Anteprima
Vedrai una selezione di 4 pagine su 12
Riassunto esame Psicologia Clinica, prof. Lo Coco, Libro consigliato: “Psicologia del patologico” di Stanghellini G. e Rossi M. M. Pag. 1 Riassunto esame Psicologia Clinica, prof. Lo Coco, Libro consigliato: “Psicologia del patologico” di Stanghellini G. e Rossi M. M. Pag. 2
Anteprima di 4 pagg. su 12.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Psicologia Clinica, prof. Lo Coco, Libro consigliato: “Psicologia del patologico” di Stanghellini G. e Rossi M. M. Pag. 6
Anteprima di 4 pagg. su 12.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Psicologia Clinica, prof. Lo Coco, Libro consigliato: “Psicologia del patologico” di Stanghellini G. e Rossi M. M. Pag. 11
1 su 12
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

Il significato delle parole

Ognuno di noi sa che dietro l’uso di determinate parole vi è sempre un’intenzione comunicativa. Esiste infatti u

na

differenza tra il significato letterale di una frase e ilconcetto che l’individuo cerca di trasmettere in una conversa

zione. Inoltre nella comunicazione entrano in gioco anche elementi di natura extralinguistica (mimica, postura,

ecc.) che favoriscono la comunicazione. Il clinico può comunicare le proprie intenzioni in maniera più o meno d

iretta, a seconda del paziente che ha di fronte. Con un individuo con una personalità paranoide, per esempio,

è preferibile utilizzare un linguaggio chiaro e diretto.

L’influenza delle parole

Lo studio del linguaggio è diviso in tre discipline: a) Sintassi : si occupa delle regole che

stabiliscono come le parole o frasi possono essere combinate da un punto di vista grammaticale; b) Semantica

:

studia il significato delle parole e delle frasi; c) Pragmatica : è lo studio del linguaggio in rapporto all’uso che ne

fa il parlante. Quindi mentre la sintassi e la semantica studiano un linguaggio asettico, che non tiene conto dell

e

circostanze di vita reale, la pragmatica si occupa di un linguaggio dinamico e legato al contesto comunicativo

della conversazione. Mediante le parole è possibile fare molte cose: domandare, avvertire, affermare, ordinare

,

minacciare ecc. Parlare significa cambiare: gli atti linguistici hanno delle conseguenze comportamentali. A

seconda delle cose dette e di come si dicono, l’interlocutore crederà certe cose, proverà determinate emozioni

,

agirà in un certo modo. Dunque ogni persona, parlando, influenza chi ascolta. Per tale ragione bisogna fare m

olta

attenzione al modo in cui si parla; a seconda di come si usano le parole. Lo psicologo deve comunicare attrav

erso

un linguaggio incisivo, così da promuovere il cambiamento nel paziente; Si tratta della retorica, l’arte di saper

parlare in modo da persuadere chi ascolta; la capacità retorica è una componente essenziale del lavoro dello

psicologo.

Il linguaggio della relazione

Generalmente gli esseri umani stabiliscono le relazioni attraverso la parola. In terapia alcuni interventi danno l

a

possibilità di costruire un rapporto di fiducia con il paziente, facendolo sentire compreso, accettato, riconosciut

o.

Tale linguaggio, per essere efficace, deve possedere alcune caratteristiche. Innanzitutto bisogna evitare il

linguaggio specialistico: l’uso di termini tecnici non fa altro che porre delle barriere che aumentano la distanza t

ra

clinico e paziente. Non è il paziente a dover imparare il linguaggio del clinico, ma è il clinico che deve avvicinar

si

al modo di comunicare del paziente per varie ragioni: 1) il paziente si sente ascoltato (“se il terapeuta usa le mi

e

parole vuol dire che mi sta ascoltando, che prova interesse per quello che dico”); 2) il paziente si sente compr

eso

(“lo psicologo ha utilizzato proprio quelle parole che suscitano in me delle emozioni intense; questo vuol dire c

he

riesce a cogliere le cose che per me hanno valore, quindi è in grado di comprendere il mio stato d’animo”); 3) il

paziente si sente accettato (“il terapeuta riconosce il mio modo di vedere le cose, aderisce alla mia concezione

del

mondo”). Il clinico deve adeguarsi al vocabolario del paziente: non è utile per esempio utilizzare un linguaggio

elaborato con una persona con un basso livello di istruzione o con scarse proprietà di linguaggio. Per il clinico

non

è importante solo “saper parlare”, ma anche saper tacere. Il silenzio è una condizione essenziale nella relazion

e, e

in alcune circostanze è l’unico modo per comunicare al paziente qualcosa.

Il linguaggio perturbante

Il colloquio provoca cambiamento, soprattutto attraverso il dialogo tra i due membri della coppia. Solitamente i

pazienti sono restii ad ascoltare chi vuole farli cambiare; innalzano delle barriere per “difendersi” da ciò che il

clinico potrebbe dir loro. Essi sono terrorizzati dalla possibilità di cambiare, sperano di essere curati senza ess

ere

coinvolti nel processo terapeutico, come se lo psicologo potesse risolvere i loro problemi magicamente. Attrav

erso

la perturbazione si intende far sorgere dei dubbi, stimolare la riflessione, suscitare la curiosità, incoraggiare a

guardare le cose da altri punti di vista. Si cerca, di attivare quella parte del paziente che ha voglia di cambiare

senza aver fretta di risolvere la questione in poche sedute. Alcune forme comunicative sono più efficaci di altre

nel

determinare un cambiamento psichico. Tra queste occupa un posto di primaria importanza la metafora, una fig

ura

retorica che permette di comunicare qualcosa in modo indiretto arrivando al cuore del problema. Altre forme

linguistiche sono gli aforismi, i proverbi e i detti: si tratta di formulazioni capaci con poche parole di rappresenta

re

in modo chiaro situazioni umane anche molto complesse e che risultano convincenti per chi le ascolta. Altre

formulazioni sono le cosiddette forme linguistiche immaginose, cioè tutti gli interventi in grado di stimolare la

produzione di immagini mentali; infatti, la psiche umana riesce a lavorare meglio con le immagini che con i

concetti astratti.

5. Psicologia ed ermeneutica: il rapporto tra l’espressione e la comprensione

umana

Il colloquio clinico tra oggettivismo e soggettivismo

Il clinico durante il colloquio deve scegliere tra oggettivismo e soggettivismo. Secondo la prospettiva oggettiv

ista,

che è prevalente nella nostra cultura, esiste una verità assoluta che può essere conosciuta se si utilizzano i g

iusti

mezzi. In tale prospettiva il mondo è fatto di oggetti, e la conoscenza non è altro che la conoscenza di tali og

getti.

La prospettiva soggettivista tiene in considerazione le sensazioni soggettive in quanto ciò che guida l’esist

enza

umana è l’intuizione, non il ragionamento razionale. La conoscenza in prima persona è unaconoscenza dell'alt

ro

fondata sull’empatia. Il metodo della conoscenza in prima persona prevede che attraverso l’osservazione e

l’ascolto si raccolgano i dati forniti dal paziente e che poi si utilizzino questi dati per ricostruire il vissuto del

paziente, nel tentativo di vivere quel che il paziente sta vivendo. La conoscenza in terza persona è la conosce

nza

attraverso leggi generali.

L’ermeneutica serve a dare un senso alle espressioni umane, ma data la mancanza di un solo significato

interpretabile è impossibile determinare le cause di ciò che è stato detto, essendo inconoscibile all’autore

stesso. Per poter attuare un’interpretazione bisogna conoscere il contesto in cui avviene l’espressione.

Il pregiudizio nel lavoro psicologico

Nell’interpretazione interferiscono elementi come la struttura psicologica del terapeuta e i fattori sociali e

culturali che tutti insieme determinano le precomprensioni. Le interpretazioni partono necessariamente dai

pregiudizi in quanto si prova ad applicare l’idea sul significato che si cerca di interpretare, per poi verificare

se ciò che si pensa è giusto.

Colui che interpreta e il suo oggetto si trovano nello stesso orizzonte storico, e l’interprete è influenzato da

interpretazioni precedenti che costituiscono paradigmi interpretativi.

6. Il concetto di dispositivo di vulnerabilità

Il dispositivo è costituito da istituzioni interne che agiscono implicitamente, e sono a priori tipiche

dell’esistenza umana in una data cultura. Il dispositivo di vulnerabilità si rifà al concetto delle caratteristiche

dell’uomo di essere fragile e disposto alla malattia, con vulnerabilità ci si riferisce dunque all’essere

sospesi tra salute e malattia.

Nell’anamnesi i dispositivi indicano dove andare a cercare i punti di svolta dello svilupparsi di quadri morbosi.

7. Il conflitto

Il conflitto è un fenomeno universale nell’esistenza umana. Come fenomeno clinico, esso è

stato considerato dalla psicoanalisi come elemento fondamentale della patologia. Il conflitto rappresenta la

contrapposizione tra istanze contrastanti; per la clinica dinamica è questa contrapposizione a dare origine ai

sintomi della patologia; quest'ultima è il risultato di un gioco di forze e della rottura di un equilibrio. Nessun

malato è interamente tale, infatti nello scarto tra il malato e la malattia si pone contro la patologia stessa.

La non coincidenza del Sé con se stesso permette l’auto-coscienza e l’auto-riflessione potendosi

osservare dall’esterno.

L’eredità psicoanalitica

La psicoanalisi considera il conflitto come caratteristico dell’essere umano. Un polo del conflitto è rappresentat

o

sempre dalle pulsioni sessuali; l’altro polo, invece, cambia nel corso dell’opera freudiana. In una prima fase,

alla

sessualità Freud contrappone le aspirazioni dell’Io. Negli “Studi sull’isteria” egli affermava che, man mano ch

e ci

si avvicina ai ricordi di natura sessuale, si incontra una resistenza sempre maggiore; questa resistenza è

l’espressione di una difesa che l’Io oppone a ricordi inaccettabili e contrari alla propria persona. Ne

“L’interpretazione dei sogni” Freud espone la cosiddetta “prima topica” o “modello topografico”, cioè la

suddivisione dell’apparato psichico in 3 sottosistemi: conscio, preconscio e inconscio. In una seconda fase, all

e

pulsioni sessuali si contrappongono le cosiddette pulsioni di autoconservazione; esse sono le pulsioni nece

ssarie

alla conservazione della vita dell’individuo, costituiscono i bisogni primari non sessuali di un individuo.

Le pulsioni di autoconservazione, a differenza di quelle sessuali, possono essere soddisfatte soltanto da un og

getto

reale; esse sono regolate dal “principio di realtà”, mentre le pulsioni obbediscono al “principio di piacere”.

In una terza fase il conflitto è tra pulsioni di vita e pulsioni di morte; le pulsioni di vita (eros) comprendono, o

ltre alle

pulsioni sessuali, anche le pulsioni di autoconservazione. La pulsione di morte (thanatos) si manifesta

nell’aggressività e nel sadismo.

Il conflitto e l’ansia

Secondo Freud, l’uomo è un essere sempre in conflitto con se stesso. Tale conflitto genera ansia, un’emozion

e

sgradevole che consiste in uno stato di tensione e di allarme. L’ansia fa attivare dei meccanismi di difesa, l

a cui

azione porta ad un compromesso tra le parti in conflitto.

Secondo la psicoanalisi, l’ansia ha la funzione di segnalare un peri

Dettagli
Publisher
A.A. 2015-2016
12 pagine
1 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/08 Psicologia clinica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Davide_L_R di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia clinica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Palermo o del prof Lo Coco Gianluca.