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La scuola piagetiana crede nella possibilità di accelerare i processi di sviluppo, solo se queste
rifiuta posizioni rispettano l’evoluzione del soggetto, cioè non saltando delle tappe, ponendolo in
una situazione di attività e così via. Rispettando il principio dell’attività del soggetto nel processo
di apprendimento si valorizza la presentazione di situazioni che stimolano nel bambino la
curiosità, l’interesse e la scoperta di qualcosa di problematico. Inoltre si cerca che le situazioni
abbiano caratteristiche tali per cui il bambino possa affrontarle da più punti di vista fino a
pervenire a un conflitto cognitivo, cioè ad una condizione di stranezza, di incertezza o di stupore
cognitivo di fronte alla situazione. Tale conflitto dovrebbe invitarlo a confrontare le varie modalità
da lui utilizzate per risolvere il problema. Da tale confronto potrebbe emergere l’apprendimento.
gioco
L’interazione sociale fra bambini costituisce un luogo privilegiato di apprendimento. Il
cooperativo è un’attività che consiste nello spostare un pennarello, attaccato a un oggetto, lungo
un percorso, cioè un disegno stampato su figli grandi. Si attua per mezzo di una tavola rotonda,
torno alla quale vi sono dei montanti che tendono delle pulegge. Quest’ultime sono costituite da
un cilindro sul quale è attaccato un filo resistente, legato anche al corpo mobile. Due rotelle ai lati
permettono di farlo girare, assieme al filo, in modo da spostare il corpo mobile. Attraverso le 3
rotelle ai lati di ciascuna puleggia è possibile tenere bloccato il pannello, spostarlo verso di sé
oppure lontano da sé. I risultati più significativi sono stati che:
- a 7/8 anni il gruppo fornisce prestazioni migliori dei singoli;
- a 7/8 anni forniscono migliori risultati i gruppi “spontanei”, cioè senza un “capo”, mentre a a
9/10 anni avviene il contrario;
- a 7/8 anni tutto risulta più difficile se non si può comunicare verbalmente.
Questa esperienza valorizza il ruolo della cooperazione tra pari e mette in evidenza che tale
cooperazione produce risultati ottimali proprio nel momento cruciale dell’apprendimento, cioè
quando l’individuo ha già i “requisiti” necessari, ma è ancora nella fase centrale
dell’apprendimento. Le indicazioni che si possono trarre sul piano didattico sono:
- il rapporto fra pari permette una cooperazione che favorisce lo sviluppo cognitivo e promuove
la relazione con i bambini più grandi o adulti purché il bambino sia messo nelle condizioni di
“sentirsi alla pari”, cioè di confrontare le proprie idee con quelle dell’altro;
- le prestazioni di un allievo tendono ad essere migliori se egli assume il ruolo dell’insegnante
rispetto ad un altro allievo.
Pensando agli alunni con disabilità intellettive, si ha una conferma dell’importanza dei coetanei, è
necessario un insegnamento non troppo direttivo ma tendente a porsi “alla pari” e anche per
l’allievo con disabilità intellettive dovrebbe valere la “regola” che egli impara di più se assume il
idee del bambino
ruolo dell’insegnante. Ferreiro e Teberosky si sono domandate quali fossero le
sulla lettura prima di saper leggere e scrivere. Si ritiene che l’apprendimento “minimo” della
lettura e della scrittura sia acquisito nella prima classe della scuola primaria. L’apprendimento
della lettura e della scrittura consiste in una vera e propria acquisizione concettuale. I bambini
formulano idee, teorie e ipotesi che confrontano tra di loro, pervenendo a nuove e più evolute
concettualizzazioni. L’influsso ambientale può essere molto significativo nel favorire tale sviluppo
o nel rallentarlo. I bambini con svantaggio socioculturale si dimostrano però meno evoluti degli
altri. Fin dai 2/3 anni, il bambino ha proprie idee su cosa può essere oggetto di lettura e cosa no:
egli distingue la scrittura, poiché ci sono dei “segni”, dal disegno, poiché ci sono delle “immagini”.
Dai 3/4 anni i bambini capiscono che per leggere devono esserci abbastanza segni e non devono
essere uguali tra di loro. Inoltre, il bambino distingue tra “lettere” e “numeri” e tra lettere e segni di
interpunzione. Il bambino non tende però a porsi spontaneamente il problema se si legge da
destra a sinistra o viceversa. Nei primi stadi vengono scritte solo le cose importanti, come i nomi,
e successivamente aggiungerà il predicato verbale o quello nominale. Per quanto riguarda l’ordine
con cui sono scritte le cose, il bambino non dà importanza all’orientamento spaziale e non cerca
la piena corrispondenza con il linguaggio parlato. A partire dai 4-5 anni i bambini capiscono che la
parola singola può essere scritta con più caratteri, come il corsivo o lo stampatello maiuscolo. Il
primo soggetto di scrittura è messo il proprio nome. Dai 2 ai 6 anni abbiamo cinque diversi livelli:
1. il bambino distingue fra il corsivo e lo stampatello;
2. il bambino produce dei grafismi che assomigliano a delle lettere;
3. il bambino scrive una lettera per ogni sillaba;
4. il bambino cerca di far corrispondere più di una lettera per ogni sillaba;
5. il bambino scrive al livello che l’adulto considera come minimo finché si possa dire che un
bambino sa scrivere.
Per trovare “la ricchezza già presente nel bambino” è necessario un atteggiamento di base volto:
- a credere che questa ricchezza c’è;
- a credere che se non la troviamo vuol dire che abbiamo sbagliato livello e dobbiamo andare più
in profondità;
- a darsi tempi adeguati per farla emergere;
- a coordinare tale ricchezza con la nostra programmazione.
Sternberg e Grigorenko riprendono il concetto di zona prossimale di Vygotskij di sviluppo per
valorizzare l’uso dei test dinamici accanto a quelli statici. I test statici sono più usati e vengono
somministrati agli individui per valutare il livello di intelligenza, intesa come un insieme di
conoscenze e competenze già raggiunte. Chi propone il test cerca di farlo in mondo standard e
cerca di non fornire suggerimenti. I test dinamici si propongono invece di valutare i potenziali di
apprendimento, cioè il livello di conoscenze e competenze che il soggetto raggiunge se viene
aiutato. Inoltre, il test dinamico dovrebbe fornire informazioni sulle capacità espresse e latenti
degli individui. Le capacità latenti sono le capacità di un individuo, ad esclusione delle influenze
testing dinamico
ambientali. Il è caratterizzato dal fatto che si aiuta il soggetto, si cerca di
insegnargli qualcosa e si valuta che cosa ha imparato. La valutazione può esprimersi in un
punteggio. I problemi dell’uso del testing dinamico sono: 4
- il punteggio in un test acquista per l’individuo un significato perché esso è confrontato con i
punteggi del gruppo a cui appartiene. In questo modo si può vedere la media della sua
prestazione. Se nei test statici ciò è reso possibile dal fatto che chi propone il test cerca di farlo
il più possibile nesso stesso modo per tutti, nei test dinamici l’insegnamento è individualizzato
e tutti sono messi nella stessa condizione per insegnare a ciascuno il massimo;
- è difficile capire quanto l’aiuto abbia evidenziato i potenziali di apprendimento dell’individuo o
fornito conoscenze superficiali;
- nel caso si usi la modalità test statico - retest dinamico è importante considerare che la
differenza fra i due test è condizionata dall’effetto prodotto dalla ripetizione del test;
- nel caso si usi la modalità test statico - retest dinamico è importante considerare che la
differenza fra i due test è condizionata in età evolutiva dall’effetto “tempo”: al progredire dell’età
si verifica un incremento delle risposte positive.
Nonostante questo, il testing dinamico è utile al fine di valutare obiettivamente i potenziali di
apprendimento degli individui. Sternberg e Grigorenko fondarono la loro proposta di
potenziamento dell’uso del testing dinamico su una solida base teorica, secondo cui:
1. le abilità degli individui sono meno stabili di quanto normalmente si ritenga e sono forme di
expertise in sviluppo, cioè sono dovute a un processo continuo di acquisizione di
consolidamento di abilità necessarie per una certa prestazione;
2. i test di abilità misurano aspetti molto limitati di expertise in sviluppo;
3. tutti i test misurano il profitto in tipi diversi di expertise in sviluppo;
4. il costrutto dei test che valutano le abilità specifiche e quelli “di intelligenza” è quello di
expertise in sviluppo;
5. possono essere distinti tre aspetti di sviluppo: analitico, creativo e pratico;
6. anche le abilità creative e analitiche si sviluppano risentendo delle influenze ambientali.
Le caratteristiche del modello di expertise in sviluppo consistono nell’interazione fra 6 elementi:
1. le abilità metacognitive, che riguardano la comprensione e il controllo che gli individui hanno
della propria cognizione. Esse sono modificabili;
2. le abilità di apprendimento, che possono essere esplicite, che avvengono quando ci
impegnano per apprendere, o implicite, che avvengono quando raccogliamo informazioni per
caso;
3. le abilità di pensiero, che si distinguono in abilità di pensiero critico, creativo e pratico. Esse
sono anche il primo passo nella traslazione del pensiero in un’azione di vita reale;
4. la conoscenza, che può essere dichiarativa, che consiste nel “sapere che”, o procedurale ,
che consiste nel “sapere come”;
5. la motivazione, che può essere al risultato o alla competenza;
6. il contesto. I fattori contestuali che possono influenzare la performance a un test includono la
lingua madre, l’enfasi del test su una prestazione veloce, l’importanza attribuita al soggetto
esaminato al successo del test e la familiarità con il tipo di materiale del test.
Possiamo concludere che:
1. ogni intervento di potenziamento cognitivo volto a far realizzare i potenziali di sviluppo e di
apprendimento si concretizza nella gestione di processi complessi che considerano le
interazioni fra abilità metacognitive, abilità di apprendimento, abilità di pensiero, conoscenze,
motivazione e contesto;
2. la motivazione ha un ruolo centrale ed è guidata dai valori;
3. il potenziamento delle abilità intellettive richiede interventi equilibrati sui vari aspetti
dell’intelligenza;
4. i progressi in singoli ambiti hanno scarsa generalizzabilità in altri e perciò o