vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Hochberg La rappresentazione di cose e persone
Lo studio delle immagini e lo studio della psicologia procedono ormai da tempo intrecciati.
In questo studio cercherò di servirmi della moderna teoria della percezione per chiarire questioni
poste nel contesto della teoria pittorica. Bisogna tornare ai primi esperimenti di Leonardo sulle
rappresentazioni pittoriche e ai modi in cui le due scuole classiche della teoria della percezione
hanno trattato i problemi posti da questi esperimenti. Bisognava collocare una lastra di vetro di
fonte a sè e fissarvi l'occhio al fine di tracciare un disegno sul vetro. Questo metodo aiutava
Leonardo nella realizzazione di indizi di profondità e distanza. Le implicazioni di questo
esperimento, più volte discusso, si fondano su un assunto erroneo: "solo un settore dell'operazione
percettiva interviene nel processo dell'informazione visiva". La questione si è incentrata sulla
prospettiva: la configurazione sul piano del quadro produce per l'occhio la stessa distrubuzione di
luce ed ombra dell'originale solo se l'osservatore guarda quel quadro dallo stesso punto di vista e
stessa distanza da cui è stato tracciato. Si pongono però 4 questioni:
perché un quadro rappresenta solo una scena?
È possibile percepire un'infinità di scene ma solo una viene percepita dall'osservatore. Vediamo
come spiegano ciò le due teorie classiche della percezione: 1) la teoria empirista dello
"strutturalismo" affermava che le nostre esperienze visive consistono in sensazioni di diversi colori
(luce, ombra, tono) e di immagini o ricordi di quelle sensazioni; non intervengono quindi esperienze
visive dirette che siano in relazione con le caratteristiche spaziali della scena. Lo spazio è un'idea
non-visiva, un'idea tattile-cinestetica che le nostre esperienze passate ci hanno insegnato ad
associare all'indizio di profondità visivo. Lo strutturalismo quindi considerava tutti gli indizi di
profondità come simboli. 2) la teoria della Gestalt, invece di considerare l'esperienza percettiva
composta di singole sensazioni isolabili, proponeva una "teoria del campo" in cui ogni
configurazione della stimolazione luminosa che colpisce la retina dell'occhio produce uno specifico
processo nel cervello, che si organizza in campi di causalità globali e che varia a ogni variazione
della distribuzione dello stimolo. I campi cerebrali si organizzeranno nel modo più semplice
possibile, si possono individuare particolari regole di organizzazione, esempio la legge della
simmetria; legge della buona continuazione (vedremo linee e contorni nel modo più continuo
possibile), legge della vicinanza.. Quindi, gli indizi di profondità non sono arbitrari e non dipendono
dalle esperienze passate. Ciò che vediamo dipende dall'organizzazione dei campi cerebrali.
Resistenza delle immagini alle distorsioni prospettiche; tolleranza delle incoerenze.
I quadri possono essere guardati da posizioni diverse dal giusto punto di osservazione senza subire
alcuna distorsione percettiva. Per questo ci sono due spiegazioni: a) forme ed estensioni sono di
solito determinate più dal contesto che dall'immagine che presentano all'occhio, e il rapporto figura-
sfondo resta intatto. b) nel 1972 Gombrich affermò che in quadri visti da un punto d'osservazione
inappropriato si presentano di fatti distorsioni. Egli osserva che le parti di una scena dipinta
appaiono muoversi e deformarsi nelle relazioni spaziali man mano che l'osservatore si muove
rispetto al quadro, questi cambiamenti però non vengono notati in condizioni normali per un
problema dell'attenzione. Si possono rendere visibili tali distorsioni se ne aumentiamo la grandezza.
Quando l'oggetto muta il suo orientamento apparente, anche le due facce sembrano mutare le loro
rispettive dimensioni. Esiste un accoppiamento tra le dimensioni percepite e la distanza percepita:
"causalità percettiva". In termini strutturalisti, questo accoppiamento si verifica perché operiamo
inferenze inconscie, cioè perché abbiamo sviluppato forti abitudini percettive nel corso
dell'esperienza col mondo. Le immagini possono essere in realtà percepite come immagini basate
sulla prospettiva convergente di oggetti divergenti, malgrado le intenzioni dell'artista, e la
profondità rappresentata può diminuire. Perché viene tollerata l'incoerenza? Cerchiamo di spiegarlo
osservando le immagini incoerenti di Escher e Penrose: queste appaiono tridimensionali, nonostante
per la teoria gestaltista le immagini appaiono solide solo se le organizzazioni sono più semplici in
tre dimensioni che in due. La spiegazione per cui le incoerenze vengono tollerate è che le zone
incoerenti dell'immagine non vengono di solito comparate direttamente l'una all'altra. Questo ci
mette di fronte a un problema difficile per la Gestalt: ogni oggetto solitamente viene esaminato in
una serie di occhiate e le parti separate della figura poi devono venire tutte a coincidere in tempi
diversi con la parte centrale della retina, la fovea, per poter essere viste con piena chiarezza dei
dettagli. Il processo del guardare è al tempo stesso un processo attivo e selettivo. Ciò che
percepiamo del mondo è determinato sia dai processi che guidano la fissazione, sia da quelli che
determinano ciò che conserviamo in una sequenza di fissazioni. Questi processi, a loro volta,
dipendono dall'attenzione dell'osservatore. Una critica rivolta alle teorie classiche era che esse
ignoravano la natura intenzionata della percezione. Osserviamo che tutta la percezione visiva
comporta anche comportamenti sequenziali intenzionati altamente specializzati. Intere sequenze di
azioni vengono eseguite con facilià, anche senza alcun bisogno di uno stimolo esterno che avii
ciascun atto. Che cosa determina quindi la sequenza delle azioni muscolari che avvengono così
velocemente? È chiaro che il nostro sistema nervoso può generare, immagazzinare, eseguire ciò che
in un calcolatore si chiamerebbe "programma", cioè una serie di ordini provenienti dal sistema
nervoso centrale e diretti verso la muscolatura, che possono essere eseguiti in sequenza. Nella
psicologia strutturalista questa funzione era svolta dall'"immagine", e il comportamento era guidato
dalle immagini sensorie, invece in realtà tali comportamenti non implicano di necessità alcuna
coscienza. [automaticità] Notiamo che tali programmi sono selettivi (così come un termostato
misura la temperatura e non sarà influenzato dalle note musicali). Sono quindi orientati verso una
meta e queste caratteristiche sono l'attenzione e l'intenzione.
Il comportamento percettivo: il modo in cui una persona gira lo sguardo sul mondo dipende quindi
tanto dalla sua conoscenza del mondo quanto dai suoi scopi, cioè dall'informazione che cerca. È
noto che con la memoria immediata riusciamo a ricordare un numero limitato di elementi, un
normale osservatore eseguirà più fissazioni di quante ne potrà ritenere la sua mente. Dobbiamo
indagare in qual modo le rapide occhiate separate si ricompongano nel tempo in una singola scena
percepita, e come siano ritenute in una serie di occhiate distinte:
gli occhi registrano il dettaglio solo in una piccolissima zona foveale, dobbiamo quindi scoprire il
mondo visivo attraverso varie occhiate in diverse direzioni. Queste avvengono tramite movimenti
oculari a scatti, i cui bersagli vengono decisi prima. Osservando il mondo, il soggetto ha due fonti di
attese: 1) ha imparato qualcosa circa le forme che dovrebbe aspettarsi di incontrare; 2) l'ampia
periferia della retina, che non fornisce il dettaglio, lo aiuta a suggerire dove dirigere lo sguardo.
Consideriamo le abilità di lettura: qui l'ordine di codificazione non è libero, ma imposto dalla
natura del linguaggio; queste si apprendono relativamente tardi nell'infanzia. È una maniera molto
innaturale di usare gli occhi (leggere richiede al lettore di operare tante piccole fissazioni adiacenti
in una sequenza fissa), in contrasto con le abilità che acquisiamo nella culla, e che manteniamo
nell'esplorazione di un vasto mondo tridimensionale. [per rendere meno faticoso il processo di
lettura, il lettore dovrebbe tendere a indovinare in base a ciò che viene percepito dalla visione
periferica, così da fare meno fissazioni possibili. In base alla ridondanza del linguaggio, il lettore
formula e verifica frammenti di discorso.]
Consideriamo la percezione visiva di oggetti e dello spazio: (ricordiamo che la gamma di
stimolazione offerta da un quadro o dalla scena non viene utilizzata simultaneamente dal cervello:
riusciamo a vedere solo ciò che cade entro il campo della visione e può essere visto nel dettaglio
solo ciò che cade entro lo spazio strettissimo della fovea). Come nel caso della lettura, dirigiamo le
nostre fovee in base alle ipotesi che si generano dalla nostra visione periferica. L'integrazione delle
immagini successive che riceviamo deve dipendere dalla nostra abilità di far rientrare una ciascuna
immagine in una sorta di "mappa mentale", in una struttura cogntiva che immagazzina
l'informazione portata ad ogni occhiata. Se ho afferrato la giusta "configurazione percepita" o
mappa, le immagini successive colte dall'occhio si combinano nella struttura percettiva con facilità,
è facile vedere una forma stabile ed è difficile distinguere le occhiate componenti. Ci accorgiamo
così che la maggior parte del quadro come è visto da noi non è sulla retina dell'occhio ma
nell'occhio della mente. Comunque, le scoperte non sono invenzioni e le convenzioni non sono
necessariamente arbitrarie: l'artista, nel realizzare un quadro, non ha inventato un linguaggio
completamente arbitrario, ha scoperto invece uno stimolo che è equivalente ai tratti in base a cui il
sistema nervoso codifica normalmente le immagini di un campo visivo. Tali "convenzioni" vengono
apprese tramite l'esperienza col mondo degli oggetti. (Abbiamo delle attese, circa le conseguenze
dei movimenti eseguiti dall'occhio e della testa, perché i movimenti oculari sono programmati in
anticipo rispetto alla loro esecuzione). Riguardo le configurazioni, le generalizzazioni valide
sembrano ancora essere le "leggi di organizzazione" gestaltiste. Dobbiamo notare che queste leggi
non sono convenzioni artistiche puramente arbitrarie (es. Il mimetizzarsi di certi animali ci fa
confondere i loro contorni, ma sicuramente gli animali da preda non hanno subìto l'influenza delle
nostre convenzioni artistiche).
Possiamo identificare i disegni in base a vari stimoli, arbitrari e non.
La caricatura, per esempio, è una configurazio