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PARTE TERZA – LEADERSHIP DA CAPO

Perché è così difficile essere un buon leader? Quali sono le conseguenze psicologiche per gli

individui di questa concentrazione esasperata sul tema? Qual è il legame tra leadership e

followership?

Jay Conger: “quando il comportamento di un leader diventa esagerato, perde il contatto con la

realtà, o diventa il veicolo per perseguire guadagni personali, può danneggiare il leader e

l’organizzazione”. La prospettiva psicodinamica va alla ricerca di quelle dimensioni che possano

consentire di cogliere i “nodi” delle relazioni di potere ai vertici delle organizzazioni. Le

conseguenze dei processi di downsizing hanno messo in evidenza e in risalto la necessità di una

leadership che non solo guidi e promuova il cambiamento, ma che sia anche capace di ricostruire

un clima fortemente “perturbato”.

Miller: la relazione tra leader e follower è di per sé in pericolo di diventare patologica, laddove il

leader è per il follower colui che soddisfa i bisogni primari di sicurezza. Negli attuali contesti

organizzativi ci sono ragioni in più per temere che la relazione possa essere luogo di difficoltà e

problemi. In questa relazione la capacità di giudizio critico è sospesa: accade che i follower

sottovalutino il proprio potere, inflazionando quello del leader. La distanza contribuisce all’incanto:

il leader offre una visione irraggiungibile e diviene nell’immaginario dei follower il rappresentante di

un gruppo sociale “mitico”. Allo stesso tempo però il legame che si crea diviene luogo di origine di

una rabbia che trae forza da sedimenti di relazioni vissute nei primi momento della storia

individuale. Quando ciò accade, il leader realmente efficace sa re-digere questa stessa rabbia

verso compiti produttivi, ma non sempre ciò avviene e funziona.

Ritiro psicologico: fenomeno in cui le organizzazioni rispondono talvolta negandone l’esistenza,

talvolta considerandolo un problema di committent. Questi due tipi di risposte riflettono 2 differenti

modelli mentali di management: nel primo essi sono considerati meccanismi intercambiabili, robot

programmati che possono essere portati dentro o fuori, senza sentimenti. Nel secondo essi sono

bambini che crederanno a ciò che dirà loro la famiglia. La prima è dunque una leadership “non

caring”, la seconda assume invece di poter essere l’ideale dell’Io.

Gli individui investono sul lavoro ben di più delle loro competenze e dei loro progetti, anche se

sembra che ciascuno sia in realtà più interessato a “fare a modo proprio” piuttosto che eseguire

puntualmente ciò che gli viene richiesto. Allcorn parla di protagonisti e comparse: i primi sono gli

eccellenti, i forti, i vincitori; i secondi sono i mediocri, i deboli e i perdenti. Sono però entrambi

sconfitti, perché prigionieri delle vicissitudini del loro inconscio.

Kets De Vries: nell’intreccio tra psicoanalisi e discipline manageriali le dinamiche di leadership

sono lette nella direzione di rilevare la presenza di forze irrazionali. Il tema dell’irrazionalità è

strettamente connesso a quello delle necessità di sviluppare una psicoanalisi dell’organizzazione

contribuendo “allo sviluppo di una teoria del funzionamento organizzativo visto dalla prospettiva di

un clinico”, e il suo intento ultimo corrisponde a quello di “umanizzare l’organizzazione, riconoscere

il ruolo degli individui nei vari drammi che danno origine alla vita organizzativa”. E’ nella relazione

tra leader e follower che si ripetono modalità consolidate di legami irrigiditi e imprigionati, stimolate

dalla vicinanza con il tema del potere, della sua conquista così come della sua rinuncia.

8 – PRIMEGGIARE O ASSECONDARE

Peters e Waterman in “In Search of Excellence” descrivono gli 8 attributi distintivi per il successo di

un’organizzazione. La critica di Allcorn è quella di aver reificato l’organizzazione attribuendole

caratteri che non possono essere ricondotti ai singoli individui che al suo interno operano. Sono gli

individui stessi che si possono o meno impegnare, con risultati più o meno brillanti, alla ricerca

della superiorità.

Allcorn: quali sentimenti suscitano i superstar? Quanto le organizzazioni si rivelano realmente

disponibili a sostenere questa vocazione?

8.1 I primi della classe

I superstar sono bravissimi, quando non, assolutamente, i più bravi. Non ci sono criteri sempre

validi che possano rendere immediato il loro riconoscimento. Sembrano appartenere a uno stesso

“tipo”, accomunati da un’identica storia. La leadership è l’ambizione che lega tutti i superstar.

Spesso eccellono, grazie alle capacità e abilità personali che gli permettono di adempiere alle

responsabilità esercitando l’autorità senza cadere nell’ambizione del potere o nel desiderio di

manipolare. Sono abili nel condurre gruppi di lavoro e non hanno difficoltà a ottenere il consenso di

tutti su ogni decisione da adottare. Sanno essere capaci di prendere in esame tutti i punti di vista e

di dimostrare reale interesse a tener conto degli obiettivi individuali e dei vantaggi che possono

derivare dalle soluzioni adottate. Sanno anticipare e prevedono il possibile corso degli eventi con

notevole realismo. Sono abili nello sviluppare progetti, suscitando il coinvolgimento e la

partecipazione dei colleghi. “Le persone sono sempre pronte a seguire i superstar perché

confidano nel fatto che essi sappiano effettivamente prenderle in carico attraverso gli obiettivi che

perseguono. Sono spesso stimati e apprezzati e vivono questa superiorità con “leggerezza”, senza

ostentarla e senza cercare di imporla, facendo in modo di alimentare consento e seguito. Nelle

situazioni di leadership, essi sanno esprimere una notevole concentrazione verso la riuscita dei

problemi, esprimendo anche efficienza e creatività. Il loro atteggiamento è pervaso di socialità, che

si manifesta come coinvolgimento e riconoscimento. Sono individui molto produttivi, lavorano e

pensano rapidamente, hanno grandi energie e sempre qualche contributo da offrire. Sanno

organizzare con efficienza i programmi di lavoro, ottimizzando i mezzi e le risorse a loro

disposizione. Sanno assumere in prima persona il carico delle responsabilità, sono molto preparati

su qualsiasi questione, cercano ogni occasione per ampliare le loro conoscenze. Guardano ai

problemi come a un’opportunità di stimolare la ricerca di soluzioni, sono motivati e determinati,

creativi. Difficilmente accettano di essere confinati alla ripetitività di schemi consolidati. Sono poco

gelosi delle loro idee, sono invece disposti a metterle al servizio di tutta l’organizzazione.

Apprezzano le doti dei loro collaboratori, sanno esaminare gli errori, sono alla continua ricerca di

feedback da parte degli altri per migliorare. Competono con loro stessi, le critiche sono accolte in

modo costruttivo. Secondo Allcorn, superstar si nasce e si diventa nello stesso tempo. Non si può

infatti non ritenere che “già in partenza” vi fossero potenzialità che non tutti potevano vantare.

Effetti negativi: mentre noi pensiamo che gli altri dovrebbero essere incoraggiati a raggiungere il

successo, quando essi lo fanno, non sempre questo ci fa sentire bene. Essi hanno raggiunto

qualche cosa che desidereremmo per noi. Ci sentiamo invidiosi, messi da parte, oltrepassati.

L’apprezzamento che essi suscitano può divenire, in qualche caso, lo strumento stesso di cui

l’organizzazione si serve per provocare la loro superiorità. Allcorn individua alcune dinamiche atte

a evitare di esporsi all’ansia e all’aggressività che chi condivide il profilo di superstar sembra

suscitare:

1. Reazione anti-elitaria: si assegnano incarichi o compiti al di là di quella rappresentata dal

riferimento elettivo delle competenze riconosciute a chi di questo compito si deve rendere

responsabile. Vanno quindi incontro a una serie di interferenze e boicottaggi che rendono il

raggiungimento dell’obbiettivo ancora più complicato e oneroso. Potrà anche accadere che

l’attività del gruppo di lavoro venga interferita dalle richieste di un suo allargamento,

rifacendosi al principio che è indispensabile “adottare criteri di composizione più

democratica”. La relazione anti-elitaria assume il significato di esprimere contrarietà alla

presenza del superstar.

2. Magia del management: dinamiche inconsce che sostengono una qualche forma di

pensiero che si immagina possa fare scomparire ogni possibile ostacolo o interferenza,

ogni rischio o minaccia. Tutto ciò è personificato appunto dalla presenza del superstar:

presenza la cui necessità è richiesta, ma diviene pur sempre scomoda per i molti

interrogativi che può aprire. Il superstar viene bloccato dall’accordo di chi, sentendosi non

all’altezza del problema, può “inventarsi” una qualunque soluzione sforzandosi di

convincere gli altri della sua assoluta originalità.

3. Mantenimento della mediocrità: strategia più abituale. Si negherà il bisogno di dover

ricorrere all’intervento di un superstar, adottando per esempio un approccio cauto e

misurato: si sosterrà che il modo migliore per affrontarlo è quello di procedere per “piccoli

passi”. Nel caso questa strategia non funzioni, si insinueranno resistenze contro la

chiamata in campo del superstar, rappresentate da “frasi fatte” che vorrebbero circoscrivere

definitivamente il problema. Un’ulteriore strategia è quella di bloccare il ricorso alla

competenza del superstar tentando di troncare ogni discussione, ogni perplessità puntando

sul convincimento dell’urgenza della soluzione o della decisione. La vita organizzativa finirà

così per dipendere dalle tentazioni dei falsi superstar piuttosto che dalle intenzioni dei veri.

Esistono differenti tipi di superstar in base alle differenti “distorsioni in negativo” che possono

avere:

1. Pulsar: orgoglioso sino a diventare arrogante, presuntuoso e vendicativo. Si ritrova in

costante competizione con gli altri, sempre alla ricerca della possibilità di far valere la

propria superiorità. Si può scorgere questa esasperata tensione alla rivincita in un lontano

periodo, forse segnato dalla presenza di una figura paterna autoritaria e punitiva, critica e

svalutativa. E’ con questa figura che il conto è ancora aperto. Nelle relazioni di lavoro cede

facilmente a confermare la propria superiorità attraverso l’identificazione con un modello

che nel migliore dei casi si intona al paternalismo mani

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Publisher
A.A. 2017-2018
43 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/06 Psicologia del lavoro e delle organizzazioni

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Scolari97 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bergamo o del prof Morelli Ugo.