteso come ridurla in
rappresentazioni che accadono come eventi naturali. Vi sono due approcci che tentano di spiegare
la rappresentazione, per somiglianza e per causazione. La somiglianza non sembra però essere
una condizione sufficiente per la rappresentazione infatti ad esempio le parole rappresentano senza
somigliare l'oggetto o il concetto rappresentato. Il fatto che possa pensare (intenzionare) oggetti
assenti, impossibili, immaginari, futuro o ideali mettono in crisi l'idea per cui sono cosciente
dell'oggetto perché mi influenza causalmente. Husserl indaga fenomenologicamente
sull'intenzionalità, come Brentano, sostiene che la coscienza si caratterizzi dal fatto che in tutte le
sue forme vi sia l'intenzionalità verso degli oggetti. Non si può studiare il dubbio, la fantasia, il
giudizio, la percezione, aspettativa, ricordo ecc (varie forme di coscienza) senza studiare l'oggetto
percepito così come non si può studiare l'oggetto intenzionale senza prendere in considerazione il
correlato soggettivo e quindi l'atto intenzionale. Atto di coscienza e oggetto di coscienza sono
interdipendenti. Dato che la relazione è interna non si possono studiare gli elementi della relazione
e poi la relazione, ciò che si può fare è identificare l'elemento della relazione in riferimento all'altro
a cui è relazionato. Allucinazione secondo Brentano L'intenzionalità è una relazione diadica
ordinaria che presuppone l'esistenza di entrambi i relata. L'intenzionalità può essere diretta a entità
inesistenti per il suo carattere di in-esistenza (esistenza interna) intenzionale. Ad esempio nelle
allucinazioni l'oggetto percepito è inesistente eppure l'intenzionalità ha una direzione verso un
oggetto. Tale oggetto (supponiamo un drago) nella realtà è sì inesistente ma ha una sua forma di
esistenza: l'in-esistenza intenzionale.
Quindi la differenza tra percezione e intenzione sta nel fatto che nel caso della percezione
l'oggetto intenzionale non ordinario corrisponde ad un oggetto ordinario reale? Allucinazione
secondo Husserl: L'intenzionalità non è una relazione ordinaria con un oggetto non ordinario ma
un tipo speciale di relazione con un oggetto ordinario, quindi non incappa nel problema presentato
dalla domanda. La relazione speciale, secondo Husserl, può intercorrere anche se l'oggetto non
esistere così come continua ad esistere anche se l'oggetto cessa di esistere. Le intenzioni dirette
verso oggetti irreali sono considerate come caratterizzate dell'essere dirette verso qualcosa.
Differiscono dalle percezioni ordinarie per il fatto che il referente non esiste né dentro né fuori
dalla mente. Il drago dell'esempio dell'allucinazione non esiste fuori dalla coscienza ma non esiste
neppure dentro di essa. Il fatto che l'oggetto (il drago) sia intenzionale secondo Husserl infatti non
implica l'esistenza di questo oggetto. Ciò che esiste è l'intenzione verso quell'oggetto. Nel caso
della percezione non allucinatoria esiste sia l'intenzione sia l'inteso.
Solitamente si afferma che non si è solo coscienti di un oggetto ma si è sempre coscienti di un
oggetto da una certa prospettiva. Come già detto nei capitoli precedenti gli altri sottolineano che
non si vede mai un oggetto nella sua totalità in una sola volta. Inoltre l'oggetto ha sempre uno
sfondo e un contesto in cui è collocato che condizionano la modalità in cui lo percepisco (l'esempio
riportato dai libri riguarda una macchina sportiva che posso percepire come mezzo di trasporto,
fonte di divertimento, dispendio ecc). Questi condizionamenti non sono aggiuntivi ma “i
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La mente fenomenologica Gallagher e Zahavi
fenomenologi hanno sottolineato la continuità tra percezione e pensiero e il fatto che il significato
è intrinseco alla percezione” (p. 176). Oltre che le modalità di presentazione dell'oggetto possono
variare le forme di intenzionalità e quindi non parlo più solo di percezione ma anche di ricordo,
immaginazione, giudizio, ricordo ecc. L'esperienza intenzionale presente due momenti diversi e
inseparabili:
QUALITA' INTENZIONALE DELL'ESPERIENZA MATERIA INTENZIONALE DELL'ESPERIENZA
L'esperienza è sempre di un tipo specifico: giudizio, ricordo, Ogni esperienza è diretta su qualcosa, questa componente
speranza, desiderio, affermazione, dubbio, paura, immaginazione dell'esperienza intenzionale non solo specifica quale oggetto
ecc viene intenzionato ma anche in che modo viene compreso e
concepito.
Husserl sostiene vi siano delle differenze esperenziali tra gli stati coscienti intenzionali (è diverso
l'effetto che fa attendere di ricevere un premio da quello che fa dubitare di riceverlo). Secondo
Husserl non sono solo gli stati sensoriali ed emotivi ad avere proprietà fenomeniche. Anche il
pensiero ha fenomenicità infatti vi è differenza tra vedere un'immagine in cui sembra vi siano segni
senza senso e vedere la stessa immagine riconoscendo che quei segni formano delle parole. Vi è
fenomenicità proprio per il fatto che siano due esperienze diverse eppure sempre cognitive, non
sensoriali. Per capire come intenzioniamo gli oggetti è importante capire la nozione di significato.
L'intenzionalità per i fenomenologi è una questione di significato.
II PARTE
Vi sono esperienze che non hanno un oggetto come l'ansia, la depressione, la noia, il dolore o la
nausea ad esempio. Se si pensa all'intenzionalità come diretta sempre verso un oggetto si nega che
queste esperienze siano intenzionali. I fenomenologi hanno una concezione di intenizionalità più
ampia e la distinguono tra intenzionalità come diretta a oggetti e intenzionalità come capacità di
trascendersi. Gli stati d'animo come tristezza, noia e nostalgia devono essere distinti dai sentimenti
intenzionali come desiderio di un oggetto. Tuttavia anche gli stati d'animo, seppur non si riferiscono
ad un oggetto, hanno riferimenti al mondo e condizionano il modo il cui il mondo ci appare.
Heidegger sostiene che gli stati d'animo non sono fenomeni la cui funzione è quella di
accompagnare ma sono forme di apertura dell'essere-nel-mondo.
Sartre espone la sua analisi sul dolore e in particolare sul bruciore agli occhi. Il dolore secondo
Sartre non si manifesta come un oggetto di riflessione ma influenzando il modo in cui si percepisce
il mondo. Quindi il dolore non viene pensato come esperienza mentale ma come atmosfera che
influenza l'interazione intenzionale con il mondo. Merleau-Ponty sostiene che i colori ad esempio
non siano sensazioni ma sensibili e la qualità è una proprietà dell'oggetto non della coscienza.
Secondo Sartre la coscienza è vuota, l'essere della coscienza intenzionale consiste nel rivelare
l'essere trascendentale. In fenomenologia si sostiene che intenzionalità e fenomenicità siano
collegate ma la natura della relazione non è chiara ed è ancora oggetto di discussione. Gli autori
sottolineano l'importanza di distinguere tra l'effetto che fa l'oggetto al soggetto e l'effetto che fa
l'esperienza al soggetto. Questi non sono proprietà indipendenti. Ogni apparenza, in fenomenologia
è apparenza di qualcosa per qualcuno, sono dirette verso il mondo ma in contemporanea
coinvolgono la presenza del soggetto e quindi un punto di vista soggettivo. McGinn sostiene “se vi
si dice che si fa esperienza di qualcosa che somiglia ad una sfera scarlatta, sapete anche che effetto
fa averla; e se sapete che effetto fa averla, allora sapete anche cosa rappresenta”. Quindi se ciò di
cui siamo consapevoli è legato al modo in cui ci appare sorge la domanda se sia impossibile avere
una credenza inconscia.
Gli autori sostengono che vi sono diverse prospettive
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La mente fenomenologica Gallagher e Zahavi
1. Solo la coscienza possiede intenzionalità genuina. L'intenzionalità che gli oggetti come
immagini, segni, simboli ecc esibiscono non appartiene agli oggetti in sé ma è derivata. La loro
intenzionalità è tratta dal fatto di essere interpretati dalle menti. Le menti invece hanno una loro
intenzionalità intrinseca e non necessitano di atteggiamenti interpretativi di altri nei loro confronti.
Secondo Strawson una persona ha delle credenze anche se dorme.
2. L'intenzionalità non cosciente e quella cosciente sono diverse. Non è possibile spiegare
l'intenzionalità dell'esperienza senza spiegare l'aspetto fenomenico dell'esperienza, allo stesso modo
non è possibile spiegare l'aspetto fenomenico dell'esperienza senza riferirsi all'intenzionalità. Quindi
se una discussione della coscienza intenzionale esclude la coscienza fenomenica non è completa.
Internalismo: prospettiva secondo cui le credenze e esperienze di un soggetto sono costituite
interamente da quello che accade all'interno della mente del soggetto. Il contenuto degli stati
mentali non dipende da ambiente naturale e culturale. Ovviamente non si nega la causalità che
l'esterno ha verso alcuni stati come le percezioni ma si dice che gli stati interni determinano ciò di
cui siamo coscienti.
Esternalismo: gli stati mentali dipendono da ciò che esiste nell'ambiente fisico, sociale e culturale.
Tra questi due fronti dove si colloca la fenomenologia? Si sostiene che Husserl sia internalista
mentre Heidegger, Sartre e Merleau-Ponty favoriscano l'esternalismo. Ci sono alcuni ripensamenti
sul posizionamento di Husserl dati dall'importanza che dà al comportamento diretto verso entità già
pronte per l'uso.
Allo stesso modo Heidegger parla sì dell'essere-nel-mondo ma anche di una forma di
autosufficienza della vita esperenziale. Il Dasein (l'essere-nel-mondo) è intenzionalmente
strutturato di per sé ed è un errore interpretare l'intenzionalità come relazione tra soggetto psichico e
oggetto fisico. L'intenzionlità non è data dalla presenza reale degli oggetti ma dal percepire. Quindi
anche le percezioni errate, illusorie o allucinatorie sono atti intenzionali che coinvolgono il mondo;
il coinvolgimento del mondo non è un'aggiunta ma intrinseco agli atti. I fenomenologi respingono
l'internalismo come materialismo cartesiano e quindi l'idea per cui la mente è identificabile con il
cervello, si oppongono però anche all'esternalismo che riduce l'intenzionalità e il riferimento a
meccanismi causali.
L'intenzionalità è determinata da fattori interni o esterni alla mente?
Questa domanda, secondo gli autori, sarebbe inadeguata in riferimento ad internalismo e
esternalismo. Infatti l'internalismo postula lo iato tra mente e mondo e l'esternalismo sostiene che il
mondo non è esterno alla mente. Se l'esternalismo lo si intende come teoria per cui mente e mondo
sono inseparabili appare ovvio che l'intenzionalità sarà determinata fattori interni. Quindi sarebbe
difficile distinguere dall'internalismo per cui l'intenzionalità è determinata da fattori interni.
La filosofia di Husserl, per alcuni, è il tentativo di scardinare la divisione mente-mondo. Anche
Heidegger sostiene che la relazione tra Dasein e mondo non può essere colta con i concetti interno
ed esterno.
Quindi la fenomenologia sembra non potersi schierare su una o l'altra fazione dato che internalismo
ed esternalismo rimangono legate ai concetti di dentro-fuori mentre la fenomenologia li mette in
dubbio. Secondo i fenomenologi mente e mondo non sono distinte ma entità legate assieme. La
relazione che vi intercorre non è esterna di causalità ma costitutiva, interna.
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La mente fenomenologica Gallagher e Zahavi
Capitolo 7 – La mente incarnata
Quanto il corpo è importante per la cognizione?
Dennett propone un esperimento mentale per cui si pensi ad un corpo (sano) e si inizi a “togliere”
con l'immaginazione tutte quelle parti che se assenti non implicano una modificazione della
cognizione. Un uomo senza un arto può comunque pensare, desiderare, immaginare, ricordare ecc?
Ovviamente sì. Senza due arti è capace ugualmente di svolgere queste funzioni? Ovviamente sì, se
si continua si arriva a immaginare l'esistenza di un cervello in una vasca che venga alimentato
artificialmente e stimolato attraverso elettrodi.
Questa visione è tipica del funzionalismo. La negazione dell'importanza cognitiva del corpo e
quindi una visione disincarnata della mente la si ritrova anche in Platone ed è propria delle scienze
cognitive classiche. Il corpo che i neuroscienziati prendevano in considerazione era quello
rappresentato nella corteccia somatosensoriale. La fenomenologia, per rispondere alla domanda che
apre il capitolo, parte dal fatto che empiricamente dimostrato che siamo incarnati e che le nostre
percezioni e azioni dipendono dal corpo, di conseguenza la cognizione risulta plasmata
dall'esistenza corporea. Ciò non significa negare l'importanza del cervello. Riprendendo l'esempio
di Dennett si nota che il cervello nella vasca (la mente disincarnata) ha comunque bisogno di ciò
che il corpo comporterebbe ed è per questo che deve essere nutrita artificialmente e necessita di
input che vengono somministrati attraverso gli elettrodi. Affinché la nutrizione sia davvero
equilibrata e gli input precisi tanto come gli stimoli sensoriali che il corpo percepisce il software
collegato al cervello in una vasca non dovrebbe far altro che simulare, nel modo più preciso
possibile, un corpo.
Il corpo ha grande importanza per la cognizione, le abilità percettive e pratiche e le conseguenze
che queste hanno nella cognizione, sembrano dipendere dalla posizione eretta del corpo umano.
Gibson sostiene che gli oggetti nel mondo consentono (afford) diversi tipi di azione dato il corpo
che abbiamo. Queste affordances sono legate alla forma del corpo e alle capacità che ne
conseguono di compiere azioni.
La posizione eretta ci permette di vedere orizzonti spaziali più grandi e inoltre, liberando le mani,
possiamo afferrare, manipolare, usare strumenti ecc, tutto ciò introducono complessità nella
struttura del cervello sia ad un livello filogenetico sia ad un livello ontogenetico. La posizione eretta
implica il fatto che la vista sia la capacità percettiva predominante (dato che ci siamo alzati dal
suolo non è più l'olfatto) . Vedere, anche in lontananza, ci permette di pianificare e progettare.
Inoltre avere le mani libere comporta che anche la bocca sia libera e questa oltre che per mangiare
viene usata, grazie allo sviluppo di muscoli fonetici sofisticati, per il linguaggio. Il cervello, sempre
pensato come il comandante deve sempre far riferimento al corpo perché non può autorizzare
movimenti impossibili per il corpo né elaborare informazioni che non siano arrivate dalla periferia.
Questo ragionamento trova conferma nella robotica. Se il primo approccio era quello di creare
intelligenze artificiali prima e dotarle di corpi dopo, ora si ritiene che sia più funzionale partire dal
basso e quindi creare robot fisicamente fondati, che fanno parte dell'ambiente fisico e che usano le
informazioni raccolte in tempo reale. Da un punto di vista filosofico questo modo di concepire è
Cartesiano. Cartesio infatti concepisce gli animali come robot, puramente fisici e privi di coscienza.
Nella prospettiva fenomenologica vi è però un concetto alternativo a quello di cognizione
incorporea. Tae approccio parte con il rifiuto di Merleau-Ponty dell'idea che “il corpo sia
semplicemente una macchina ben ripulita” (p. 205). La fenomenologia non indaga il corpo come
un oggetto tra gli altri ma come principio costitutivo coinvolto nella possibilità dell'esperienza.
L'analisi fenomenologica del corpo è di fondamentale importanza per comprendere la relazione
mente-mondo, mente-corpo e tra sé e l'altro. L'importanza data dalla fenomenologia al corpo
implica il rifiuto del dualismo cartesiano, ciò non si traduce nell'eliminazione della mente dal
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