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Il volume raccoglie una serie di testi nati dal ciclo di incontri AutoFocus, che ha avuto luogo presso il Dipartimento delle Arti Visive di Bologna nella primavera 2009. Ciascun relatore ha affrontato alcune peculiarità dell' autoritratto fotografico, inteso sia come mezzo e prodotto genericamente espressivo, sia come supporto per la costruzione del sé e per la terapia.

Le dinamiche dell' autoritratto tra arte e terapia (Stefano Ferrari)

Quando si parla di autoritratto in termini psicologici ci si riferisce in generale al rapporto che ciascuno di noi intrattiene con la raffigurazione della propria immagine.

Certamente la prima e più costante occasione di relazione con la nostra immagine è data dallo specchio; ogni mattina decidiamo quale faccia presentare al mondo, quindi lo specchio è anche e soprattutto la nostra mente. Lo specchio costituisce un elemento centrale nella costruzione e nella stabilizzazione dell' identità. Per Lacan sappiamo che un bambino prima dei 18/24 mesi non è in grado di avere una concezione unitaria del proprio corpo. L' Io si forma, sempre secondo Lacan, nel momento in cui il bambino si riconosce e si identifica con l'immagine altra riflessa allo specchio.

Se da un lato l'identificazione con l'immagine speculare allo specchio ha finito per diventare automatica, dall' altro proprio la fotografia finisce per riproporsi ogni volta l'originario carattere alienato della nostra immagine. La fotografia amplifica il processo di alterizzazione, proprio per la potenza e la semplicità del suo automatismo, accentuando la valenza passiva dell'esperienza che la caratterizza. L' autoritratto, al pari del ritratto, costituisce un modo di "sconfigurare la morte" lasciando una testimonianza di sé che duri nel tempo.

L'aspetto relazionale attinente alla percezione della nostra immagine che caratterizza fin dalle origini l'esperienza dell'autoritratto è messo in evidenza dalla teoria di Winnicott, secondo cui è il volto della madre il primo e autentico specchio in cui il bambino si cerca e si vede e si riconosce. Il bambino effettivamente si vede, e dunque iscrive i tratti del volto materno in quella che diventerà la propria immagine mentale. Ed è come se la fotografia dovesse catturare e registrare nel proprio volto questa dipendenza parentale; proprio la fotografia consente di smontare e isolare i particolari di un volto, di u corpo, di una postura dandoci la possibilità di cogliere somiglianze parentali che di solito non si vengono a notare. La fotografia possiede un vantaggio rispetto allo specchio, essa infatti permette di recuperare pienamente la profondità, e il valore evocativo e primario dell' impronta che costituisce una magica garanzia di contiguità tra realtà e rappresentazione.

L' attività degli artisti può dar luogo a risultati ambivalenti, da un lato abbiamo una lettura psicologica, per l'altro verso la supportano. Numerosi autoritratti eseguiti da artisti fotografi appaiono piuttosto elaborati e sembrano voler nascondere l'elementarità del gesto. Forse anche proprio attraverso le loro macchinose messe in scena essi consentono di mettere meglio in evidenza alcuni e dinamiche specifiche dell' autoritratto e quindi del rapporto che ciascuno di noi ha con la propria immagine.

Caso particolare è quello dell'artista polacco Roman Opalka, che è dal 1965 che si autoritrae quotidianamente, nello stesso luogo, nella stessa posa e nella stessa inquadratura. Progetto che costituisce un tentativo di neutralizzare l'inesorabile trascorrere del tempo. L’operazione in sé è estremamente interessante, tanto è vero che il suo gesto è stato imitato spesso anche da fotografi dilettanti.

Nel caso dello specchio esiste spesso una coazione a guardarsi continuamente che risponde all'esigenza di familiarizzare con la propria immagine e di addomesticarla, rendendola più heimlich.

Un'altra caratteristica dell'autoritratto messa in luce dagli artisti è il bisogno e il gusto del travestimento. Anche questo ha a che fare con il problema dell' identità, ma nel senso creativo di un Io potente che vuole rivendicare ironicamente la sua esuberante e plastica polivalenza; un modo per appagare quel bisogno di "pluralità di vite" di cui parla Freud (da Duchamp in poi non si contano gli artisti che hanno utilizzato il travestimento).

La compulsione all'autoritratto può essere collegata a un disagio che non sempre il soggetto da solo sarà in grado di risolvere. Entriamo nell'ambito specifico di una arte- o foto-terapia. La pratica dell'autoritratto prevede una acrobatica psichica il soggetto deve tornarsi a vedere come oggetto e dunque operare un processo di disidentificazione. Abbiamo un Io attivo che guarda e osserva e un Io passivo che viene guardato e osservato.

Indubbiamente nell'autoritratto, e in particolare in quello fotografico, sono presenti notevoli implicazioni psicologiche ed è senz'altro in grado di attivare nel soggetto emozioni profonde. L'arte, e in genere le varie attività espressive, nella misura in cui attingono all' inconscio e mobilitano vissuti interiori profondi, hanno certamente dentro di sé potenzialità più o meno specificamente auto-terapeutiche.

Nei workshop in cui viene utilizzato l'autoritratto fotografico, esso costituisce di per sé è una garanzia di equilibrio e di distanza nei confronti dei pericoli collegati allo schieramento delle emozioni. Questi laboratori funzionano come una sorta di setting transazionale in grado di assorbire e neutralizzare preventivamente tensioni e conflitti.

Un aspetto non trascurabile per quanto riguarda i progetti di arte-terapia è quello legato all' eventuale insegnamento di determinate tecniche espressive.

Non va sottovalutata la funzione di elaborazione e contenimento che svolge, per esempio, la semplice imitazione, o addirittura l'esercizio del copiare. I meccanismi dell' imitazione hanno infatti una loro intrinseca valenza riparatoria. Imitare è un po come ricordare e ripetere, dunque rielaborare, è un modo per impadronirsi dell'oggetto, oggetto che in quanto sconosciuto ci crea turbamento.

Altre tecniche di fitoerapia consistono non nell' effettuare autoritratti, ma nel scattare fotografie di luoghi o persone per noi importanti: è un gesto di difesa che dà la sensazione di poter controllare gli eventi.

Alla base del fare arte c'è un'ottica speciale nei confronti della realtà, l'arte è un punto di vista sul mondo. In questo senso la fotografia è qualcosa che fa potenzialmente di ciascuno di noi un artista. Cristina Nuñez, all'interno dei suoi workshop, sostiene che ciascuno può realizzare un'opera d'arte e che la pratica dell' autoritratto consente di fare di ciascuno di noi un artista. L'autoritratto vuole essere l'equivalente del nostro mondo interno e vuole entrare in comunicazione con gli altri, vuole far capire agli altri chi siamo.

Cranio rasato, o dipinto di rosa, d'argento e d'oro, magrezza allucinata e abbigliamento sfrontatamente maschile. Autoritratto del 1928 in cui è in piedi su uno sfondo monocromatico di un telo appeso alle spalle, ella indossa un completo maschile di velluto con il fazzoletto nel taschino e la camicia che le avvolge il collo.

Anche Annemarie Schwarzenbach vive esperienze pressoché parallele a quelle della Cahun. Visse una vita agitata, caratterizzata da viaggi esotici e pericolosi in cui il sogno era quello di affermarsi come scrittrice e giornalista intrecciato a una pratica di fotografia di reportage intensa e coinvolgente. È autrice di numerosi romanzi, raccolti e ricordi di viaggio e di un'attività fotografica interessante. A noi però ci interessa accennare alla sua immagine come costruzione e testimonianza fotografica della propria identità e delle proprie scelte di vita attraverso i numerosissimi ritratti fotografici. Annemarie diventa una sorta di testimonial raffinata dell'abbigliamento androgino anche per la comunità lesbica tra le due guerre rappresenta una tappa importante al fine di ottenere riconoscibilità e libertà di espressione. Trasgressiva, colta ed emancipata, Annemarie dà fondo a tutto il repertorio di segni e codici comunicativi del lesbismo dentro l'alveo dell'icona della new woman che prende sostanza a partire dagli anni '20.

Fotografia e arte irregolare (Sara Ugolini)

Un passo decisivo verso il riconoscimento del valore estetico della produzione creativa di individui estranei all'ambito dell'arte (persone affette da disturbi psichici) si deve alla figura di Jean Dubuffet. Dal 1945 inizia a visitare i manicomi e a raccogliere i materiali che esporrà per la prima volta nel 1949 a Parigi.

Un'evidente insofferenza per le categorizzazioni di Dubuffet e le esigenze di elaborarne di nuove, più fluide e in sintonia con il contesto socio-culturale in cui le opere trovano origine, sono aspetti che caratterizzano la storia dell'espressività irregolare fino ad oggi. Teniamo presente che gli irregolari storici, Wölfli ed Aloise tra gli altri, hanno spesso realizzato collages (immettendo frammenti d'immagini fotografiche ritagliate dalle riviste).

Nel caso di Wölfli l'unione tra segno grafico immagine stampata non è un elemento circoscritto a una serie limitata di lavori. Sempre in Wölfli la fascinazione spontanea per le immagini si concilia con una precisa quanto inaspettata conoscenza dei limiti e delle funzioni del mezzo fotografico. Negli anni in cui all'attività creativa del paziente non veniva ancora riconosciuto un particolare valore, e tantomeno una dimensione terapeutica, la possibilità di usufruire di materiale per disegnare va considerata un privilegio.

Nel catalogo della mostra del 2004 "Create and be Recognized", Roger Cardinal fa presente che le testimonianze fotografiche realizzate da pazienti psichiatrici sono in genere molto rare. A rendere pensabile l'utilizzo della fotografia in un contesto psichiatrico, hanno contribuito i progressi tecnici del mezzo: l'introduzione del digitale prima di tutto ha ridotto a zero i costi di sviluppo.

Nelle produzioni irregolari, anche nel caso della fotografia è possibile individuare diversi filoni, tra cui uno specificamente autoritristico.

Dettagli
Publisher
A.A. 2012-2013
11 pagine
14 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/04 Museologia e critica artistica e del restauro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ricky5 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia dell'arte e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Ferrari Stefano.