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STILI DI DOMANDE MECCANISMI RELAZIONALI FENOMELOGIA DELLA DOMANDA
Domanda di trasformazione Scissione, Proiezione Trasformazione di un’altra persona/della propria
testa/corpo
Domanda di mutamento preordidato Scissione, Diniego, Identificazione proiettiva Mutamento di altri/di sè precostruito
Domanda di cambiamento Scissione, Identificazione Cambiamento di sè delegato/assunto
Il processo psicodiagnostico è l’iter (il percorso) che il paziente percorre insieme al clinico per raccogliere informazioni sul problema, su se
stesso e sulla sua relazione con lo psicologo. Gli scopi del processo diagnostico sono:
• rilevare e circoscrivere l’entità e l’ampiezza del/dei disturbi lamentati;
• attribuire ai disturbi un significato;
• individuare quali possibili strategie per ridurre, modificare o eliminare la sofferenza del paziente.
Nel corso del processo psicodiagnostico si ritiene che il clinico debba:
• ascoltare il paziente e capire cosa intende dire;
• decidere se il clinico è la persona adatta per il problema portato dal paziente e per il paziente stesso;
• stabilire se il disturbo che il paziente lamenta corrisponde al problema principale presentato;
• individuare informazioni significative che vengono accidentalmente o intenzionalmente omesse;
La raccolta delle informazioni si avvale di molte modalità e strumenti, dal colloquio con il paziente e con i familiari alle osservazioni e agli
esami strumentali.
Le operazioni dello psicologo clinico sono guidate da un metodo di lavoro, il metodo clinico che si caratterizza per:
• attenzione più al paziente che non alla malattia o al sintomo;
• attenzione al modo di funzionare del paziente;
• uso di tecniche e procedure che hanno come scopo primario conoscere il paziente e il suo funzionamento;
• attenzione alla dimensione emotiva del clinico;
• attenzione alla relazione che si instaura tra lo psicologo e il paziente.
Il metodo clinico non si identifica con nessun modello psicopatologico o clinico ma stabilisce le condizioni in base a cui è possibile
comprendere quale/quali modello/modelli è possibile e meglio applicare.
La diagnosi funzionale è centrata sul funzionamento del paziente e non su etichette nosografiche o a un’eziologia scelta
à
aprioristicamente. La formulazione di una diagnosi funzionale implica due aspetti:
• La restituzione, cioè la comunicazione al paziente di una nuova chiave di lettura del proprio modo di essere, ma tale per cui egli possa
riconoscere e sentire di essere stato compreso.
• L’eventuale presa in carico del paziente da parte dello psicologo clinico stesso o di un altro psicoterapeuta.
Nel corso del processo diagnostico, uno psicologo clinico può cadere in errore indotto dai sintomi che il paziente accusa. Gli errori possono
essere di origine cognitiva o emotiva e dipendere dall’esperienza del clinico stesso. Esistono due teorie esplicative dell’errore clinico:
• La teoria calda, che riguarda gli aspetti emotivi;
• La teoria fredda, che riguarda gli aspetti cognitivi e razionali.
L’alleanza diagnostica è un rapporto emotivo particolare che si instaura tra clinico e paziente nel corso della consultazione diagnostica.
Richiede la capacità per entrambe le parti di trovare uno o più oggetti comuni di lavoro. Non nasce spontaneamente, la sua formazione
dipende dagli interventi specifici del clinico ed è condizionata dal paziente. La mancanza di alleanza offre informazioni poco utilizzabili.
3. Il Colloquio Clinico
Il colloquio clinico è uno, forse il più importante, degli strumenti di lavoro dello psicologo clinico.
Il colloquio clinico si differenzia dagli altri strumenti per parametri legati al setting, all’interazione con il soggetto e al compito prefissato.
Il colloquio è un processo interattivo tra almeno due persone in cui l’interazione è finalizzata al conseguimento di un obiettivo
predeterminato (Wiens). Il fine del colloquio è chiarire il modo di vivere della persona in esame. Il clinico ne è direttamente coinvolto, lo
influenza e ne è influenzato (Sullivan H.S). Gli aspetti salienti del colloquio sarebbero due: raccolta di informazioni e relazione di aiuto.
Le finalità del colloquio clinico sono otto:
1. Stabilire e delimitare una relazione interpersonale, analizzando la qualità della domanda portata dal paziente.
2. Raccogliere informazioni circa l’esperienza e/o la vita passata e presente (anamnesi).
3. Offrire informazioni circa le modalità e le caratteristiche dell’incontro.
4. Stabilire un’alleanza di lavoro, sostenendo la motivazione del paziente al cambiamento.
5. Identificare la problematica psicologica espressa dal paziente e il suo contesto di riferimento.
6. Definire le modalità caratteristiche che il paziente utilizza per far fronte alla problematica.
7. Focalizzare le principali resistenze del paziente all’incontro e al lavoro da svolgere.
8. Esplicitare ed elaborare l’atteggiamento e le fantasie (preesistenti) del paziente sul clinico, al colloquio e al contesto in cui si svolge.
Caratteristiche della conduzione di un colloquio clinico.
a) Le variabili che determinano le modalità di conduzione del colloquio:
• la gravità della situazione clinica del paziente;
• l’effetto prodotto sul clinico dalla psicopatologia del paziente;
• la formazione di chi conduce il colloquio;
b) La qualità dell’alleanza diagnostica;
c) La qualità e quantità degli elementi informativi. 8
Quando il clinico e il paziente si incontrano vivono entrambi una condizione di ansia, entrambi la gestiscono attraverso le «operazioni o
misure di sicurezza».
Elementi che uno psicologo può valutare durante un colloquio clinico
La qualità e la quantità degli elementi informativi. Gli elementi informativi possono essere diretti; ciò che dice il paziente del suo star male, o
indiretti; ciò che il clinico inferisce dalla comunicazione non verbale del paziente. Tra i due tipi vi sono sempre influenze reciproche.
Nel corso del colloquio è necessario ricavare informazioni rispetto a tre aree:
1. Il funzionamento emotivo: sentimenti, emozioni e umore.
2. Il funzionamento mentale: valutare le funzioni cognitive e i processi di pensiero: livello di coscienza e consapevolezza, orientamento,
attenzione e concentrazione, memoria, comprensione, concettualizzazione e astrazione, capacità di giudizio, processi di pensiero.
3. La modalità di interazione del paziente.
Vi sono due motivi che possono indurre lo psicologo da utilizzare altre fonti informative:
- Per incrementare la quantità delle informazioni e l’attendibilità dei dati raccolti. I pazienti forniscono risposte diverse in base allo strumento
usato, alla relazione con l’operatore, al contesto.
- Per necessità. Per es. quando si lavora con bambini e adolescenti, è necessario avere info relative al periodo prenatale e primi anni di vita.
- È altrettanto utile quando i pazienti presentano disturbi del carattere o disturbi della personalità egosintonici o sono deliranti.
I comportamenti comunicativi dello psicologo si possono sinteticamente ricondurre a due categorie:
Domandare consiste nel dare inizio a una sequenza ed è più tipico del colloquio diagnostico,
• Affermare riguarda proporre una svolta o un termine ed è più tipico dei colloqui psicoterapeutici.
•
Esistono diverse tipologie di quesiti; ognuna si differenzia per forma sintattica, contenuto semantico e legame con il discorso in cui è inserita.
Una prima distinzione si ha tra domande aperte e domande chiuse.
• Le domande aperte danno all’interlocutore la possibilità di esprimersi ampiamente, non contengono elementi che possono orientare la
sua reazione e non sono generiche.
• Le domande chiuse, permettono o una risposta dicotomica (sì/no) oppure prevedono un’unica possibilità di risposta.
L’altra distinzione è rispetto al contenuto: - eventi concreti - emozioni e affetti - episodi relazionali
Le modalità con cui una persona partecipa ad un colloquio clinico sono molteplici. Si possono infatti individuare le seguenti categorie:
A. L’argomento scelto e l’angolatura adottata: attenzione all’argomento proposto e al registro utilizzato (cognitivo o emotivo).
B. Le domande del paziente.
C. Il silenzio. Inteso come momento che sottolinea passaggi delicati.
D. La dimensione relazionale caratterizzata da tre espressioni:
a) segni verbali e non verbali di mantenimento della comunicazione e della relazione;
b) segni verbali e non verbali di inibizione della comunicazione e della relazione;
c) segni verbali e non verbali di difficoltà e/o imbarazzo
E. Il contesto
L’atteggiamento si costituisce a partire da una valutazione doppia (sia conscia che inconscia) di ogni oggetto o evento e si manifesta nel
comportamento verso di esso. Per Grasso, gli aspetti che caratterizzano l’atteggiamento dello psicologo sono:
• L’ascolto e il silenzio - Ascoltare un’altra persona vuol dire: riconoscere l’esserci dell’altro, la sua consistenza relazionale. L’ascolto è
possibile se vi è il silenzio, inteso come far posto all’altro. Assumere un atteggiamento silenzioso, volto all’ascolto, significa accogliere
l’altro perché esso è lo strumento di conoscenza di cui disponiamo ed è grazie ad esso che possiamo ascoltare.
• L’empatia - si realizza quando si riconosce nel vissuto altrui qualcosa che appartiene alla nostra esperienza (Kohut). Da un lato viene
ritenuta fondamentale per lo psicologo, dall’altro costituisce un elemento poco chiaro con il rischio di generare una comprensione illusoria.
Quando è possibile provare un’emozione simile a quella che si attribuisce all’interlocutore, si costituisce il primo passo della conoscenza
(Grasso). Ad esso fanno seguito le operazioni cognitive e affettive che danno senso a quanto percepito. Infatti, se non fosse possibile dare
un senso all’emozione condivisa, l’empatia non costituirebbe uno strumento utile per la comprensione.
• Freud L’attenzione fluttuante: rivolgere l’attenzione in modo uguale ad ogni elemento della comunicazione del paziente, senza
à
attenzione selettiva. La capacità di muoversi tra i diversi livelli della comunicazione interna ed esterna, mantenendo una costante
attenzione alla relazione istituita come luogo nel quale si sviluppano sia la comunicazione sia le relative percezioni (Grasso).
Il termine inglese ‘setting’ rimanda sia alla cornice (contenitore), la cui funzione è quella di sostenere le azioni che si configurano in esso.
Il setting si configura come realtà composita intesa come cornice, come insieme delle azioni utili per attivare i dispositivi relazionali.
- Risolvere un problema di matematica
- Riassumere un testo
- Tradurre una frase
- E molto altro ancora...
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