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Qui Mayo affronta diverse esperienze, che si svolsero presso:
una sala volta alla verifica dell’assemblaggio dei relè telefonici,
o un’altra deputata al semplice assemblaggio dei relè e un’altra alla
trasformazione della mica.
la sala di posa dei fili.
o l’intera sede degli stabilimenti.
o 1. Nelle ricerche svolte nella sala di prova dei relè i ricercatori
tentarono di verificare se le manipolazioni di variabili quali
la lunghezza della giornata lavorativa, la scansione e durata
delle pause, le modalità di pagamento ed incentivazione
avessero un qualche effetto sui livelli di produttività
individuali. Ci si rese conto che qualunque cambiamento nelle
variabili indipendenti era accompagnato da un incremento
della produttività.
Spesso si afferma che gli studi di Mayo
o costituiscono un ribaltamento rispetto a quelli di
Taylor e l’homo oeconomicus viene sostituito
dall’home reciprocans di Mayo.
2. La seconda importante esperienza si svolse presso la sala di
posa dei fili dove lavoravano 14 operai con diverse mansioni.
I lavoratori avevano spontaneamente individuato un leader
che godeva di molto consenso e avevano fissato
implicitamente la quota di produzione giornaliera ad un
livello inferiore a quanto si aspettasse la direzione aziendale.
All’interno del gruppo erano attive diverse forme di
pressione sociale che facevano sì che coloro i quali
producevano più o meno della quota implicita di produzione
fossero spinti dal resto del gruppo a tornare ad uniformarsi
alle sue norme interne mediante il ricorso all’ostracismo
sociale, alla derisione e agli insulti.
3. L’ultima esperienza riguarda un programma di interviste,
condotte inizialmente in forma strutturata, che davano
risposte schematiche e stereotipate. Ciò spinse, quindi, ad
adottare un approccio non strutturato. Con l’intervista non
direttiva fu possibile ottenere due risultati: i lavoratori
sentivano di poter parlare liberamente di tutto ciò che stava
loro a cuore con un effetto positivo di natura terapeutica; poi,
i ricercatori acquisivano un’ulteriore conferma del ruolo degli
aspetti sociali nelle esperienze lavorative degli intervistati.
Mayo sintetizza le ricerche in:
le motivazioni di natura sociale sono importanti quanto quelle economiche.
la dimensione sociale è divenuta sempre più importante proprio per
compensare la perdita di senso delle attività lavorative dovute all’affermarsi
dell’industrializzazione.
l’individuo è influenzato dalle pressioni sociali del suo gruppo di lavoro.
il supervisore è il tramite tra direzione e lavoratore e può garantirsi la
collaborazione e il sostegno di quest’ultimo solo nella misura in cui sa
rispettare e soddisfare i suoi bisogni sociali.
Capitolo 3 – I tre paradigmi allo studio del lavoro organizzato
Alcuni studi sono definiti classici perché i concetti e le teorie che hanno proposto
costituiscono per certi versi le fondamenta degli studi odierni e per altri versi
forniscono tuttora spunti di riflessione.
Gli approcci contemporanei, definiti non classici sono tre:
1. Approccio modernista.
2. Approccio simbolico – interpretativo.
3. Approccio postmoderno.
Questi sono stati chiamati da Samuel Kuhn “paradigmi”.
Assistiamo alla coesistenza dei più recenti paradigmi simbolico – interpretativi
e postmoderni con il più vecchio paradigma modernista e ciò è avvenuto per
diverse ragioni:
Il grado di sviluppo delle scienze sociali non ha ancora raggiunto un livello
di sofisticatezza tale da contribuire a spiegare in maniera univoca unità molari
di studio quale può essere il comportamento organizzativo.
L’eterna diatriba tra scienza e pratica, che vede la contrapposizione tra
manager (interessati a perseguire obiettivi di efficienza ed efficacia) e
accademici (interessati a intraprendere strade nuove di indagine e riflessione).
Alcuni inconvenienti legati alla multidisciplinarità di quest’ambito di studio
in ragione dei quali alcune discipline dominanti, quali l’economia, risultano
ancora caratterizzate da teorie ed approcci di stampo modernista.
Le teorie sviluppate all’interno di ciascun paradigma riescono a spiegare
meglio alcuni aspetti della vita organizzativa piuttosto che altri.
La diatriba tra quantitavisti (interessati a indagare e descrivere i
comportamenti organizzativi per mezzo di cifre e standardizzazioni) e
qualitativisti (interessati a penetrare nel profondo dei processi organizzativi).
Ontologia – ha a che fare con la nostra percezione di che cosa sia la realtà.
Relativamente a questa, distinguiamo tra soggettivisti (che affermano che una
cosa esiste soltanto nel momento in cui viene percepita) e oggettivisti (che
affermano che la realtà esista indipendentemente da coloro i quali la
percepiscono).
Epistemologia – riguarda la modalità attraverso la quale possiamo pervenire
alla conoscenza e alla verità. Distinguiamo tra positivisti (affermano che la verità
possa essere raggiunta attraverso una corretta concettualizzazione ed una
misurazione affidabile dei dati di realtà e si associa ad un’ontologia di tipo
oggettivista) e interpretativi (affermano che la conoscenza dipende dal soggetto
impegnato nell’atto del conoscere e quindi non è possibile generalizzarla al di là
del soggetto stesso).
Paradigma modernista
Si tratta di un paradigma oggettivista, che ha goduto di una posizione dominante
nel Novecento e che postula che esista una realtà esterna oggettiva ed
indipendente dai nostri processi di conoscenza. Possiamo arrivare a conoscere
per mezzo dei nostri cinque sensi e dell’intelletto. Tale processo di indagine e
conoscenza è cumulativo, lineare e richiama l’idea di progresso. I teorici
modernisti sono interessati a scoprire e sistematizzare fenomeni universali.
Concetti fondamentali sono: efficienza, efficacia, standardizzazione, misurazione,
generalizzabilità, universalità.
Nell’ambito di tale paradigma possiamo individuare tre teorie importanti:
1. Teoria generale dei sistemi di Ludwig Von Bentalanffy – questa teoria
ha avuto un’influenza notevole per quanto riguarda i tentativi di analisi e
spiegazione delle organizzazioni e dei loro processi.
Un sistema è inteso come una cosa fatta di parti in relazione tra loro, che non
possiede proprietà ma le acquisisce attraverso il continuo interagire funzionale
dei suoi sottosistemi; qualora tali sottosistemi non interagissero, il sistema
cesserebbe di essere tale e diventerebbe un insieme di parti inanimate.
L’interrelazione tra i sottosistemi implica che, sebbene possiamo analiticamente
scomporre il sistema nei suoi costituenti, l’essenza dello stesso può essere colta
solo osservandolo come un tutto unitario. Le organizzazioni sono considerate
sistemi aperti, nel senso che acquisiscono risorse di vario genere dall’ambiente, le
trasformano mediante processi interni in prodotti o servizi e li scambiano con
l’esterno in cambio di altre risorse materiali o immateriali. Il funzionamento del
sistema si gioca sul costante equilibrio tra spinte verso la differenziazione e il
controbilanciamento dovuto alle spinte verso l’integrazione. Il contributo di
Boulding è fondamentale perché ci permette di sottolineare l’importanza del
concetto di livello più basso, il contesto, per finire al nono livello che è quello
trascendentale. Tale teoria ha ricevuto diverse critiche:
Si afferma che tale tipo di analisi sistemica reifica le organizzazioni,
ossia tratta un concetto come se fosse una cosa reale.
Tale teoria restituisce l’idea di un mondo stabile e prevedibile, più di
quanto esso lo sia effettivamente.
Rimane in sordina qualsiasi storicizzazione dei fenomeni
organizzativi.
Il sistemismo ci restituisce un’immagine delle organizzazioni basato
sul consenso, trascurando quindi il conflitto e i giochi di potere, e
sul determinismo.
2. Teoria dei sistemi socio-tecnici – i ricercatori del Tavistock proposero un
approccio allo studio e intervento nelle organizzazioni, integrando più
discipline e teorie sociali e mettendo a punto nuove tecniche di indagine.
Eric Trist e Ken Bamforth condussero un intervento all’interno di alcune
miniere di carbone inglesi, chiamato case study. Tale esperienza è la prima
testimonianza dell’introduzione di nuove tecnologie nel processo produttivo.
La Direzione di tali miniere promosse l’introduzione del metodo della
parete lunga, che distribuiva gli operai lungo uno spazio di circa 200
metri, frammentandone le squadre e il senso di unità e coesione.
Tale “innovazione” fu seguita da un aumento di infortuni, del tasso
di assenteismo e della tensione sociale, e da un brusco calo dei livelli
di produttività.
In seguito ad un’attenta osservazione dei fenomeni psicosociali in
atto, Trist e Bamforth promossero l’introduzione del metodo della
parete corta, che prevedeva la creazione di team di lavoro autonomi
e polivalenti, ai quali era assegnata la responsabilità dell’intero ciclo
di estrazione del combustibile. Tale metodo si rifletteva in una
produzione significativamente maggiore nonché in una maggiore
armonia tra i lavoratori, per effetto della sinergia tra sistema sociale
e sistema tecnologico.
3. Teoria delle contingenze – si fonda sullo studio e manipolazione delle
relazioni reciproche tra struttura, contingenze ed esiti. In particolare, la
relazione tra struttura ed esiti varierà di momento in momento a seconda
delle contingenze ambientali. Questo approccio nacque negli anni Sessanta
del secolo scorso, grazie agli studi della Woodward sulla relazione tra
tecnologia, struttura organizzativa e performance e si scoprì che le imprese
di successo non applicavano sempre i principi manageriali postulati, bensì
cercavano di adattarsi all’ambiente con strategie di volta in volta diverse.
Paradigma simbolico – interpretativo
Il paradigma simbolico – interpretativo trae origine dalla crisi di senso che
investì l’antropologia negli anni Ottanta del secolo scorso. Tale paradigma si
ispira ad un’ontologia di stampo soggettivista, ossia non possiamo riconoscere
l’esistenza di qualcosa senza averne percezione e consapevolezza. Ne deriva
un’epistemologia di tipo antipositivista: la conoscenza dipende dai soggetti
conoscenti e può essere compresa solo da questi; la verità non è qualcosa di
assoluto ma risulta situata. Nell’ambito di tale paradigma, possiamo individuare
due teorie particolarmente