vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Un contorno continuo in natura è l'indicazione del margine di un oggetto, per questo siamo molto sensibili
alle discontinuità di contorno e tendiamo a percepire i contorni continui come margini di una sola superficie
(“legge della buona continuazione”).
Lo studio della percezione visiva, a questo punto, deve smettere di affidarsi ad analisi puramente
geometriche della stimolazione e cominciare ad affrontare i più difficoltosi problemi che riguardano i modi
in cui forma, movimento, e carattere vengono codificati ed immagazzinati (es. caricatura).
IV. Caricature di oggetti
Le caricature, nel senso di immagini che colgono l'”essenza” di un certo oggetto rappresentato, non sono
limitate alla rappresentazione di persone o animali.
Nello studio sperimentale di Ryan e Schwrz del 1956, vennero mostrate a dei soggetti, con esposizioni
brevi, quattro differenti raffigurazioni di una mano. La prima era una fotografia, la seconda un disegno
ombreggiato, la terza un disegno ricalcato da una fotografia e l'ultima era un disegno tipo fumetto.
Quest'ultimo era percepito correttamente con la più breve esposizione, il disegno a contorno richiedeva
esposizioni più lunghe, le altre due erano circa uguali e si ponevano tra questi due estremi.
Il motivo per cui il disegno tipo fumetto è afferrato correttamente a una breve esposizione, è perché i
contorni sono stati semplificati. Le curve arrotondate hanno sostituito quelle complesse irregolari, quindi si
ha bisogno di un numero minore di fissazioni e di un numero minore di correzione ai nostri schemi in codice
o forme canoniche di questi oggetti. In questa maniera:
aumenta la capacità della visione periferica;
1) l'organizzazione del disegno permette di determinare senza ambiguità quale sia il margine più vicino;
2) ogni volta che si rappresentano i confini di “buchi” o spazi, ne è stata aumentata la separazione
3)
relativa che determina due conseguenze:
• ogni contorno è più chiaramente separabile da quelli vicini, anche nella visione periferica;
• i fattori di vicinanza di contorno e della chiusura tendono a fare di una zona una figura.
La caricatura ha raggiunto risultati migliori delle immagini più accurate accentuando quei tratti distintivi, in
base ai quali di norma si percepisce la natura tridimensionale dell'oggetto.
Cosa hanno in comune la fotografia della mano con quella rappresentata nella caricatura?
Vari oggetti a noi noti hanno forme canoniche, per tutta la storia gli artisti hanno disegnato certi
1.
oggetti familiari in posizioni standard. Per Pirenne questo ci aiuta a percepire gli oggetti in modo non
distorto, anche quando si osserva un quadro da una posizione che non sia il centro della proiezione. La
selezione di vedute canoniche, e la violazione delle stesse per mantenerle tali, fa ciascuno di questi quadri
una caricatura della scena.
In aggiunta dei tratti visivi dell'oggetto rappresentato, ci sono altri tratti non visibili che sarebbero
2.
codificati e offrirebbero una base parziale per la codificazione. Perciò la caricatura potrebbe essere anche più
informativa di un disegno accurato. Queste due figura sono simili nella risposta corporea che diamo ad
entrambe.
V. La rappresentazione delle facce: fisionomia e carattere
Gombrich ha rivolto l'attenzione verso tre problemi. Due di questi sorgono dal fatto che le facce in quanto
oggetti sono diverse tra loro sia perché le persone differiscono nelle fisionomie permanenti, sia perché ogni
persona muta in ogni momento man mano che i tratti si deformano in trasformazioni non rigide. Come si fa
a dire se un ritratto è somigliante o meno al modello? Come sappiamo se una particolare configurazione di
una faccia, in un quadro, rappresenta un carattere fisionomico o un'espressione momentanea? In entrambi
casi ci sono dei limiti a ci sono dei limiti a ciò che siamo disposti ad accettare come ritratti accurati.
Il terzo problemi si ricollega agli altri due: perché sembriamo attribuire espressione a configurazioni di
stimoli che in alcuni casi appaiono adatte a suscitare tali risposte, ma che in altri casi sembrano lontane sia
dall'espressione sia dall'affetto? Per esempio quando più persone sembrano trovare in uno scarabocchio, un
accordo sulle qualità affettive e emotive. Possiamo dunque considerare le nostre risposte a ritratti come casi
speciali di questa più generale risposta alle configurazioni visive?
I gestaltisti proposero che una certa configurazione di pigmento sulla tela, organizzata come ritratto e il
nostro stato affettivo producono gli stessi campi celebrali, ma questa soluzione è troppo generale.
Gombrich ha risposto che le facce sono codificate in base al contenuto espressivo in termini muscolari. →
Teoria dell'empatia di Lipps. Questo spiegherebbe anche il fatto del perché non ci ricordiamo il colore degli
occhi di qualcuno, anche se sappiamo riconoscerlo senza esitazioni, ossia solo i movimenti muscolari
vengono immagazzinati.
Per studiare questo tipo di problema gli psicologi hanno elaborato tecniche che potessero fornire misure più
obiettive dei tipi di informazione che vengono codificati e immagazzinati, usando tre tipi generali di metodo:
l'informazione si acquisisce meglio tramite una modalità sensoria, ma non è applicabile a tutti i tipi di
1.
immagine;
dimostrare che il soggetto può eseguire compiti più appropriati a una modalità sensoria piuttosto che
2.
ad un'altra;
introdurre delle interferenze di un determinato tipo sensorio: se si riesce a confondere l'osservatore
3.
tramite la distrazione visiva e non tramite quella auditiva, significa che il meccanismo mnemonico in atto è,
in quel senso, più visivo.
Ma la teoria dell'empatia spiega tutt'al più perché produciamo risposte espressive di fronte a configurazione
visive. Questa teoria è simile alla primitiva spiegazione empirista della percezione della profondità: dal
momento che sembrava che non ci fosse modo di render conto dello spazio percepito nei semplici termini
delle proprietà delle configurazioni pittoriche chiamate “indizi di profondità” e che l'attributo di spazio
sembra così chiaramente caratteristico dei ricordi tattili-cinestetici di azioni fatte nel mondo tridimensionale,
le proprietà spaziali dei dipinti erano attribuite all'insieme di immagini tattili-cinestetiche che suscitavano.
La teoria dell'empatia offre una spiegazione simile della percezione della faccia.
Un ritratto, se non conosciamo il modello, comunica sempre delle informazioni: come le caratteristiche
fisiche (sesso, età, etnia...) oppure lo stato temporaneo come la sua espressione emotiva. Espressione
temporanea e tratto permanente non sono necessariamente opposti, infatti i tratti della faccia non vengono
visti singolarmente. Un quadro, di solito, sarà probabilmente preso per uno stato tipico dell'oggetto o della
scena rappresentata, permettendo di prevedere la natura dei possibili atteggiamenti di risposta della persona.
Oppure mostra la faccia con parecchie deformazioni locali, che ci è possibile identificare come un certo
atteggiamento, ma senza sapere quali siano le conseguenze comportamentali (es. Gioconda). Ma in
ambedue i casi il quadro ha un “carattere” più o meno ovvio. Si può dire che osservando un ritratto,
scegliamo un determinato tratto sia come deformazione espressiva o come caratteristica permanente.
Ci sono due problemi che dobbiamo considerare in relazione agli stimoli che configurano il “carattere”:
siamo capaci di rispondere a “variabili di ordine superiore”(possibilità o meno di individuare un
1.
determinato tratto-simbolo in una singola occhiata, ≠ tratto locale), che implicano svariati tratti diversi con
una singola risposta unitaria;
se la frase precedente è vera, perché rispondiamo agli stimoli che riguardano le caratteristiche
2.
temporanee, abituali e permanenti del modello?
La risposta al primo punto è affermativa, precisando che ci vuole più tempo per riuscirvi di quanto non ce ne
voglia per i singoli tratti (es. identificare l'età di un modello che non abbiamo mai visto, nessun indizio
singolo definisce l'età).
Per quanto riguarda il secondo punto bisogna ricordare che le espressioni emotive momentanee
appartengono alla specie da molto tempo, molto prima che si sviluppasse il linguaggio in quanto sono più
immediati e guidano l'interazione sociale.
In generale anche una sola parte localizzata di un'espressione di ordine superiore basta a fungere da segnale,
che abbia qualche effetto espressivo sull'osservatore (es. una bocca allargata da sola ci fa supporre un
sorriso, quindi influenza le nostre attese che potranno anche essere smentite).
Questo ci conduce alla questione finale, il tratto fisionomico derivante. I caratteri fisionomici di una persona
influenzano i giudizi che diamo circa la sua espressione, persino se non riusciamo ad individuare
precisamente come sia il suo stato di riposo.
La proposta dell'autore è che i tratti espressivi di una persona servono a segnalare ciò che quella persona farà
in seguito, servono a ridurre l'incertezza dell'osservatore riguardo ciò che la persona intende dire o fare.
Anche i tratti che non si situano in una deformazione dell'espressione (es. la fronte alta) possono avere una
connotazione espressiva per due ragioni:
possono presentare un rapporto che è anche una data deformazione dell'espressione (es. sopracciglia
1.
inarcate) ;
possono deviare rispetto alla norma nella direzione di un certo modello ben definito che comporta
2.
una serie di attese (es. bambinesco).
Perciò le facce, anche a riposo, hanno effetti espressivi sull'osservatore. La spiegazione, senza ricorrere alla
teoria dell'empatia, sta nel fatto che le linee e le configurazioni semplici (come quelle delle caricature) sono
codificate alla stessa maniera dei gesti espressivi a cui di norma dobbiamo prestare attenzione nei rapporti
con le persone. Un modo in cui ci sarebbe possibile scoprire i tratti della caricatura sarebbe nell'impiegare
quella che Gombrich ha chiamato la “legge di Töpffer”: apportando variazioni sistematiche ai disegni di
facce e scoprendo l'effetto che producono nell'osservatore.
Le caricature rendono possibile un vocabolario visivo più compatto, ovvero usano un numero relativamente
piccolo di tratti per rappresentare un insieme molto più vasto di facce. Questo numero piccolo è sufficiente
per tre ragioni:
alcune differenze tra parti anatomiche delle fisionomie umane sono impercettibili;
1. non abbiamo bisogno di notare tutti i modi in cui le facce differiscono l'una dall'altra per poterle