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COMUNICAZIONE NON VERBALE

Per milioni di anni, gli esseri umani han comunicato avvalendosi del solo canale non verbale: la

comparsa del linguaggio ha portato ad una dimensione simbolica ed alla nascita della cultura, ma

esso non si è sostituito bensì solo sovrapposto alla comunicazione non verbale od extralinguistica

(CNV). La CNV include una serie di elementi, tra cui i gesti, le espressioni del volto, la voce, etc..la

psicologia ingenua la considera spontanea e naturale, più informativa di quella verbale forse anche

perché non del tutto controllata dal soggetto.

La prospettiva più condivisa per quanto riguarda la CNV è quella che prende in considerazione la

coevoluzione geni-ambiente, secondo cui la CNV si basa su specifici circuiti neurali che

comprendono i s. piramidale ed extra-, oltre che processi autonomini di ordine inferiore ed altri

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consapevoli e superiori: in questo senso, anche se la CNV dipende da meccanismi biologici, non è

del tutto avulsa dal controllo cosciente; è, anche, plastica, perciò cambia a seconda del contesto.

Sui rapporti tra comunicazione verbale e non, ci sono due correnti di pensiero:

la CNV era una vera e propria forma sociale, assolutamente non caotica. Il linguaggio è nato

- proprio dalle premesse biologiche, cognitive e sociali poste in essere dalla CNV. C’è,

pertanto, un’asimmetria tra questi due livelli comunicativi, poiché il linguaggio dipende

dalla CNV, che infatti ancora lo affianca durante ogni scambio comunicativo. Senza la CNV,

non potrebbe esistere il linguaggio. Il verbale ed il non verbale, comunque, han seguito

percorsi evolutivi differenti e si differenziano tra loro sotto diversi pdv (sebbene le

caratteristiche sotto elencate non siano peculiari di una sola forma di linguaggio ma si

possano trovare, anche, nell’altra):

verbale è digitale, nel senso che è convenzionale ed arbitrario/ha funzione

a. denotativa, cioè di trasmissione di informazioni in modo preciso/è arbitrario,

perché il segno linguistico è legato al significato da un rapporto di contiguità;

non verbale è analogico, cioè cambia continuamente a seconda di quel che si

b. vuole comunicare/ha funzione connotativa, ovvero non ha una finalità

espressiva/è motivato, perché si basa su rapporti di similitudine.

ad oggi si è più propensi ad appoggiare una prospettiva integrata, secondo cui ogni sistema

- di comunicazione è, di per sé, parziale nell’adempiere alla sua funzione, perciò i s. verbale e

non sono tra loro interdipendenti, pur potendo anche essere autonomi, ovvero dotati di

regole proprie. L’esito è la sintonia semantica e pragmatica, che coordina in modo

convergente i diversi sistemi e che permette anche alle persone di calibrare i loro messaggi a

seconda dei contesti (soprattutto per mezzo di un uso graduato dei segni non verbali).

L’efficacia comunicativa è un indice del valore comunicativo di un messaggio e consiste nel

determinare delle conseguenze pragmatiche (attenzione, interesse, consenso, etc.) nel

destinatario.

I principali sistemi non verbali di significazione e segnalazione sono i seguenti:

s. vocale l’atto fono poietico è l’insieme di tutti gli aspetti vocali, che includono

1. l’intonazione, il tono, il ritmo e l’intensità. La voce è una sostanza fonica, che si compone di

diversi elementi, quali:

riflessi rutto, tosse, sbadiglio, etc.;

a. 

caratterizza tori vocali riso, pianto, singhiozzo;

b. 

vocalizzazioni sono le pause piene (ah, hm, …);

c. 

caratteristiche extralinguistiche sono organiche (configurazione anatomica

d. dell’apparato fonatorio) e fonetiche (modo in cui una persona usa la propria

dotazione biologica, ex. voce nasalizzata o palatizzata);

caratteristiche paralinguistiche proprietà acustiche che cambiano a seconda

e. della situazione. Sono determinate dal tono (F0, ovvero la frequenza

fondamentale della voce, che dipende dal livello di tensione delle corde vocale,

laddove l’insieme delle variazioni del tono è il profilo di intonazione),

dall’intensità (volume della voce) e dal tempo (durata, velocità dell’eloquio,

velocità di articolazione –in cui, diversamente che nei primi due casi, non si

contano le pause ma solo le sillabe per sec-, pause piene e vuote).

L’atto fonopoietico ha in sé due componenti: quella vocale verbale (o linguistica) include la

pronuncia (fonologia), il vocabolario (lessico e sematica), la grammatica (sintassi e

morfologia), la prosodia e la prominenza (accentuazione di un elemento); quella vocale non

verbale definisce la qualità della voce, l’impronta vocalica, che dipende da fattori biologici

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depressione, stress, temperamento istrionico, etc.) e psicologici transitori (legati ad

esperienze emotive, espistemiche e comunicative particolari, come la seduzione e l’ironia).

Per quanto riguarda le emozioni, si possono distinguere due fasi: durante l’encoding, si dà

voce alla propria emozione che si vuole comunicare e si è visto che ci sono delle differenze

significative (ad ex. la collera ha pause brevi od assenti ed aumento di intensità, la paura ha

un’elevata velocità di articolazione e perturbazioni di F0, la tristezza ha un tono basso,

lunghe pause ed un ritmo rallentato, la gioia ha un incremento di F0 e tono acuto, il

disprezzo ha un’articolazione lenta e la tenerezza un volume basso ed un ritmo regolare); il

decoding, invece, consiste nel riconoscimento dello stato affettivo da parte del destinatario

ed è stata rilevata un’accuratezza media del 60%, con la collera come emozione più

facilmente riconosciuta e maggiori difficoltà riscontrare per quel che concerne la tenerezza,

il disprezzo ed il disgusto.

Anche il silenzio può essere considerato un modo strategico di comunicare, anche se ha un

significato ambiguo: può sia unire che separare. Le regole del silenzio stabiliscono in che

occasioni esso possa essere o meno utilizzato ed in che modo e vengono apprese fin da

bambini, essendo determinate dalla cultura. Risente delle dinamiche di potere: l’individuo

subalterno è quello che più spesso resta in silenzio di fronte al superiore. Mentre nelle

culture occidentali il silenzio è avvertito come minaccioso, in quelle orientali è apprezzato;

s. cinestesico include i moti del corpo, del volto e degli occhi.

- In “L’espressione delle emozioni nell’uomo e nell’animale”, Darwin ha definito le

espressioni facciali come un inutile retaggio evolutivo, che ci deriva da movimenti che gli

animali inferiori utilizzavano principalmente in condizioni di attacco e di fuga (principio

delle abitudini inutili); ha aggiunto che emozioni opposte si manifestano in modo antitetico

dal pdv delle espressioni del volto (principio dell’antitesi) e che queste ultime emergono a

causa della necessità del SN eccitato di scaricare (principio dell’azione diretta del SN

eccitato sull’organismo). Ekman ha formulato la teoria dei programmi affettivi, secondo cui

le espressioni facciali che manifestano le emozioni di base (gioia, collera, paura, tristezza,

disgusto e sorpresa) emergono spontaneamente e si basano su programmi affettivi,

evolutivamente selezionati e che si ritrovano uguali in tutte le culture, negli adulti e nei

bambini e, addirittura, nei non vedenti. L’autore ha dimostrato la sua posizione con il

metodo standard, che consiste nel mostrare delle foto di espressioni emotive posate a delle

persone anche di culture non alfabetalizzate e nel chiedere loro di riconoscere l’emozione

rappresentata scegliendo tra una serie di alternative; si tratta, però, di un metodo che ha

diversi limiti, legati al fatto che le espressioni-stimolo non sono spontanee e che le risposte

sono forzate, non aperte: non sono quindi rispettati i vincoli della validità ecologica (le

emozioni non sono manifestate in contesti naturali), convergente (i dati non possono essere

confrontati con altri ottenuti con metodi diversi) ed interna (gli strumenti adottati

concorrono in modo cumulativo nel confermare l’ipotesi di partenza). Ekman, comunque, ha

ammesso che possono esserci delle variazioni tra le diverse culture, legate alle così dette

display rules, che mettono gli individui nella condizione di essere o meno genuini, di

accentuare, attenuare, sopprimere, camuffare e simulare stati emotivi a seconda del contesto.

per distinguere le espressioni facciali genuine da quelle false, l’autore si sta dedicando allo

studio delle microespressioni (indizi minimi), che consentono ad ex. di distinguere tra un

sorriso di Duchenne ed un sorriso simulato. Ekman, dunque, ha avanzato la teoria neuro

culturale, secondo cui le persone apprendono, vivendo in una certa cultura, quali eventi

siano emotivamente connotati e come ci si debba approcciare: i dispositivi neurofisiologici

sono il cuore delle espressioni facciali, mentre le regole di esibizione agiscono da filtro.

21 Fridlund si oppone alla prospettiva innatista di Ekman e pensa che le espressioni facciali

comunichino un’intenzione, più che una semplice emozione. Ha proposto la teoria

dell’ecologia comportamentale, secondo la quale le espressioni emotive compaiono solo in

presenza di un pubblico e non quando si è da soli e, per questo, si può parlare di “socialità

impicita”. Non ha quindi senso distinguere tra espressioni genuine e false, dal momento che

tutte sono intenzionali ed hanno valore sociale. Alcuni Autori han completato questa teoria

facendo riferimento a Mead, che ha notato come gli animali interagiscano tra loro calibrando

i loro movimenti l’uno in funzione dell’altro; nel caso dell’essere umano, quindi, le azioni

sono simboliche quando attivano una stessa risposta nell’interlocutore. Ci deve essere,

quindi, allineamento relazionale ed infatti le persone tendono a sintonizzarsi anche dal pdv

delle espressioni del volto, fatto salvo le situazioni di competizione.

Secondo una prospettiva contestualista, le espressioni facciali assumono una certa valenza

emotiva solo all’interno del contesto in cui si manifestano, perciò hanno un alto valore di

indessicalità. Un’emozione, quindi, non è riconosciuta solo dal viso, ma dal corpo nella sua

interezza (voce, movimenti del corpo) e dal contesto fisico e psicologico in cui la persona è

inserita. In proposito è interessante l’effetto Kuleshov: il regista ha dimostrato come ad una

stessa espressione possa essere attribuita un’emozione diversa a seconda che sia preceduta

da un fotogramma evocativo di una certa s

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Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PED/01 Pedagogia generale e sociale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher JennyJenny di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia della comunicazione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Bosco Francesca.
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